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“Asili nido, l’Europa è lontana”, di Rossella Cadeo

Obiettivi europei ancora lontani per gli asili nido. Uno strumento chiave – quello delle strutture destinate ad accogliere i più piccoli – per garantire un sostegno all’occupazione femminile e al tasso di natalità, e che invece è ancora diffuso in maniera assai difforme sul territorio. È questo lo scenario che emerge dall’ultimo dossier a cura dell’Osservatorio prezzi & tariffe di Cittadinanzattiva sull’offerta di strutture comunali. La ricerca prende in considerazione la disponibilità nelle varie aree (province, comuni capoluogo e regioni) e le rette di frequenza, basandosi sia su dati del ministero dell’Interno sia ricavati da un monitoraggio diretto.
I posti
Ebbene, le strutture comunali su cui possono contare le famiglie superano di poco quota 3.600 e sono in grado di soddisfare circa 147mila richieste di iscrizione. Ma i genitori di un bambino su quattro (il 23,5%) restano in lista d’attesa e sono costretti a rivolgersi altrove. E questo accade nella maggioranza dei comuni dal momento che, secondo il dossier di Cittadinanzattiva, il servizio è garantito in meno di un quinto dei comuni italiani. A concentrare l’offerta più cospicua sono, abbastanza prevedibilmente, le regioni del Nord (dove si localizza il 60% delle strutture), mentre Centro e Sud restano rispettivamente al 27 e al 13 per cento. A distinguersi sono in particolare la Lombardia (quasi 800 nidi) e l’Emilia Romagna (oltre 600), seguite da Toscana, Lazio e Piemonte.
Cambia decisamente la graduatoria se si considera il grado di copertura della potenziale utenza: il rapporto tra i posti disponibili e il numero di bambini 0-3 anni è pari in Italia al 13,3% considerando l’offerta nei comuni capoluogo. Ad avvicinarsi di più all’obiettivo posto dall’Agenda di Lisbona e dal Consiglio d’Europa (il 33% entro il 2010) è infatti l’Emilia Romagna: nella regione i nidi comunali (considerando quelli a gestione diretta, le strutture convenzionate, a gestione esternalizzata o mista) toccano il massimo del 20%; seguono Lazio (19,6%), Trentino Alto Adige e Lombardia (sopra il 17%). La regione più lontana dal traguardo europeo è la Calabria (1,5%) ma anche Molise, Campania e Sicilia non raggiungono il 5% (si veda il grafico in pagina). «Dall’indagine effettuata è evidente che ancora oggi manca nel Paese un sistema di servizi per l’infanzia equamente diffuso e accessibile su tutto il territorio – commenta Antonio Gaudioso, segretario generale di Cittadinanzattiva – così come mancano adeguate agevolazioni fiscali a sostegno dei nuclei familiari con bambini piccoli».
La spesa
In effetti, al di là dell’accessibilità, c’è anche il problema dei costi per la famiglia. Gli asili nido comunali rientrano tra i servizi a domanda individuale resi del comune su specifica richiesta dell’utente e il livello minimo di integrazione da parte delle famiglie si aggira sul 50% dei costi: minori sono le risorse sui cui può contare l’ente locale, maggiore è l’intervento a carico dei genitori. Ebbene secondo il dossier, una famiglia spende mediamente 302 euro per mandare il proprio figlio all’asilo (con frequenza a tempo pieno, 9 ore al giorno per cinque giorni la settimana).
Nel confronto territoriale la regione più economica risulta la Calabria (114 euro) e quella più costosa la Lombardia (403 euro). Scendendo nel dettaglio (si veda la tabella in alto) si superano anche i 500 euro a Lecco e Belluno (dati riferiti all’anno 2011/2012) mentre a Catanzaro e Vibo Valentia ne bastano rispettivamente 70 e 120.
Quanto alle variazioni rispetto all’anno precedente, la spesa annua, secondo l’Osservatorio, risulta stabile, ma ma con variazioni differenziate sul territorio (+16% nelle città settentrionali, + 6% al Centro ma -20% al Sud).
«Le misure a favore degli asili nido rappresentano un investimento intergenerazionale che produce effetti nel lungo periodo e quindi di scarso “appeal” per una classe politica concentrata sul consenso immediato – conclude Gaudioso –. D’altro canto la riduzione delle risorse a disposizione degli enti locali e la rigidità del patto di stabilità non aiutano a far ripartire gli investimenti in tal senso. Anzi contribuiscono a tagliare sempre di più le risorse destinate alla spesa sociale. Di questo passo difficilmente riusciremo a colmare il gap nei confronti dell’Europa e centrare la copertura del servizio del 33% già prevista per il 2010».
ostegno alle famiglie
ITALIA
20%
I comuni capoluogo di provincia dell’Emilia Romagna hanno il maggior tasso di copertura del servizio asili nido (posti ogni 100 bambini da 0 a 3 anni) secondo Cittadinanza attiva. Particolarmente avanti Bologna, Parma e Reggio Emilia. A livello nazionale il dato scende al 13,3%.
Il dato è difforme sul territorio in ogni caso molto lontano dall’obiettivo stabilito dall’Agenda di Lisbona già per il 2010: il 33% di copertura.
FRANCIA
2,1
La Francia vanta un tasso di fecondità di 2,1 figli per donna, superiore alla media Ocse (1,74 nel 2009) e al dato dell’Italia o della Germania pari a 1,4. Il confronto è fatto dal rapporto «Doing better for family» pubblicato dall’Ocse nel 2011 che analizza la condizione delle famiglie nei 34 Paesi membri. Francia avanti rispetto all’Italia anche considerando la fascia di età in cui si decide di avere il primo figlio: solo il 10% delle francesi nate nel 1965 non ha ancora partorito contro il 25% delle italiane.
DANIMARCA
60%
La Danimarca vanta un alto grado di diffusione dei servizi per la prima infanzia: i posti negli asili nido arrivano a coprire il 60% dei bambini di età inferiore ai tre anni (dati Fism – Osservatorio Cittadinanza attiva). Anche Svezia e Islanda si contraddistinguono con un tasso superiore al 50%.
Valori tra il 50 e il 25% in Finlandia, Paesi Bassi, Francia, Slovenia, Belgio, Regno Unito e Portogallo. Sotto al 3% Polonia e Repubblica Ceca.
GERMANIA
71,1%
Il tasso di occupazione femminile in Germania è fra i più alti nella Ue a 27, un indice che esprime la capacità di sviluppare politiche in grado di conciliare lavoro e famiglie. Altri Paesi particolarmente avanti sono l’Islanda (quasi 78%), la Norvegia e la Svezia, entrambe oltre il 77% (dati 2011 Eurostat riferiti al rapporto tra le donne occupate dai 20 ai 64 anni rispetto alla popolazione femminile della stessa età). L’Italia non raggiunge il 50%, contro una media europea del 62 per cento.
Il Sole 24 Ore 12.11.12