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"Un modo alternativo di difendere il principio", di Eugenio Mazzarella

Mi stupisce, e davvero non comprendo come Armando Massarenti (su «Domenica» del 30 settembre) possa ritenere la mozione da me firmata con i colleghi Gelmini e Binetti, che chiede al Ministro di intervenire sul problema delle mediane in termini tali da consentire un più sereno e sensato svolgersi delle prossime abilitazioni nazionali, cioè di non disperdere tra ricorsi e impasse di varia natura il pur problematico (come Massarenti stesso riconosce ad abundantiam nel suo intervento) lavoro del l’Anvur, un attacco al principio stesso del l’Agenzia, segno della difficoltà a recepire in Italia una cultura della valutazione. Niente di più lontano dalle intenzioni dei firmatari della mozione, peraltro appartenenti alla forze politiche che l’Anvur l’hanno istituita, non essendo la preoccupazione del merito nella ricerca e nell’università, mi creda sulla parola Massarenti, esclusiva dei pur autorevoli firmatari del Manifesto per il merito. La questione non è se valutare il merito. Questo va da sé. La questione è come valutarlo, perché se valuti male è di tutta evidenza che il merito diventa fortemente problematico da individuare.
Le polemiche che hanno accompagnato e accolto tutta la vicenda delle mediane, puntualmente descritte nell’intervento sempre su Il Sole di Alessandro Schiesaro, fotografano errori estremamente gravi in tutta la vicenda, sia sul piano tecnico che giuridico, ed è a questi che la mozione che Massarenti censura intende porre riparo. Degli errori ancora più gravi sul piano culturale, da cui molto discende di quanto è accaduto, non posso, a ragione dello spazio discorsivo e non per slogan che richiederebbero, dire. Ma invito Massarenti ad aprire un dibattito sul tema, disponibile ad iscrivermi fin d’adesso per il modesto contributo che potrò dare. Un solo errore culturale voglio segnalare, e mi spiace dirlo è nelle conclusioni di Massarenti stesso: dandosi un altro fallimento del “pubblico” con l’Anvur, sarebbe necessario un’Agenzia privata di valutazione. Considero questo approccio non la soluzione ai problemi del pubblico che ci sono e gravi, ma parte del problema: la resa davanti al compito di ridare efficienza al pubblico. Avverto che questa perdita di “senso del pubblico” è parte di quella perdita di senso dello Stato che affligge il nostro Paese. E quanto alle virtù a priori delle agenzie private invito a riflettere al contributo che le private agenzie finanziarie di rating internazionali, che parlano rigorosamente inglese, hanno dato alla crisi dell’economia reale e dei conti pubblici dei Paesi. Né credo sfugga a nessuno il rischio tradizionale nel nostro Paese del privato: di esserlo con soldi pubblici. Se in Italia sorgesse un’agenzia privata di valutazione della ricerca con risorse rigorosamente private, e che poi non viva di commesse statali, per la funzione pubblica che andrebbe a svolgere sua sponte, e che i propri giudizi e le proprie classifiche mettesse gratuitamente a disposizione del l’università e della ricerca, per aiutarle a far meglio, sarei il primo a felicitarmi di un contributo liberale dei privati al progresso del Paese.
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Gentile On. Mazzarella, abbiamo volentieri ospitato in queste pagine anche posizioni assai critiche nei confronti dell’Anvur, che, nonostante i suoi difetti, mi pare abbia avuto proprio il merito di dare un minimo di ordine a quel calderone indecifrabile di correnti e discipline, spesso autodefinite di eccellenza, che sono le facoltà umanistiche. Credo che molti problemi siano derivati proprio dal fatto che si tratta di un’agenzia pubblica, ma ciò non implica una svalutazione generale di ciò che è pubblico. È solo che ogni istituzione, quando è tale, rischia di essere percorsa da poteri e tentativi di egemonia che possono creare danni assai seri. Veda ad esempio il caso della Rai. Per questo scrivevo che, nel caso di fallimento, si poteva pensare a un’agenzia privata. Ma “privato” non significa di «proprietà di qualcuno che ha degli interessi, soprattutto economici, nascosti, e che è disposto a tutto pur di far profitto», che è l’idea deformata di “privato” che circola in Italia. Significa che la qualità delle prestazioni che vengono fornite sono state scremate dal mercato, che rimane fino a prova contraria, nei sistemi liberaldemocratici, il sistema più efficiente per selezionare competenze, soprattutto se e quando il sistema pubblico è in una fase degenerativa a causa di processi clientelari, di corruzione, di conflitti di interesse. Continuo dunque a difendere l’idea di un’agenzia privata, insieme al principio della necessità di una valutazione dei saperi. Augurandomi però, nel contempo, che l’Anvur riesca nell’intento.
Ar.M.