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“La truffa? Sì, della storia”, di Michele Prospero

Ieri sul Corriere della Sera la polemica contro le proposte del Pd per la riforma della legge elettorale ha raggiunto i tetti di una rara falsificazione storiografica. Massimo Teodori ha scritto che il Pd vorrebbe un “sistema super-truffa” grazie al quale il partito che prende il 35 per cento dei voti si aggiudica il 55 per cento dei seggi. Non è proprio così. Il premio al partito maggioritario dovrebbe aggirarsi attorno al 10 per cento e scatterebbe comunque, come suggerisce il lodo D’Alimonte, solo nel caso in cui nessuna coalizione varcasse la soglia del 40 per cento. Questo accorgimento serve affinché l’incentivo alla coalizione non si trasformi in potere di ricatto dei vari cespugli. Dov’è la “supertruffa”? Un dispositivo analogo (con un premio al primo partito che in verità è vicino al 20 per cento dei seggi) ha appena consentito alla Grecia di non precipitare in una condizione istituzionale simile a quella di Weimar.
Quanto alla legge truffa (l’espressione non fu coniata dal Pci ma da Calamandrei, e anche il liberale Corbino avvertiva la fondatezza dell’epiteto) ciò che è stato pubblicato dal “Corriere” è davvero uno strafalcione storiografico. Teodori ha spiegato infatti che il congegno del 1953 prevedeva, per la coalizione che avesse percepito il 50 più 1 dei voti, l’attribuzione del 55 per cento dei deputati. Non è vero. Le opposizioni insorsero non per impedire un esiguo premio per la stabilizzazione in senso maggioritario del sistema ma perché la legge garantiva al vincitore circa il 65 per cento dei seggi (385 seggi su 590), e quindi la possibilità di mettere mano alla costituzione senza neppure l’opportunità per i soccombenti di ricorrere al referendum.
Quello del 1953 non era un premio per la governabilità perché la coalizione vincente comunque disponeva già dei seggi per andare avanti. Consentiva invece di avere numeri utili per manovre di rilievo costituzionale. Altro che “modesto premio di maggioranza di ieri”, di cui si è fantasticato sul “Corriere”. Quel “modesto” premio indusse alle dimissioni il presidente del senato (Paratore) ostile alle forzature regolamentari. L’etica politica è ormai un ricordo, si rammaricava Teodori. Ma anche la rispondenza ai dati storici più elementari lo è.
L’Unità 11.11.12