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“Il porcellum ingrassato” di Gianluigi Pellegrino

Per quanto ripugnante sia il porcellum, si sta riuscendo a fare di peggio. E per mano degli stessi autori di quel delitto. Recidivi incalliti. Le regole sulla formazione delle leggi, in democrazia sono tutto. E in materia elettorale, alla vigilia del voto, lo sono ancor di più. Ed infatti il Consiglio d’Europa in uno specifico “Codice della buona condotta elettorale” ha stabilito che “gli elementi fondamentali del sistema elettorale, non devono essere modificati nell’anno che precede l’elezione” o dovrebbero essere legittimati da un consenso ampio di livello costituzionale.
È qui a ben vedere la principale ferita inflitta dalla “legge porcata”. A questo si riferiva Calderoli nella sua pubblica confessione. Fu una porcheria costituzionale infatti quella ordita dalla maggioranza berlusconiana, di approvare una legge dolosamente volta ad azzoppare la prevista vittoria del centrosinistra nelle elezioni del 2006. L’attentato andò a segno. Due furono le armi letali. Lo scippo del rapporto tra elettori ed eletti che il Mattarellum garantiva con il sistema dei collegi e che in quel momento avrebbe premiato nettamente la coalizione di Romano Prodi; e il mostro giuridico del “premio a perdere” concepito per il Senato con il correttivo maggioritario a scapito della coalizione vittoriosa.
Il combinato delle due aberranti misure ridusse a mera apparenza la vittoria del centrosinistra che infatti al Senato venne a reggersi su appena un voto e, grazie anche a non pochi errori, ebbe vita più breve di una farfalla.
Ma la porcata prima che nel merito era appunto nel metodo e cioè nella clamorosa violazione della regola che esclude nell’immediato ridosso
del voto, modifiche al sistema elettorale che non siano garantite da una maggioranza assai ampia.
Quando le elezioni sono alle porte e gli schieramenti in gran parte formati, vi è solo un’alternativa che risponde a minime regole di civiltà costituzionale: o vi è ampia condivisione per approvare un nuovo sistema, oppure le norme elettorali restano quelle in vigore per insoddisfacenti che siano. Sarà compito del nuovo Parlamento novellarle e nel frattempo onere dei partiti applicarle nel modo più conforme alla sensibilità degli elettori (mediante selezioni primarie anche dei candidati nelle liste bloccate).
Invece si sta facendo l’esatto opposto. Si è aspettato che il partito democratico optasse per una coalizione meno larga ma più omogenea, per concepire l’imboscata che confeziona una norma cucita apposta per impedire che quella coalizione possa vincere e governare, se mai poi allargandosi in sede parlamentare, ma dalla posizione di forza che spetta a chi vince.
La volontà esplicita è di escludere la governabilità e l’alternanza tradendo
quel poco di buono che la seconda repubblica partita con la stagione referendaria sembrava aver fatto conquistare.
La prova del nove è che mentre si dice di voler correggere l’anomalia del 55 per cento dei seggi che potrebbero andare anche ad un partito con appena il 25 per cento dei voti, si alza la soglia all’irraggiungibile 42 e mezzo per cento e ci si guarda bene dal rimediare all’oscenità del Senato dove il premio opera al contrario proprio in favore del caos.
Piuttosto che superare il porcellum lo si ingrassa; e si completa l’opera scippando definitivamente gli elettori anche della indicazione di una coalizione di governo.
Del resto basterebbe domandare a Casini o a Berlusconi se farebbero mai lo stesso ove per ipotesi i sondaggi li dessero in testa.
È questa la ragione della fondamentale regola europea che bandisce colpi di mano in zona cesarini in materia elettorale. Anche il Capo dello Stato lo ha più volte evidenziato. L’approssimarsi del voto se rende stringente l’opportunità di un sistema elettorale che ridia la scelta ai cittadini, allo stesso tempo impone la più ampia condivisione, che ovviamente non vi può essere su norme dolosamente contra partem, perfetto pendant di quelle ad personam.
Lo stesso Monti dovrebbe diffidare di un’operazione così smaccata concepita non da chi davvero lo vuole alla guida del Paese, ma da chi piuttosto che perdere preferisce mandare la palla nella tribuna del caos, per poi chiamarlo come foglia di fico di un governo e di una maggioranza sempre più contraddittori e quindi inconcludenti, privi di un leggibile percorso politico di crescita oltre la crisi.
Le regole ci sono per evitare anche questo. Per il loro rispetto è quindi legittimo attendersi un fermo monito del Quirinale non meno vibrato di quello che più volte ha giustamente rivolto contro il porcellum. Prima che sia troppo tardi e prima che la terza repubblica nasca su un nuovo sbrego alla condotta costituzionale di un paese europeo.
La Repubblica 07.11.12