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Franceschini: “Con le preferenze campagne costosissime lo scambio osceno in Lombardia insegna”, di Goffredo De Marchis

Dario Franceschini avverte gli alleati della “strana” maggioranza: «Sono sicuro che non si possa votare la riforma elettorale contro il primo partito del Paese. Lo capiscono anche i bambini». E se riconosce all’Udc la legittimità di lavorare per il Monti bis, «trovo assurdo immaginare di fare una legge che abbia come conseguenza certa l’ingovernabilità in modo che nessuno vinca solo per tenersi Monti, è un atto contro il Paese», dice il capogruppo democratico alla Camera.
Però sulle preferenze il Pd ha qualche imbarazzo. Il fronte dei sostenitori è largo, da Enrico Letta a Massimo D’Alema.
«Non mi pare che ci sia questo problema. C’è invece una posizione molto chiara da parte di tutto il partito sia sul doppio turno, la nostra proposta originaria, sia sulla mediazione depositata al senato. Possono esistere sfumature diverse su quanto sia pericoloso il ritorno alle preferenze.
Ma la posizione di tutto il Pd è chiarissima: tutti siamo per i collegi uninominali».
Il problema delle preferenze è l’esempio del caso Fiorito?
«La corruzione può avere tanti canali. Sarebbe sciocco dire che c’è un automatismo. La mia considerazione è un’altra: vanno superate le liste bloccate del Porcellum che sottraggono all’elettore il diritto di scegliersi il rappresentante, ma si può fare in un modo moderno che sono i collegi uninominali. Un deputato e un senatore eletto da un piccolo pezzo del territorio. Così c’è un controllo diretto».
E sbarrare il nome sulla scheda non garantisce lo stesso risultato?
«Le preferenze comportano dei costi enormi della campagne elettorali. Basta vedere l’osceno caso della Lombardia e alle regionali le circoscrizioni sono grandi come una provincia, al massimo. Nella proposta sostenuta da Pdl, Lega e Udc la scelta verrebbe spalmata su enormi circoscrizioni regionali. Abbiamo idea di cosa costerebbe una campagna elettorale in regioni grandi come la Sicilia e Veneto? Ci sarà un motivo per cui in tutti i grandi paesi europei le preferenze per eleggere il Parlamento non esistono».
Non è che il Pd, sotto sotto, punta a tenersi il Porcellum?
«Io vorrei che per una volta i partiti non facessero un calcolo di convenienza. Se lo facesse il Pd questo calcolo, firmerebbe subito per le preferenze. Siamo una forza politica radicata e con una buona qualità dei candidati, abbiamo circoli sezioni, associazioni: avremmo tutto da guadagnare da una legge con le preferenze. Ma vogliamo fare un ragionamento sistemico: evitare la lievitazione dei costi della politica e instaurare un sistema moderno e trasparente, quello dei collegi».
Se Alfano, Casini e Maroni vanno avanti il Pd che fa? Si spacca, resiste o cede?
«Siamo di fronte a un testo base che deve essere ancora votato in commissione. Ci auguriamo un ravvedimento. Comunque non andranno avanti a maggioranza ».
Lo hanno fatto sulla riforma costituzionale.
«Appunto. Non sono andati da nessuna parte. Ma hanno fatto saltare la riduzione del numero dei parlamentari. Sanno che non sono concessi i bis».
A proposito di bis, considera l’appello di Napolitano un sostegno all’ipotesi del ritorno di Monti a Palazzo Chigi?
«Quello del presidente è un richiamo giusto per evitare che si ripeta il meccanismo delle coalizioni eterogenee che vincono e non riescono a governare. Cosa che è capitata sia al centrosinistra che al centrodestra. Ma la risposta, al di là della legge elettorale, dev’essere politica. Con il Porcellum in fondo il Pd ha scelto una prima volta l’Unione e poi il suo contrario, ossia la vocazione maggioritaria. Ecco perché oggi, con qualsiasi riforma, i democratici dicono che lavoreranno per una coalizione il più possibile omogenea e con delle regole».
È giusto il parallelo con la Grecia?
«Il tema è quello. Sia in Francia che in Grecia la frammentazione è stata molto visibile perché i tempi sono difficili. Ma in Francia hanno un governo stabile grazie al doppio turno. In Grecia hanno dovuto rivotare. Il premio di maggioranza quindi dev’essere il più possibile alto in modo che la sera delle elezioni gli italiani sappiano chi le ha vinte».

La Repubblica 13.10.12

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“L’imbroglio delle preferenze”, di GIANLUIGI PELLEGRINO

BISOGNA stare attenti a non fraintendere le parole del Capo dello Stato. Napolitano si felicita perché la riforma elettorale è giunta finalmente (se non a tempo scaduto) nella sede propria delle aule parlamentari.
Ma l’apprezzamento del Presidente finisce qui. Nel merito il suo messaggio, pur nel rispetto dei ruoli, è nella sua oggettività assai ben critico se non di autentica bocciatura del testo base approvato in commissione. Che infatti è indifendibile, per ragioni evidenti che certo il Presidente non poteva esplicitare. Dietro la sacrosanta esigenza del superamento del porcellum, si rischia in realtà un approdo quasi peggiore, perché aggravato dal sapore della beffa. Restano infatti per oltre il trenta per cento i listini bloccati e quindi il boccone più indigesto della legge porcata. E per gli altri due terzi si propone un appiccicoso quanto surreale salto nel passato, con ritorno all’inguardabile sistema delle preferenze.
Non è nemmeno necessario, come pure sarebbe sufficiente, richiamare il recente rosario di scandali per ricordare che sono tutti, non a caso, legati alle preferenze. Non solo le vicende dei Fiorito “batman”, degli Zambetti “pisciaturu”, dei Piccolo “superman”, e dei Maruccio di ogni risma; ma anche il decreto di scioglimento del Comune di Reggio Calabria per infiltrazioni mafiose è interamente motivato sugli scambi connessi a quel sistema di raccolta dei voti, purtroppo in vigore nelle elezioni comunali e regionali. Il che già dovrebbe bastare e rendere impensabile la sua estensione alle politiche. Ma la ragione di fondo che deve imporre un no senza condizioni a questa opzione, è persino più rilevante, perché riguarda al fondo la cultura politica e delle istituzioni necessaria per provare a risanare la “democrazia ma-lata”, fotografata con impietoso allarme ieri da Ezio Mauro.
Ed infatti proprio le elezioni politiche devono essere un voto di opinione e non un voto di clientela. I partiti postideologici se vogliono dare un senso alla loro missione devono recuperare la strada della credibilità che invece perdono per sempre se scelgono sistemi che fomentano al loro interno guerre intestine, familistiche se non criminali. Comitati d’affari dei quali infine i partiti medesimi restano vittime e subalterni. Svuotati dall’interno. Nella loro stessa anima.
Optare per le preferenze vuol dire ostentare, in un masochismo accecato, una clamorosa indifferenza a questa esigenza vitale, quando l’alternativa valida la conoscono tutti. Sono i collegi l’unico strumento idoneo a saldare voto di opinione, nuova centralità dei progetti politici, valorizzazione dei candidati, virtuoso collegamento con il territorio. Si deve poi ovviamente azzerare qualsiasi residuo di listino bloccato, cimelio non richiesto del porcellum.
Sul fronte della governabilità infine, Napolitano ha parlato chiaro. Se è vero che si devono evitare coalizioni forzate è altrettanto vero che il premio deve servire a sostenere un governo di legislatura, risultando invece di dubbia costituzionalità se serve solo come cadeau a questo o quel partito. Con il rischio di produrre il medesimo cortocircuito che oggi il porcellum presenta al Senato dove il premio opera persino in danno di chi deve formare la maggioranza di governo.
Vale per la riforma elettorale quel che vale per l’anticorruzione. Non serve una legge purchessia, ma la legge che tutti sanno sarebbe utile per il paese e che però si stenta ad approvare per tornaconti personali o di partito. Lì per avere salvacondotti nei processi, qui per la trasparente tentazione di far finta di ridare la parola agli elettori, ma scegliendo sistemi buoni solo a garantire se stessi e a reclutare i peggiori. Democratici, dipietristi e vendoliani hanno votato contro. Ma non basta. Anche al porcellum dissero di opporsi per poi abusarne abbastanza. Arrivati alla soglia della riforma implorata dai cittadini, il più odioso dei tradimenti deve essere contrastato con forza visibile e senza infingimenti.
La cronaca ogni giorno ci dice che si è giunti al fondo del pozzo. Dovrebbe quanto meno esserci l’istinto a provare a spingere verso l’alto per cercare la risalita. Continuare a scavare, non è sopravvivere, ma solo un cieco cupio dissolvi.

La Repubblica 13.10.12