attualità, politica italiana

"Attacca Merkel da antieuropeo", di Paolo Soldini

E così furono Angela Merkel e Nicho- las Sarkozy ad «assassinare la credibili- tà» di Silvio Berlusconi. Fu il compi- mento di un disegno di «deterioramen- to» della sua «immagine» che era stato messo in opera per un motivo preciso: la Germania aveva esercitato la sua «egemonia» sull’Unione europea «for- zando» i capi di Stato e di governo a decisioni che lui, Berlusconi, non ha «mai condiviso». Insomma, bisognava punire il reprobo. Meglio: levarlo dalla scena.
Fra le tante sparate della conferenza stampa di sabato, questa, insieme con l’affermata impellenza di combattere la «magistratocrazia», è quella che meglio mette a nudo il pensiero vero dell’ex capo del governo che tanto a lungo tenne in mano le sorti dell’Italia e ora vorrebbe pure continuare. Berlusconi addebita i guai suoi e dello sgoverno d’Italia alla Germania di Merkel e un po’ anche alla Francia del suo (di lui) vecchio sodale Nicholas Sarkozy, che la seguiva «passivamente».
In realtà, il suo vero obiettivo polemico è proprio l’Europa: Merkel, Sarkozy, Hollande, Cameron, Bruxelles, Draghi, Francoforte e tutti gli altri, in un unico calderone. La Germania della cancelliera è solo una parte per il tutto, lo schermo dietro il quale mascherare le proprie vere inimicizie e, poiché la signora anche in Italia suscita una certa antipatia popolare, alimentare le proprie propensioni populistiche. Perché la verità è che Berlusconi non ha mai amato l’Unioneeuropea.Pertanti motivi, alcuni dei quali addirittura psicologici: in una comunità che almeno in teoria e per profilo istituzionale dovrebbe essere collettiva, solidale e cooperativa si piazza male la personalità di un egomane che tende a impostare i rapporti in termini di relazioni personali e di (presunto) fascino da esercitare. Tanto più quando non si è per niente il primus inter pares perché il ruolo è saldamente occupato.
Il potere di Angela Merkel esiste ed è forte, ma non si basa certo sulle amicizie personali e men che mai sulla propensione a sedurre. La cancelliera non si è mai preoccupata di risultare «antipatica». Al di là dei risvolti di personalità, l’inimicizia di Silvio Berlusconi per l’Unione europea ha ben solidi fondamenti di cui c’è traccia in tutto il suo cammino politico. L’alleanza con la Lega, per esempio. L’opposizione a suo tempo esercitata contro l’entrata dell’Italia nell’euro (prontamente rivisitata ora che la moneta unica soffre di qualche impopolarità). L’allegra partecipazione alla fine degli anni ’90 alle manovre franco-tedesche contro la Commissione Ue quando Parigi e Berlino truccarono i propri bilanci «alla greca» per rispettare i criteri di Maastricht e poi, nel 2003, l’ordine a Tremonti di appoggiare le pretese di Jacques Chirac e di Gerhard Schröder perché non scattassero le sanzioni contro gli sforamenti dei bilanci.
I regolari «no» del governo di Roma ad ogni ipotesi di misure per aumentare l’integrazione in materia di controlli sulla finanza. Il rapporto di «amicizia» con George W. Bush che portò l’Italia in Iraq contro il parere di Francia e Germania. Si potrebbe continuare a lungo, ma non crediamo che si debba ancora dimostrare la scarsa propensione europeistica di Berlusconi (e anche di Tremonti, che pure in qualche fase ha giocato a fare l’uomo di Bruxelles). L’ostilità, d’altronde, era largamente corrisposta e diventò ufficiale con il famoso diktat di Trichet e Draghi nell’estate dell’anno scorso.
I sorrisetti di Monsieur le Président e di Frau Merkel che segnarono «l’assassino della mia (sua) credibilità», per quanto odiosi, furono solo la sanzione di un giudizio unanime che era diffuso da Bruxelles a Francoforte e alle capitali importanti dell’Unione. Restano da spiegare le ragioni profonde del «non europeismo» di Berlusconi. C’è certamente una componente ideologica: l’idolatrizzazione (tutta teorica) del libero mercato e l’insofferenza verso i famigerati «lacci e lacciuoli» che soffocherebbero l’economia e impedirebbero il dispiegarsi della sua potenza benefica sono pregiudizi largamente diffusi tra chi si oppone a un governo europeo dell’economia. Ma, a parte l’incoerenza clamorosa del liberismo tutto proclamato e per niente praticato in Italia negli anni scorsi, va detto che l’ atteggiamento ideologico neoliberista è stato dispiegato negli anni scorsi, fino all’arrivo sulla scena di Hollande, da quasi tutti i governi e ha trovato freni solo nella sensibilità delle pubbliche opinioni. Angela Merkel non è certo una socialista, né una keynesiana. Ma dietro ha un Paese che è profondamente attaccato al proprio welfare e al modello dell’economia sociale di mercato e al quale deve in ogni caso dar conto. Con il suo monetarismo e l’austerity alimenta contraddizioni che probabilmente alla fine pagherà. Ma la Germania è un Paese solido, che può sbagliare politica ma non perdersi. Come stava per succedere all’Italia del governo Berlusconi.
L’Unità 29.10.12
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“Un uomo rimasto solo”, di ILVO DIAMANTI
È DIFFICILE uscire di scena. Quando per quasi vent’anni si è stati al centro – non dello spazio politico – ma di ogni dibattito, valutazione, polemica. È difficile.
Quando si è, ancora, alla guida del più grande gruppo televisivo privato. Quando si è abituati a misurare il proprio potere – non solo economico e finanziario – in base al controllo personale dei media. Visto che il sistema politico e il modello di partito imposti da Berlusconi ruotano intorno alla sua persona e alla comunicazione. È difficile farsi da parte. Perché si rischia la devoluzione rapida e devastante della propria posizione politica ed economica “personale”. Ma, soprattutto, si rischia l’isolamento. La solitudine. Sta qui l’origine degli interventi di Silvio Berlusconi, negli ultimi giorni. “Estremisti”, nei toni. L’Uomo-Solo-al-Comando, all’improvviso, si sente solamente Solo. E ha paura del silenzio intorno sé. Reagisce con estrema violenza – verbale. Così grida. E usa, non a caso, linguaggio e stile di comunicazione sperimentati, con successo, da Beppe Grillo. Il quale, a sua volta, ha intercettato una parte degli elettori di Berlusconi, orfani di rappresentanza e di rappresentazione. Il Cavaliere: un uomo solo. Il giorno dopo aver annunciato la rinuncia a candidarsi come premier, a capo del centrodestra, la condanna del Tribunale di Milano, l’ha fatto sentire vulnerabile. Gli ha fatto percepire la debolezza di chi non ha più il potere. Perché è e sarà fuori dalla scena politica. Comunque, non più al centro. E dunque esposto ai nemici di sempre: i magistrati. Il suo stesso “conflitto di interessi” da fattore di forza minaccia di ritorcersi contro di lui. Visto che la sua debolezza politica rischia di indebolire la posizione di Mediaset. Sul mercato dell’informazione e, in generale, sui “mercati finanziari”. Ma, soprattutto, Berlusconi non si è sentito sostenuto, ma, anzi, quasi abbandonato, dai leader del Pdl. O di quel che ne resta. Poche voci a suo favore, da centrodestra. Nessuna dal Centro. Neppure un sussurro dagli uomini del governo. Che egli aveva “accettato” e poi sostenuto. Al punto di candidare Monti a leader della “sua” parte. Berlusconi. Si è sentito solo e vulnerabile. Come quel 23 ottobre 2011, a Bruxelles, quando la Merkel e Sarkozy, interpellati sulla credibilità dell’allora premier italiano, si guardarono e sorrisero, suscitando l’ilarità di tutta la sala stampa. Berlusconi. La sua esperienza di governo si chiuse in quel momento. Sepolta dal ridicolo. Dall’in-credulità europea. Intollerabile per chi era abituato a recitare la parte dell’Uomo Solo al comando. Così, quando, nei giorni scorsi, ha percepito il proprio isolamento, nella Casa e nel Popolo che egli stesso aveva creato: in quello stesso momento ha reagito. Ha inveito. Con rabbia e risentimento. Non contro i “nemici” di sempre – magistrati e comunisti. Ma contro gli “amici” che lo lasciavano solo. E stavano negoziando, alle sue spalle, con i democristiani di Casini e con il salotto buono degli imprenditori, rappresentato da Montezemolo. Silvio Berlusconi ha minacciato di far saltare il tavolo. Non solo del governo tecnico, ma, anzitutto, del centrodestra. Del Pdl. Degli amici fidati che stavano preparando la sua successione. Senza di lui. Non solo. Ma “contro” di lui. Il Padrone – di ieri. Oggi: un Signore imbarazzante. Un’eredità sgradevole, perché è difficile assumere la guida di una forza politica all’ombra, ingombrante, del Fondatore – e unico leader, fino a ieri – del Partito Personale.
Per questo, più che un “ritorno in campo”, l’iniziativa di Berlusconi, in effetti, appare una minaccia di invasione. Espressa in modo perentorio. Un modo per dire, anzi, gridare, che lui, il Cavaliere, non se n’è mai andato. Che il muro di Arcore esiste ancora. Berlusconi. Ha rivendicato la propria capacità di esercitare il potere media-politico. Da solo contro tutti. Perché tutti l’hanno lasciato solo. A costo di ricostruire un nuovo “partito personale”. Una lista di “uomini nuovi”, da opporre ai “vecchi politici” presenti negli altri partiti. Compreso quello che egli, almeno fino a ieri, guidava.
Tuttavia, il tono e i contenuti dell’intervento di Berlusconi – la sua stessa presenza fisica – confermano l’impressione di una storia conclusa. Difficile raccogliere la denuncia della politica e delle politiche dell’ultima stagione espressa da chi ne è stato non “un”, ma “il” protagonista. Difficile immaginare che vi sia spazio per un altro soggetto anti-montista e anti-europeo, in Italia. Oltre a quelli che già agiscono sul mercato politico. Dalla Sinistra alla Lega al M5S. Difficile anche concepire che la maschera esibita dal Cavaliere nella conferenza stampa – artefatta, affaticata: sempre più vecchia – possa “rappresentare” un “nuovo” soggetto politico, composto di persone giovani – e nuove. Nella parabola di Berlusconi, “i due corpi del leader” (per echeggiare la metafora di Mauro Calise) sono indissolubili. Il declino “fisico” si riflette in quello del “corpo politico”.
Le invettive di Berlusconi risuonano, così, come “grida nel vuoto”. Che, per questo, echeggiano più forti. Perché, davvero, intorno a lui, c’è il “vuoto”. Il centrodestra e il Pdl, che egli ha creato a propria immagine e somiglianza, oggi appaiono in seria difficoltà nel tentativo di ricrearsi. Di costruire una nuova immagine e una nuova identità. Non sarà facile, per chi è vissuto e cresciuto alla sua ombra. Ma l’esternazione di Berlusconi rende evidente anche il “vuoto” prodotto dal crollo del Muro di Arcore, costruito sulle macerie del Muro di Berlino. Oggi quel muro non c’è più e Berlusconi resta sulla scena politica non per guidarla. Né per organizzarla. Al più, per condizionarne le scelte e gli indirizzi. Ma, soprattutto, per difendersi. E per farsi intendere deve gridare forte. In prima persona. Visto che sono in tanti a gridare, in questo cambio d’epoca. La Seconda Repubblica è finita. Ora occorre costruirne una nuova. Senza muri e senza nemici. E, tanto per iniziare, senza inseguire Berlusconi.
La Repubblica 29.10.12
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“Il Cavaliere è nudo”, di FILIPPO CECCARELLI
LA PELLE irrimediabilmente livida, lo sguardo fisso, incattivito, la palpebra sinistra ferma, i gesti delle mani eccessivi e fuori tempo rispetto alle spalle immobili. MA CONVIENE a Silvio Berlusconi mostrarsi ancora al pubblico come lo si è visto in questi ultimi giorni? Consummatum est.
Al netto delle contraddizioni politiche, nelle ultime immagini provenienti da villa Gernetto il terribile mascherone del Cavaliere si accompagnava a un respiro a tratti pesante e affaticato, un soffio come di tensione e d’affanno, un ansimo tanto più percepibile, quanto più risuonava proiettandosi su quel fondale incredibilmente fastoso di fregi d’oro, legni pregiati e broccati rossi; là dove, avendo al fianco il suo avvocato Ghedini, Berlusconi, ormai condannato, ha detto più o meno il contrario di quanto appena due giorni prima aveva solennemente pronunciato dalla consueta scrivania, con la bandiera europea al fianco e il solito panneggio di tende alle spalle, nel mentre si congedava dalla politica, addio addio, e incoraggiava il governo Monti, “espressione di un paese che non ha mai voluto partecipare alla caccia alle streghe”.
Seminuova era la penna che l’ex premier teneva in mano, vecchio accorgimento suggerito a ogni novizio per mantenere un baricentro dinanzi alle telecamere. E già in questo penultimo video, che subito nel sito di comunicazione politica internazionale Nomfup figurava appaiato all’addio di Mubarak, era visibile l’esaurimento definitivo della spontaneità e dell’energia mediatica berlusconiana. Virtù un tempo prodigiose e ora ridotte da fare pena, come un po’ di telegenica pietà suscitava il loro invecchiato ex depositario che leggeva quel testo sul gobbo, ormai del tutto incapace di “simulare di non recitare”, come si dice nel gergo a doppio fondo degli spin-doctor e degli studiosi dell’eterna propaganda.
Hanno forse fatto il loro tempo anche i consiglieri del Cavaliere che l’altra sera, dopo la sentenza, di nuovo l’hanno spedito a contraddirsi per oltre un’ora in quella sala addobbata come una chiesa davanti a un nugolo di ex ministri e ministre plaudenti. Scenario a suo modo reso ancora più pazzesco dall’enorme riproduzione di quella “Scuola di Atene” di Raffaello che invano a suo tempo cercò di dar lustro al programma “Ci manca anche Sgarbi”, su Raiuno, sospeso dopo la prima puntata, per la gloria del riciclaggio d’icone e della loro recidiva inutilizzabilità.
Detta in maniera evasiva “Viale del tramonto” non è solo un capolavoro di Billy Wilder (1950), ma il crudele oscurarsi di un fenomeno di persuasione collettiva che ha mutato in Italia l’arte del potere. Detta in termini brutali, Berlusconi assomiglia sempre più a un pupazzo arancione che si ostina a mettere in scena la propria consumazione.
E colpisce che l’altra sera, riferendosi alle risatine di Sarkozy e Merkel, egli abbia definito quelle risatine “una iniziativa di deterioramento della mia immagine”. Colpisce perché, senza considerare il ruolo dei due leader europei (i quali secondo una ricostruzione del Wall Street Journal ridevano perché reduci di un incontro in cui l’allora presidente italiano si era appisolato), quel “deterioramento” sembra piuttosto l’esito inevitabile, ma anche il contrappasso, la nemesi, di un lungo percorso cominciato proprio quando Berlusconi, l’uomo nuovo, si è gettato nel mercato dei corpi, dei sogni e delle visioni a distanza proponendosi come un prodotto, risucchiando l’aura dei divi, la vitalità
delle merci e l’euforia degli spettacoli.
Viene da chiedersi se, costretto com’è a smentirsi nell’arco ormai di un paio di giorni – lascio, non lascio, Monti va bene, ma ora gli tolgo la fiducia – egli si renda conto che il
redde rationem si coglie da prima di tutto da quell’aria inasprita, si vede dal suo aspetto ogni volta più terreo, si sente amplificato in quel respiro che si spezza e rende la sua voce meno suadente, più stanca e infelice. Fin troppo in fondo è durato l’incantesimo. Poi, come ogni oggetto di consumo, il Cavaliere ha dismesso attenzione, fiducia, consenso, ha deluso per primi i suoi fedeli e adesso sta per finire macinato nel frenetico ciclo della produzione-consumo.
Di questo processo, che controversi pensatori hanno designato “ finish”, gli ultimi video sono l’impietosa testimonianza. Utilizzata dal suo signore come mezzo di consacrazione, la tv si rivolta contro di lui dissacrandolo, mettendone a nudo la condizione fisica di estrema debolezza. Il Tempo, quello stesso che Berlusconi aveva raffigurato nel quadro alle spalle nella sala stampa di Palazzo Chigi, si vendica di chi ha cercato di ingannarlo, la chirurgia estetica presenta il conto, gli ingegni e i trucchi di scena si rovesciano nel loro contrario. Uno spettacolo brutto e anche un po’ triste a vedersi. Ma forse proprio per questo uno spettacolo istruttivo.
La Repubblica 29.10.12