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"Ancora bastonate agli insegnanti", di Francesca Puglisi

Premesso che ad oggi non abbiamo ancora fogli scritti su cui ragione per condividere le scelte del governo in tema di Legge di Stabilità e già non ci sembra un bel metodo abbiamo molto da temere per la
scuola dalle voci che arrivano alle nostre orecchie. Il ministro Profumo racconterà che è una semplice «reingegnerizzazione dell’orario di lavoro» e gli editorialisti benpensanti diranno che era ora di mettere mano all’orario degli insegnanti: «Questi fannulloni scriverà qualcuno usando pressappoco le parole di Berlusconi stanno due mesi in vacanza, cosa che nessun altro lavoratore si può permettere». La verità e i numeri, invece, parlano di un nuovo taglio di circa 6.500 posti di lavoro e 183 milioni di euro nella scuola, ottenuti facendo lavorare più ore gli insegnanti di sostegno delle scuole secondarie e facendo utilizzare durante l’anno scolastico le ore estive a disposizione degli
insegnanti. A contratto invariato. Ovviamente non saranno offerte più ore di sostegno agli studenti con disabilità, ma lo stesso insegnante dovrà seguire più studenti disabili, con una qualità che inevitabilmente rischia di abbassarsi. La situazione del sostegno in Italia, a differenza degli anni 90 quando il nostro Paese era considerato all’avanguardia, è in caduta libera e invece dell’integrazione e dell’inserimento scolastico, rischiamo di fare solo assistenza. Gli insegnanti italiani ricevono rispetto ai colleghi d’Europa lo stipendio più basso. Sono i docenti stessi a chiedere di poter fare a scuola quel lavoro ‘oscuro’, che nessuno oggi riconosce loro, di correzione dei compiti, di preparazione delle lezioni, di ricerca didattica. Vedendoselo conteggiato in busta paga. Serve un nuovo contratto nazionale, no un nuovo taglio di posti di lavoro nella scuola italiana.
Ancora una volta il Governo dei professori decide di proseguire con i tagli lineari di tremontiana memoria e di andare a far cassa sulla pelle viva della scuola. È grazie alla quotidiana generosità degli insegnanti che la scuola pubblica sta ancora in piedi. In tre anni, invece di reperire risorse con tobin tax e patrimoniale, l’86% del risparmio della spesa statale è stato prodotto tagliando l’istruzione e 132.000 posti di lavoro. Esattamente l’opposto di quel che ci raccomanda l’Unione Europea
che, nel documento strategico Europa 2020, per battere la crisi chiede ai Paesi membri di investire in una crescita intelligente ed inclusiva e all’Italia di aumentare il numero di laureati e di dimezzare il tasso della dispersione scolastica. Usando una metafora sgradevole tirata fuori di recente dal ministro Profumo a Genova, se «a questo Paese serve più bastone che carota», beh, possiamo dire che la scuola di carote ne ha sempre solo sentito parlare, ma in verità ha solo ricevuto tante bastonate. Ora siamo stanchi e diciamo basta. Se chi si è assunto l’onere di governare questa fase difficile del Paese, intende continuare a tagliare la scuola e a umiliare gli insegnanti invece di andare a scomodare chi non ha mai pagato il prezzo della crisi, chi non deve fare i conti per fare la spesa alla fine del mese, chi non rischia di non poter pagare le tasse universitarie ai figli, ce lo dica con chiarezza.
Perché allora è il tempo del coraggio e delle scelte di priorità che una politica democratica e progressista può tornare a fare.

L’Unità 11.10.12

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“Più ore di lavoro per i prof insegnanti pronti alla rivoltaPiù ore di lavoro per i prof insegnanti pronti alla rivolta”, di Alessia Camplone

Per il mondo della scuola sarebbe una rivoluzione. Gli orari degli insegnanti di medie e superiori potrebbero aumentare di un terzo in più a settimana, senza aumenti di stipendio. Da 18 fino anche a 24 ore. Un intervento che avrebbe pesanti conseguenze in particolare sui precari, per i quali resterebbero meno posti da supplente. A lanciare l’allarme è stato il sindacato, a proposito della legge di stabilità appena varata dal governo Monti. «Abbiamo saputo sostiene il segretario generale della Flc Cgil, Mimmo Pantaleo che avrebbero intenzione di aumentare l’orario degli insegnanti. Un aumento di 4 o 6 ore che coinvolgerebbe anche gli insegnanti di sostegno». Il provvedimento potrebbe incidere sulle supplenze brevi, che verrebbero tagliate.
Probabilmente a questo si riferiva ieri Pierluigi Bersani quando si è scagliato contro le misure del governo in materia di scuola: «Temo di non sbagliarmi, ma sotto la parola complicata di ingegnerizzazione ci sono tagli di 6.300-6.400 posti di lavoro per gli insegnanti». I prof sono già esasperati per il blocco dei contratti, al quale si aggiunge quello degli scatti di anzianità fino al 2017. Sull’ipotesi di un aumento dell’orario di lavoro a costo zero il ministero non conferma e non smentisce. Il responsabile dell’Istruzione Francesco Profumo ieri mattina, riferendosi alla legge di stabilità, ha parlato di «un contributo di generosità» chiesto al mondo della scuola. Non ha dato altri particolari, aggiungendo però che «nella prossima fase contrattuale bisognerà pensare a modalità diverse». Un ulteriore riferimento del ministro è a un contributo di 182 milioni da parte della scuola che sarebbe stato rispettato «ma non con tagli diretti». Una dichiarazione articolata che potrebbe corrispondere ai timori del sindacato.
La questione diventerà un argomento in più per lo sciopero già indetto per domani dalla Flc Cgil. I lavoratori e gli studenti che aderiranno scenderanno in piazza in tutta Italia. Sono state proclamate 60 manifestazioni in contemporanea che coinvolgeranno anche le scuole non statali.
Come se non bastasse gli oltre 10 mila nuovi insegnanti immessi in ruolo il primo settembre scorso in questi giorni devono fare i conti con il mancato pagamento dello stipendio a quasi un mese e mezzo dall’assunzione. Secondo il sindacato dell’Anief, che ha mandato una diffida al ministero dell’Istruzione, ci sarebbe stato un intralcio burocratico. I contratti sarebbero stati inviati solo in forma cartacea alle ragionerie territoriali del Tesoro che «potrebbero impiegare mesi – sostiene l’Anief – prima di riuscire ad erogare gli stipendi agli interessati».

Il Messaggero 11.01.12

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