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"La tentazione di Bersani", di Giovanna Casadio

«Il ricambio è indispensabile ». Quella di Pierluigi Bersani non è solo una parola d’ordine. È una tentazione. Di allargare lo spettro del rinnovamento. E ha iniziato a far scattare una sorta di “moral suasion” nei confronti di molti dei “big”. Sull’onda dell’addio al Parlamento di Veltroni, il segretario del Pd pensa a una strategia per convincere gli amici e compagni di lungo corso a seguire l’esempio di Walter. UN “beau geste” che lui stesso ha indicato come «coraggioso ». «La ruota gira e girerà». Poche parole, un motto dei suoi, ma Bersani sa che il momento è cruciale. Difficilmente sceglierà la strada dello scontro frontale con i decani, della cui esperienza ha sempre detto di non volere fare a meno. Ma non per forza in Parlamento. Perché la strada da imboccare è «il rinnovamento ». Lo chiedono gli elettori. Anche se ieri, con un tempismo che alcuni giudicano sospetto, arriva tutt’altra reazione pugnace di D’Alema: il lìder Massimo rimette nelle mani del partito la questione dei vecchi e dei giovani, con tanto di raccolta di firme che lo sostengono. Del resto il segretario democratico sa che molti faranno “resistenza”. A cominciare da Rosy Bindi che da tempo chiede la “difesa” del partito e non intende rinunciare alla “corsa”. O Anna Finocchiaro che in questo weekend si è limitata a far sapere che «deciderà il partito ». Con tutti loro Bersani parlerà. Senza ultimatum, ma rammentando che il «ricambio ora è indispensabile». Chiederà «generosità » e soprattutto farà notare che la politica non si fa solo alla Camera e al Senato. Ci sarà anche il governo.
I primi risultati già si vedono. Non tutti i leader che Renzi vorrebbe rottamare, sono anche “resistenti”. Alcuni hanno raccolto l’appello che il segretario ha lanciato a Reggio Emilia, a conclusione della Festa del Pd, e che Stefano Fassina ricorda: «Bersani ha chiesto generosità, e Veltroni ha dimostrato generosità». Quanti lo seguiranno, quanti si convinceranno che non è più il momento di deroghe e attaccamento al loro ruolo?
Nelle elezioni politiche del 2008, quando il “rottamatore” Renzi non era ancora in camper, il momento più aspro dello scontro tra vecchi e giovani fu il pensionamento di De Mita da parte dei Democratici. Il “vecchio” De Mita rilanciò a modo suo. In quell’anno, per la composizione delle liste fu prevista una deroga per tutte le donne, a prescindere dai tre mandati. Quindi, Anna Finocchiaro, Livia Turco, Anna Serafini e altre furono riconfermate comunque; Rosy Bindi e Giovanna Melandri non erano arrivate allora ai quindici anni di mandato. E ora? Giovanna Melandri annuncia che, «se resta il Porcellum oppure sono introdotte
le preferenze-spreca soldi», non si ricandida. Altro addio certo è quello di Livia Turco. «E non l’ho detto oggi, ma un anno fa davanti a un’assemblea di mille donne. La rottamazione di Renzi è disastrosa non tanto per noi decani, ma per l’immagine di questi giovani che mostrano di essere “carrieristi”, contro le madri e i padri».
Tra i rottamabili più propensi all’addio ci sarebbero Gian Claudio Bressa, Enrico Morando, Tiziano Treu. Pier Luigi Castagnetti ha tratto il dado: nel 2013 non sarà della partita. Arturo Parisi, che di anni di legislatura ne ha 12, quindi potrebbe formalmente ripresentarsi, non pare voglia farlo. «Non si governa però solo con la freschezza, ci vuole anche esperienza». E a sostenerlo sono i “giovani turchi”, quel gruppo di trenta/quarantenni vicini a Bersani e che fanno loro l’altro motto del segretario: «Le foglie nuove nascono là dove ci sono le radici». Matteo Orfini avverte: «Le aggressioni dei rottamatori sono intollerabili». Alcune settimane fa, Dario Ginefra ha presentato una proposta a Montecitorio per rendere legge il limite dei tre mandati. Con il placet del segretario.

La Repubblica 16.10.12

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D’Alema resiste all’effetto Veltroni “Non sono un oligarca da cacciare mi candido solo se il partito vuole”, di Conchita Sannino

«Avevo detto a Bersani che non volevo candidarmi, ma ora difendo la dignità di una storia». Massimo D’Alema, il giorno dopo l’addio al seggio annunciato da Walter Veltroni, non scioglie fino in fondo la sua “prognosi” e non ci sta a lasciar passare «l’idea che ci sia un gruppo di oligarchi che si devono togliere di mezzo ». Anzi, avverte: «Quell’idea è un’evidente distorsione e denota l’abilità dei nostri competitori a mettere al centro l’eliminazione della classe dirigente del Pd. Non sono alla ricerca di un posto di lavoro ma sono disposto a dare una mano se lo si ritiene necessario, sennò amici come prima».
Per il presidente del Copasir, dunque, non è ancora il tempo di una decisione definitiva. In tour ieri tra Napoli, Salerno e Caserta, ufficialmente per la presentazione di alcuni libri sui democratici, D’Alema si ritrova accanto ad un vecchio compagno come l’ex senatore Umberto Ranieri, già pupillo del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. E con lieve imbarazzo di D’Alema, Ranieri punta il suo intervento proprio sul «complessivo logoramento della leadership del Pd», sul «successo del fenomeno Renzi, che con tutti i limiti della sua biografia e cultura politica, è vissuto comunque come la liberazione da un’oligarchia ».
Per D’Alema invece c’è solo un punto di partenza. «La mia disposizione è a non candidarmi — sottolinea l’ex premier — Semmai posso candidarmi se il partito mi chiede di farlo». Parole da cui non è lecito trarre conclusioni, perché D’Alema ammette, allo stesso tempo, la volontà di continuare a esercitare la sua rappresentanza, specie per «la sfida del Mezzogiorno ». «Le ragioni del mio impegno politico sono rafforzate dalla solidarietà di tante personalità del sud», aggiunge. Il riferimento è all’appello pubblicato ieri su l’Unità, per una sua candidatura alle politiche, sotto il titolo «Basta divisioni e personalismi. Parta dal sud la sfida per il governo. Per noi D’Alema è punto di riferimento ». Un manifesto firmato da circa 600 nomi tra sindaci, assessori, intellettuali, imprenditori (comprese aziende di calzature, carne e olii) nonché militanti di Puglia, Calabria, Campania, Basilicata e Sicilia.
Un elenco così lungo che inciampa in qualche imprecisione: il sindaco di Rionero in Vulture, Antonio Placido, smentisce: «Mai firmato per D’Alema, sono inequivocabilmente accanto a Vendola». Così anche il primo cittadino di Avellino Giuseppe Galasso: «Lo stimo ma non ho mai aderito a quell’appello». In compenso ci sono centinaia di docenti universitari e sindaci in carica che si oppongono all’idea della sua “rottamazione” dalla liste.
Si fa ancora più teso, dunque, il braccio di ferro a distanza con Matteo Renzi. E se il sindaco di Firenze prevede: «Bene la scelta di Veltroni: sono sicuro che non sarà l’unico a fare questo passo», D’Alema replica con l’aspra chiarezza di sempre. «Nel momento in cui torneranno in Parlamento Berlusconi, Cicchitto, Dell’Utri, De Gregorio e così via, pensare che il rinnovamento consista nel togliere di mezzo il gruppo dirigente del Pd mi sembra una visione faziosa», puntualizza.
E un assist per l’ex premier D’Alema arriva da un altro ex presidente del Consiglio, Giuliano Amato, che punta al più concreto aspetto del consenso. «D’Alema è un uomo di grande intelligenza e capacità di leadership, ma, come molti sanno, desta alcune antipatie. Può essere ancora utile, ma si può stare anche fuori dalla politica. Non c’è dubbio che dove D’Alema si presenta prende voti».

La Repubblica 16.10.12

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