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"La ferita di Pomigliano. Fiat scatena la guerra tra poveri", di Rinaldo Gianola

“Ciao guagliò, ci vediamo dentro”. Al cambio di turno i lavoratori di Fabbrica Italia Pomigliano incontrano al cancello numero 2 i loro colleghi rimasti fuori, non ancora assunti e chissà se lo saranno mai. I fortunati che possono entrare in fabbrica si riconoscono dalla tuta di lavoro, bianca e grigia, con i marchi Fiat. La Fiom ha organizzato un volantinaggio per informare i lavoratori della vittoria conseguita in Tribunale. Sergio Marchionne deve rimuovere la discriminazione contro gli iscritti alla Fiom, i 19 lavoratori che hanno avuto il coraggio di metterci la faccia e di sfidare il potente manager hanno vinto, anzi stravinto. La Corte d’Appello di Roma ha stabilito che entro 40 giorni dalla sentenza i 19 della Fiom dovranno tornare in fabbrica, entro sei mesi entreranno anche gli altri. Sul piazzale si fuma una sigaretta, si scambiano due parole prima di entrare. Quelli della Fiom invitano i lavoratori a non «cedere alle provocazioni, non firmate contro la sentenza». Oltre i cancelli, infatti, la Fiat sta mettendo in atto la solita strategia, quella di impaurire, ricattare, dividere i lavoratori. È un altro atto del porcellum di Sergio Marchionne che vede crollare uno dopo l’altro i tasselli del suo castello di promesse non mantenute, di piani annunciati e poi smentiti, di violazione dei diritti costituzionali compreso quello che un cittadino può scegliersi il sindacato che vuole e nessuna azienda può sognarsi di colpirlo per questo. Gira una lettera, esprime preoccupazione per gli effetti della sentenza, per i lavoratori già assunti che potrebbero essere messi in cassa integrazione per far posto ai vincitori in Tribunale. La lettera inizia a circolare mercoledì tra i reparti, ma non ha successo. Così giovedì sono i capi a raccogliere personalmente le firme: «Chi non firma sarà nell’elenco di quelli che andranno in cassa integrazione…». Venerdì sera il Fismic, il sindacato aziendale, annuncia che sono state raccolte 1400 firme. Se fosse vero bisognerebbe fare un monumento agli altri 700 operai che hanno rifutato di firmare. Pomigliano sta diventando una polveriera sociale, il governo e la politica sono colpevolmente assenti, non si rendono conto della gravità dei fatti avvenuti dentro la fabbrica Giambattista Vico da due anni a questa parte, non capiscono che la Fiat sta scatenando una guerra tra poveri, tra gli assunti e quelli che sono rimasti fuori. Don Peppino Gambardella, parrocco di San Felice, commenta con amarezza: «C’è un grande dolore nel vedere che si sta acuendo la rottura tra i lavoratori dentro e fuori la fabbrica. I lavoratori Fiom hanno diritto al loro posto e gli assunti della newco devono restare dove sono». I sindacati firmatari dell’accordo con Marchionne non sanno più che pesci pigliare. I delegati delle Rsa sono stati indicati dai sindacati “buoni” d’intesa con l’azienda. Niente assemblee in fabbrica. Fim, Uilm e Fismic hanno organizzato un’assemblea clandestina all’Hotel Ferrari di San Vitaliano. L’hanno nascosta pure ai giornali. La situazione è delicata. Il direttore dello stabilimento, Sebastiano Garofalo, ha chiamato i firmatari per illustrare la situazione. In sintesi: o si trova una soluzione politica fuori, oppure Fiat assumerà i lavoratori iscritti alla Fiom. Intanto emergono fatti nuovi, ci sono altri trucchi. Gli avvocati della Fiat, durante il dibattimento a Roma, hanno detto che «Fabbrica Italia Pomigliano (Fip) non ha alcun obbligo di assumere i 4367 dipendenti dello stabilimento di Pomigliano Fiat Group Automobiles». Non solo, ma la Fip «mantiene piena autonomia contrattuale nel se, quando e chi assumere». Dove sono finite, dunque, le promesse di riportare al lavoro tutti i dipendenti dello stabilimento Fiat, poi passato alla newco Fip per consentire a Marchionne di violare i contratti, imporre le sue condizioni organizzative «dopo Cristo»? In Fip lavorano 2143 addetti, fuori ne sono rimasti circa 2200 della vecchia Fiat, ma ci sono altre centinaia di operai che ballano, dipendenti dell’indotto. Il 13 luglio 2013 finisce la cassa integrazione per i dipendenti Fiat, cosa succede se la newco non li assume? Davanti ai cancelli non è facile parlare. Chi entra ed esce con la tuta non vuol dire il suo nome, i guardiani osservano. Ci sono pure dei poliziotti in borghese, della Digos, che controllano dal parcheggio. Emilio Arriso, assunto nel 2003, ex iscritto alla Uilm è venuto per conoscere le ultime novità: «Mi volete spiegare perché ci sono 2000 lavoratori che stanno dentro e altri 2000 stanno fuori? Non possiamo fare un po’ ciascuno, con la solidarietà? Marchionne vuole fare dimagrire la fabbrica, chiuderla con 5000 dipendenti è un grosso problema ma se sono meno della metà è più semplice». Sul furgone bianco c’è Carmen Abbazia, tre figli, è pure iscritta al Pd. Racconta: «Sono sola, ho bisogno di lavorare. Ho chiesto all’azienda di assumermi visto che dentro ci sono casi in cui marito e moglie lavorano tutti e due. Mi hanno detto che c’è un problema perché sono della Fiom». Nel gruppo del volantinaggio c’è Maurizio Rea, 45 anni, al montaggio dal 1989. È originario di Porticelli, famiglia comunista, «migliorista, scrivilo, mi raccomando». È stato l’ultimo segretario della sezione di fabbrica Ds “Enrico Berlinguer”. «Poi basta, non ce l’ho più fatta» spiega, «non riesco a capire come sia possibile che la politica, la sinistra non si rendano conto della gravità delle azioni condotte dalla Fiat. In questa vicenda noi della Fiom siamo i moderati: rispettiamo le leggi e i contratti, difendiamo i lavoratori, vogliamo che tutti i dipendenti Fiat vengano assunti da Fip, accettiamo le sentenze della magistratura. Dopo il giudizio della Corte d’Appello che condanna la Fiat mi sarei aspettato una reazione politica, un intervento del Parlamento, ma non è successo niente. Stanno zitti, siamo soli». Sebastiano D’Onofrio, magrissimo, un fascio di nervi e muscoli, è uno dei 19 che ha fatto causa alla Fiat e ha vinto. «Sono di Visciano, ci sono altri lavoratori della Fiat al mio paese. L’altra sera alcuni mi hanno detto che sono contenti del nostro ritorno perché dentro, in fabbrica, la vita è diventata impossibile, non si resiste alle nuove condizioni» dice, «non ci sono più tabelle, non ci sono più le misure su cui il lavoratore si poteva organizzare, vale solo la parola del caporale di turno, il capo che fa il bello e il cattivo tempo». E adesso che si rientra? «Sono contento, la nostra vittoria è di tutti i lavoratori, tutti devono aver il posto. Non ho paura, questa è una battaglia che va combattuta». Il dubbio è se ci sarà un futuro. La nuova Panda non decolla. Iniziano altre due settimane di cassa integrazione. Franco Percuoco, di San Giorgio a Cremano, non nasconde le difficoltà, la durezza della battaglia: «Dopo tanti anni ci tocca ancora difendere la dignità, la libertà dei lavoratori, batterci per un pezzo di pane. Chi ha creduto alla Fiat dovrebbe riflettere sugli effetti delle sue scelte. Il progetto di Marchionne è nato qui e qui deve morire. Non ci sono alternative». Sulla palazzina centrale dello stabilimento c’è ancora il grande telo per il lancio della Panda. Annuncia: «Noi siamo quello che facciamo».
L’Unità 28.10.12