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“Autogoverno delle scuole statali” ecco perché il testo della Camera non è quello dell’Aprea!, di Osvaldo Roman

Nel clima di forte contrapposizione e di esasperazione determinato dalle prolungate iniziative dei governi contro la scuola pubblica, non escluse quelle di recente realizzate dal governo dei tecnici, non solo con l’ incredibile proposta sull’orario dei docenti contenuta nell’iniziale stesura del disegno della legge di stabilità (finanziaria) per il 2013 all’esame del Parlamento, si sono create le condizioni che hanno facilitato un’ azione di disinformazione circa quanto è stato definito, in questi mesi presso la settima Commissione della Camera, in materia di organi collegiali della
scuola.
Alcuni settori dell’associazionismo scolastico, sostenuti da
gruppi politici in cerca di facili consensi elettorali, hanno sviluppato
una forsennata campagna di mistificazioni circa il reale contenuto di
tale proposta di legge. Una campagna, innanzitutto caratterizzata
dalla finalità politica di associare e assimilare la proposta di riforma
gli organi collegiali della scuola attualmente all’esame del Senato a
quella presentata nel 2008 dall’on Aprea e alle altre iniziative che in
varia misura hanno interessato assai negativamente la scuola negli
ultimi tempi.
Si è così potuto parlare di:
• smantellamento degli organi collegiali;
• un progetto che apre le porte alla futura e completa
sottomissione della scuola statale agli interessi privati,
che pone fine alla scuola statale uguale per tutti e, in
contrasto con i principi fondamentali della nostra
costituzione, fa sì che le istituzioni scolastiche siano più
e meno prestigiose ed efficienti a seconda del territorio
in cui si trovano, a seconda dei maggiori o minori
investimenti che avranno e a seconda del reddito
familiare degli alunni iscritti;
• vera e propria privatizzazione della scuola
1Tutte queste critiche se potevano avere una qualche validità nei
confronti dell’iniziale pdl n. 953 Aprea sono risultate prive di
qualsiasi reale fondamento se riferite al testo approvato dalla
Camera lo scorso 10 ottobre.
L’operazione di mistificazione, condotta con grande
spregiudicatezza, si è fondata sull’uso di proclamazioni e di denunce
non verificabili puramente verbali e sul mancato confronto tra i
diversi testi in discussione. Ciò anche approfittando della scarsa
diffusione che avevano tali documenti legislativi. Non è un caso che
nessuno di codesti critici si è preso la briga di proporre un serio
confronto tra quello che sosteneva il progetto Aprea non solo in
materia di organi collegiali ma anche in materia di privatizzazione
della Scuola o di reclutamento e stato giuridico dei docenti con i
contenuti della proposta poi approvata dalla Camera.
Si è così potuto tranquillamente sproloquiare su “l’idea di una
scuola gerarchizzata sulla base del “merito”e nello stesso tempo
aziendalizzata”, sul rafforzamento del ruolo manageriale dei
dirigenti; sul controllo ministeriale sulla didattica attraverso gli
strumenti di valutazione, apparentemente indipendenti, ma in
realtà ministeriali; sul futuro Consiglio Nazionale della Pubblica
Istruzione che sarebbe, come oggi, presieduto dal ministro di
turno.
Tali presunte scelte del progetto di legge approvato dalla Camera
costituirebbero “un segnale concreto dell’attacco cui sarà (col futuro
governo di centro sinistra?) sottoposta la scuola pubblica e con
essa la democrazia scolastica ed il suo ruolo istituzionale”.
Settori del mondo studentesco, sulla base di siffatte analisi
hanno potuto sostenere che “la legge Aprea (riferendosi al nuovo
testo della Camera) avvia un vero e proprio passo indietro per quel
che riguarda la democrazia in quanto non si garantisce più nessun
diritto, da quello di assemblea a quello della presenza dei
rappresentanti di classe”.
Quindi per tutti costoro “la legge 953 (neppure il numero è
azzeccato perché alla Camera un testo approvato in comitato
ristretto riporta i numeri di tutti e 12 i progetti esaminati) è una
legge da ritirare,perché l’autonomia che ne deriva non é quella che
serve alla scuola”. E soprattutto affermano che “non verrebbe
costruita un’autonomia didattica e organizzativa in grado di
2valorizzare le competenze educative dei docenti e le forme di
autogoverno della scuola, come é stato fino ad oggi grazie ai
decreti delegati del 1974”.
Denunciano al contrario che cisarà “un’autonomia fondata sulla
separazione, l‘autoreferenzialità e la parcellizzazione delle
componenti scolastiche, dirette solamente da un dirigente
scolastico nominato dall‘alto che somiglierà sempre più ad un
amministratore delegato e non ad educatore di comunità.”
Si tratta di affermazioni, quali quelle che esaltano la funzionalità
dell’attuale assetto degli organi collegiali o quelle riguardanti “la
separazione”, “l’autoreferenzialità” e la parcellizzazione” dei nuovi
organismi dell’autonomia scolastica o come quelle nelle quali
addirittura si evoca la scomparsa degli organi collegiali e dei diritti
degli studenti, tutte prive di qualsiasi riferimento alla realtà e frutto
di un delirante sforzo propagandistico che si propone come unico
scopo un obiettivo di tipo politico-elettoralistico.
Di fronte a tale montagna di assurde mistificazioni occorre
pazientemente riproporre un esame puntuale dei testi (Tabella) il
solo capace di superare la disinformazione in atto e di smascherare
i provocatori di professione.
La privatizzazione della scuola
Iniziamo dal tema della privatizzazione della scuola esaminando tre
aspetti fondamentali del problema presenti nel progetto Aprea: le
fondazioni, il finanziamento delle paritarie e il ruolo degli esterni nei
Consigli.
Le Fondazioni
La proposta Aprea prevedeva la possibilità di trasformare le
istituzioni scolastiche in Fondazioni (art.2) e riguardava, sulla
base di quanto indicato all’art.1 comma 7, anche le scuole
paritarie. Pertanto il Regolamento governativo, su cui era
previsto il parere del Consiglio di Stato, mentre per le scuole
statali rappresenta uno strumento per la loro privatizzazione, per
quelle paritarie rappresentava la strada per una loro totale
omologazione al “pubblico privatizzato”. Infatti, con le
trasformazioni regolamentari si potevano cambiare la natura e le
finalità delle scuole a seconda delle decisioni proposte dalle
medesime. Non era peraltro precisato il rapporto tra la proposta
di regolamento formulata dalle scuole e i poteri Ministeriali. Di
fatto però l’istituto della Fondazione poteva essere uno
strumento di privatizzazione della scuola statale che lo adottava
in quanto:
a) ne cambiava finalità formative e i relativi contenuti;
b)mutava il rapporto con gli insegnanti dal metodo di reclutamento
al trattamento giuridico ed economico;
c) mutava il rapporto con l’utenza anche rispetto ai costi di
funzionamento da essa sostenuti.
Non erano precisate le modalità di approvazione da parte del
Consiglio di Amministrazione della scuola della proposta di
trasformazione in Fondazione. Ogni scuola decideva per conto suo o
decideva per tutte le scuole il Ministro. Non erano previste
maggioranze qualificate. Di fatto la norma prevista apriva una
guerriglia per la privatizzazione delle scuole destinata ad essere
combattuta in tutte le 10 mila istituzioni del nostro paese. Una vera
e propria guerra civile permanente!
Delle Fondazioni non vi è alcuna traccia nel testo approvato
dalla Camera. Provi qualcuno a dimostrare il contrario!
Il Finanziamento
L’articolo 11 del testo Aprea proponeva la privatizzazione del
sistema scolastico. Anche con le Fondazioni, come si è visto, si
perseguiva tale obiettivo. Le risorse finanziarie, umane e
strumentali presenti nel Bilancio dello Stato (circa 45 MLD di euro
per la sola istruzione) sarebbero state trasferite alle Regioni ai
Comuni e alle Province e da questi alle scuole statali e paritarie. Di
fatto nel Bilancio del Miur sarebbero rimaste solo le spese
riguardanti l’Università e la Ricerca e quelle riguardanti il
funzionamento e le competenze dell’amministrazione centrale e
periferica.
Ogni scuola statale o paritaria anche di nuova istituzione avrebbe
ricevuto una quota del bilancio statale e della più generale spesa
pubblica per l’istruzione, comprendente le retribuzioni dei docenti e
del personale, corrispondente alla quota capitaria moltiplicata per il
numero degli studenti iscritti. Le scuole di fatto si sarebbero istituite
o avrebbero cessato di funzionare per decisione delle famiglie.
Sarebbe così cessato il compito costituzionale della Repubblica di
4istituire scuole statali di ogni ordine e grado (art 33 c.2 della
Costituzione).
Di tale “innovazione” ovviamente non vi è traccia alcuna
nella proposta di legge approvata dalla Camera che
mantiene inalterato l’obbligo statale di provvedere
all’integrale finanziamento dell’istruzione a partire dalle
retribuzioni dei docenti e del personale. Non sussiste alcuna
forma di riduzione dell’impegno statale e di privatizzazione
della scuola: chi lo sostiene avrebbe il dovere di dimostrare
come e dove ciò avviene!
Gli esterni
Nella proposta Aprea, art 1 e art. 6 comma 1, avrebbero fatto parte
del Consiglio di amministrazione i rappresentanti ( sembra più di
uno) degli enti locali ed esperti esterni in un numero non definito
che sarebbero stati membri di diritto a tutti gli effetti. Non era
chiaro se tutti costoro si dovessero considerare fra gli undici
componenti o oltre. La proposta si riferiva ad esperti esterni e non
già come indica il pdl approvato alla Camera a “ulteriori membri
esterni” scelti tra le realtà di cui al comma 2 dell’art.1 del
medesimo e cioé rappresentanti delle autonomie locali e delle
realtà culturali, sociali, produttive, professionali e dei servizi,
chiamati a contribuire al perseguimento delle finalità educative
delle istituzioni scolastiche, ciascuna secondo i propri compiti e le
proprie attribuzioni. In realtà a questi ultimi alludeva anche l’art.1
della proposta Aprea che però se ne dimenticava quando all’art.6,
comma 1 si riferiva solo ad esperti esterni scelti in ambito
educativo, tecnico, o gestionale demandando al regolamento le
modalità di scelta. Il testo della Camera all’art.4 comma 1 lettera c,
stabilisce che il Consiglio dell’autonomia può essere integrato, con il
voto favorevole almeno dei due terzi dei componenti del consiglio
stesso, da ulteriori(oltre i 9 o 13 previsti) membri esterni, scelti fra
le realtà di cui all’articolo 1, comma 2, in numero non superiore a
due, che non hanno diritto di voto.
Quindi la rappresentanza esterna si riduce ad uno o a massimo due
componenti senza diritto di voto che in alcuni casi potranno essere
anche Segretari di Camere del lavoro, componenti di RSU di grandi
strutture produttive o dei servizi, esponenti dell’ambientalismo o
dell’associazionismo culturale ecc. Questa è tutta la privatizzazione
5presente nel testo di legge! Non risultano veramente ridicole tutte
le forsennate denuncie sull’invasione degli esterni che porterebbe
dritto dritto alla privatizzazione? In realtà se ben realizzata tale
opportunità potrebbe solo servire alla scuola a perseguire meglio le
finalità formative e culturali, previste dagli ordinamenti nazionali
degli studi, rapportandole anche alle specificità produttive e
territoriali. Inoltre c’e da segnalare che i parametri inseriti in fasi
successive del dibattito in commissione), parità nel numero dei
componenti tra docenti e genitori e parità tra genitori e studenti,
hanno praticamente fatto sì che il testo della legge indicherà una
composizione pressoché univoca del Consiglio dell’autonomia:
nelle scuole secondarie superiori i componenti con diritto di
voto saranno ovunque 10, nelle scuole primaria e secondaria
di I° potranno essere 10 o 12.
Lo Statuto potrà inoltre unicamente decidere se gli esterni
saranno uno o due! A questo si riduce la tragica
differenzazione lamentata da molti critici che lo Statuto
genererebbe fra le circa 9.000 scuole esistenti su tutto il
territorio nazionale!
Lo stato giuridico e il reclutamento
Il testo dell’on. Aprea si occupava diffusamente per tutto il Capo III
dello stato giuridico dei docenti.
La chiamata diretta come “concorso”.
All’art 12 introduceva il singolare concetto di “libere associazioni
professionali dei docenti” non chiarendo cosa mai potessero essere
quelle non libere. Appariva di fatto all’orizzonte il concetto di
“Associazioni ministeriali”.Cioè libere perché riconosciute come tali
dal Ministero
Per quanto riguarda la formazione iniziale dei docenti il medesimo
testo all’art.13 recuperava buona parte del D.L.vo Moratti sulla
formazione. Non risultava però recuperata, nonostante che lo si
affermasse altrove, la norma sul valore abilitante degli esami
universitari e di conseguenza venivano a cadere i successivi
riferimenti e tale titolo.
L’Art.14 prevedeva gli albi regionali dei docenti e stabiliva che chi
avesse conseguito il titolo abilitante vi si doveva poter iscrivere
sulla base del voto conseguito. Nel testo forse per una svista non
veniva negata la possibilità di iscrizione in qualsivoglia albo
regionale. A meno che una legge (regionale?) non potesse poi
limitare poi tale accesso. Proprio in quel periodo il ministro Gelmini
andava sostenendo che almeno il 60 % dei docenti avrebbe dovuto
essere “legato al territorio”. Che cosa significava ciò? Obbligo di
nascita e da quante generazioni? Il testo della 953 in realtà
sembrava voler prefigurare una limitazione alla regione dove si era
conseguito il titolo di studio.
Con la previsione del contratto di inserimento di cui trattava l’art 15
iniziava la costruzione di un vero e proprio processo di
privatizzazione del reclutamento. Innanzitutto non era chiaro, e non
era cosa di poco conto, se tutti coloro che avessero conseguito
l’abilitazione avessero il diritto al contratto di inserimento. Non era
inoltre chiaro poi se si dovesse procedere alla nomina solo per
coloro che erano stati prescelti secondo l’ordine di graduatoria.
Quello che era chiaro era che tale ordine non sarebbe stato
rispettato dalle scuole che avrebbero potuto scegliere i docenti da
nominare. Qui, di fatto, si realizzava il principio della chiamata
diretta perché il successivo concorso si sarebbe rivolto solo ai
suddetti soggetti così arbitrariamente selezionati.
Se andiamo a riconsiderare come si svolge attualmente il concorso
dei docenti di religione cattolica troviamo che anche lì prima c’è
l’idoneità e l’incarico discrezionale da parte delle Curie. Poi c’è il
concorso ma la graduatoria di merito non risulta vincolante per le
nomine in ruolo e per l’assegnazione delle sedi su cui dispone
sempre l’autorità religiosa. Per questo motivo il reclutamento che
veniva proposto dall’on. Aprea poteva essere definito “ di tipo
curiale”.
La chiamata diretta accompagnava e sosteneva il progetto di
privatizzazione della scuola che assumeva così connotati
regionali e ideologici.
E molto importante mettere in evidenza che il PDL 953 faceva
riferimento ai nuovi corsi di formazione dei docenti definiti
dall’articolo 13 e quindi escludeva dalla partecipazione ai concorsi
indetti dalle scuole tutti i vecchi abilitati ma anche coloro che
avessero fatto in precedenza le SISS o le lauree magistrali. Non era
7un caso che propri in coincidenza con la presentazione di tale
proposta il governo bloccasse le SISS e ogni tipo di formazione
universitaria. Non era chiaro nel testo se avessero potuto
partecipare ai concorsi indetti dalle singole scuole tutti gli aventi
titolo su scala nazionale. In questo caso l’ingorgo del concorso
nazionale che si voleva evitare si sarebbe moltiplicato per 10 mila!
La gerarchizzazione della funzione docente
Per quanto riguarda la carriera dei docenti, l’art. 17 del pdl 953
provvedeva all’articolazione in tre distinti livelli della professione
docente.
La definizione dei contingenti di ciascun livello avrebbe dovuto
essere materia di contrattazione sindacale ma ciò non veniva
precisato perché in tutto il PDL si ometteva di stabilire quali fossero
le materie residuali destinate alla contrattazione sindacale. Se non
lo si faceva era perché ci si attendeva e si auspicava che con altri
atti legislativi, da altri prodotti (Brunetta o Tremonti), si sarebbe
provveduto allo scopo.
Con l’introduzione della vice dirigenza si recuperava la condizione di
sovra-ordinamento gerarchico dei dirigenti rispetto ai docenti, persa
nei tempi dell’egualitarismo ma sicuramente in grado di riportare
serietà e ordine in tutte le scuole. Peccato però che per il Dirigente
tale condizione non fosse prevista dall’articolo 25 del T.U. Ma si
poteva rimediare attribuendola al vice che l’avrebbe esercitata per
delega da chi, non possedendola, ne veniva investito
indirettamente.
Un associazionismo professionale di regime
L’Art. 19 della proposta Aprea si occupava del nuovo
associazionismo professionale di regime. Si deve notare che la
normativa all’epoca vigente non prevedeva l’accreditamento delle
Associazioni professionali in quanto tali. Semmai accreditava quelle
che svolgevano determinate attività di formazione e solo a tal fine.
All’art. 20 era molto evidente che il principio del riconoscimento
governativo sostituiva quello della rappresentatività che regolava la
partecipazione dei sindacati alle trattative e la presenza nel CNPI.
Non era specificata la natura dei nuovi organismi regionali e
nazionale che risultavano rappresentativi solo a parole ma non nei
fatti. Non si diceva neppure se fossero o meno organismi
Ministeriali incardinati presso gli Uffici regionali e il Ministero oppure
organismi autonomi e gestiti dalle rappresentanza (comunque
designate o elette dei docenti). Risultavano ignote pure le modalità
del loro funzionamento e del loro finanziamento. Tutta la normativa
in materia risultava quindi generica e puramente declamatoria.
Evidentemente era un piano del centro destra, poi realizzato da
Brunetta, quello di abolire le competenze in materia di contenzioso
amministrativo e disciplinare, attribuite al CNPI, per assegnarle
esclusivamente all’amministrazione. Il comma 4 dell’art.21
riproponeva comunque la natura paraministeriale di tali organismi.
L’eliminazione delle RSU
Con l’ art.22 si volevano sistemare le vituperate e invadenti
organizzazioni sindacali. Non era chiaro dove e come si sarebbero
dovute individuare le materie riservate alla contrattazione nazionale
regionale e di istituto e chi ne dovessero esserne i titolari dato che
a livello di istituto ad esempio si abrogavano le RSU.
Dava evidentemente già all’epoca troppo fastidio il voto garantito a
tutti i dipendenti liberamente espresso scuola per scuola. Si
intendevano eleggere le rappresentanze sindacali a livello
regionale. Si intravvedeva, pur nella vaghezza del testo, la linea poi
ripetutamente espressa dal Ministro Brunetta: contratto nazionale
snello con l’individuazione dei minimi retributivi dei tre livelli in cui
si sarebbe dovuta articolare la docenza; una contrattazione
regionale in cui riconoscere gli incentivi alla funzione docente e una
di istituto in cui, in assenza di rappresentanze sindacali, sarebbe
stata solo possibile la sottoscrizione del contratto individuale.
Si trattava complessivamente più di un manifesto
sull’autoritarismo di quella destra di governo che di un’effettiva
normativa di carattere legislativo. Forse per questo molti all’epoca
lo sottovalutarono o lo lessero con distrazione. E soprattutto per
questo che oggi molti, forse allora distratti, non riescono ad
apprezzare la circostanza che nel testo della Camera non vi è più
traccia di tutto questo ciarpame. Però certi critici continuano
senza vergognarsene….a chiamarlo testo Aprea!
Il nuovo assetto degli organi collegiali a
livello di istituto.
Esaminato cosa volesse conseguire, in quei due importanti settori
(privatizzazione-stato giuridico e reclutamento), il pdl 953, si può
prendere in considerazione quella materia che viene trattata sia dal
pdl Aprea che dal testo approvato dalla Camera e attualmente
all’esame del Senato.
Mi riferisco alla ridefinizione dell’assesto degli organi collegiali a
livello di istituto. Si può già fin d’ora premettere che degli organi
collegiali a livello territoriale e nazionale si occupa solo il testo della
Camera e per essi quindi é sommamente improprio definirli “legge
Aprea”.
Innanzitutto è bene ribadire, per confutare le farneticazioni più
estreme, che la proposta approvata dalla Camera riconferma
l’assetto fondamentale degli organi collegiali esistenti: il Consiglio di
Circolo o di Istituto che viene chiamato Consiglio dell’autonomia;il
Collegio dei docenti che viene chiamato Consiglio dei docenti e i
Consigli di classe sia nella forma riservata ai docenti che in quella
allargata alla partecipazione dei genitori e degli studenti.
Se si confrontano con qualche accuratezza agli articoli 1 dei due
testi, che presentano le finalità dei due progetti e esprimono, se la
si vuole realmente comprendere, l’autentica natura di due diverse
impostazioni che affrontano tale materia, si evidenziano tutte le
profonde diversità che le caratterizzano.
Quale autonomia?
Nel pdl Aprea si sostiene (art.1,c.1) che “le disposizioni della legge
costituivano norme generali sull’istruzione”, circostanza questa che
era superfluo precisare perché evidente in sé ma che si giustificava
con l’esigenza di nascondere una grave omissione presente nel
testo, invece evitata nel progetto della Camera, e cioé quella di non
richiamare tutte le disposizioni generali sull’istruzione come cornice
e fondamento dell’assetto proposto. Il testo della Camera invece
richiama tutte le norme generali sull’istruzione quando afferma la
cornice in cui deve esplicarsi l’autonomia statutaria delle istituzioni
scolastiche (art.1, c.3).
Cosi concepita l’autonomia del testo Aprea si presenta come un
istituto giuridico che non ha alcuna relazione con la Costituzione,
con le legge 59/1977e con il DPR 275/99, riferimenti questi che
invece il testo della Camera richiama fin dal primo comma.
L’autonomia nel progetto Aprea nasce e viene definita con il testo
medesimo e si affida ad una gestione corporativa tutta interna alla
scuola e alle sue componenti. Infatti gli organi di governo e il loro
funzionamento sono regolati esclusivamente dalle norme generali di
cui alla legge medesima. Nessun riferimento ad esempio allo
Statuto degli studenti e delle studentesse se non quello parziale di
cui all’art.9 comma 2, e alle altre disposizioni di carattere generale
sulla scuola.
Si concepisce così che “al governo delle istituzioni scolastiche
concorrano il dirigente scolastico, i docenti, i genitori, gli alunni, i
rappresentanti degli enti locali e, su deliberazione delle singole
istituzioni scolastiche, i rappresentanti delle realtà culturali, sociali,
produttive, professionali e dei servizi, secondo i princìpi della
presente legge”. Si è già visto dianzi come tali rappresentanze in
realtà si riducano ad esperti esterni settoriali.(art.6,c1.).
Si prevede che “le istituzioni scolastiche, nella loro autonomia,
costituiscono i loro organi di governo e ne disciplinano il
funzionamento secondo le norme generali della presente legge”.
Le istituzioni scolastiche costituiscono, altresì, organi di
partecipazione degli studenti e delle famiglie ai sensi dell’articolo 9.
(comma 3)
Si mantengono in vigore tutte le disposizioni sulla dirigenza
comprese quelle stabilite da Brunetta. (comma 4). Il testo della
Camera invece le limita all’art 25 del Testo unico del pubblico
impiego.
Ma la norma che esprime compiutamente la concezione separata,
corporativa ed ideologica dell’ autonomia enunciata nel pdl 953 è
quella evocata al comma 5 quando si stabilisce che “gli organi di
governo concorrono alla definizione e alla realizzazione degli
obiettivi educativi e formativi, attraverso percorsi articolati e
flessibili, coerenti con le indicazioni nazionali adottate in attuazione
della legge 28 marzo 2003, n. 53, (legge Moratti) e successive
modificazioni, che trovano compiuta espressione nel piano
dell’offerta formativa. Il piano tiene conto delle prevalenti richieste
delle famiglie ed è comprensivo delle diverse opzioni
eventualmente espresse da singoli o da gruppi di insegnanti
nell’ambito della libertà di insegnamento. Gli organi di governo
valorizzano la funzione educativa dei docenti, il diritto
all’apprendimento e alla partecipazione degli alunni alla vita della
scuola, la libertà di scelta dei genitori, il patto educativo tra
famiglie e docenti e tra istituzione scolastica e territorio”.
Si ignorano le norme generali sull’istruzione riducendole a quelle
della legge Moratti e si riconduce all’autonomia scolastica delle
singole scuole, dopo averle attribuito ogni competenza in materia di
definizione degli organi collegiali, anche la materia dei contenuti e
delle finalità educative.
Al comma 6 la 953 prevedeva che “le istituzioni scolastiche fossero
organizzate sulla base del principio della distinzione tra funzioni di
indirizzo e di programmazione, spettanti agli organi di cui
all’articolo 3, comma 1, lettere b) e c), e compiti di gestione e
coordinamento, spettanti al dirigente scolastico”.
In realtà quindi non distingueva un bel niente perché indirizzo e
programmazione venivano contemporaneamente attribuiti al
Consiglio di Amministrazione al Collegio dei docenti.
Il testo della Camera invece all’art.2, comma 1, prevede che”gli
organi delle istituzioni scolastiche sono organizzati sulla base del
principio della distinzione tra funzioni di indirizzo, funzioni di
gestione e funzioni didattico-educative, e che sono organi delle
istituzioni scolastiche:
a) il consiglio dell’autonomia, di cui agli articoli 3 e 4;
b) il dirigente scolastico, di cui all’articolo 5, con funzioni di
gestione;
c) il consiglio dei docenti con le sue articolazioni: consigli di classe,
commissioni e dipartimenti, di cui all’articolo 6;
d) il nucleo di autovalutazione, di cui all’articolo 8.
L’art.3 del progetto Aprea non fa cenno ai consigli di classe. Tutto il
percorso valutativo, ivi compreso il ruolo che in esso possono
assumere gli studenti e le famiglie, viene rinviato (art.8) al
Regolamento
Il progetto Aprea estende, comma 7 art.1, le sue disposizioni anche
alle istituzioni educative e alle scuole paritarie, tenuto conto delle
loro specificità ordinamentali. Non si comprende come all’art.11 poi
si prevedesse un finanziamento integrale dello Stato di tali scuole
se “nelle scuole paritarie la responsabilità amministrativa
appartiene all’ente gestore, il cui rappresentante, o persona dal
medesimo delegata, presiede il consiglio di amministrazione. Nelle
scuole paritarie restano salve la responsabilità propria del soggetto
gestore, secondo le disposizioni del codice civile, nonché
l’applicazione dell’articolo 1, comma 4, lettera c), della legge 10
marzo 2000, n. 62. “
Il progetto della Camera a differenza di quello che non prevedeva il
testo Aprea stabilisce (art.1 commi 2-5) che:
“2. Ogni istituzione scolastica autonoma, che è parte del sistema
nazionale di istruzione, concorre ad elevare il livello di competenza
dei cittadini della Repubblica e costituisce per la comunità locale di
riferimento un luogo aperto di cultura, di sviluppo e di crescita, di
formazione alla cittadinanza e di apprendimento lungo tutto il corso
della vita. Lo Stato, le regioni e le autonomie locali contribuiscono
al perseguimento delle finalità educative delle istituzioni scolastiche
esercitando le funzioni previste dal decreto legislativo 31 marzo
1998, n.112. Vi contribuiscono, altresì, le realtà culturali, sociali,
produttive, professionali e dei servizi, ciascuna secondo i propri
compiti e le proprie attribuzioni.
3. Alle istituzioni scolastiche è riconosciuta autonomia statutaria,
nel rispetto delle norme generali sull’istruzione.
4. Gli statuti delle istituzioni scolastiche regolano l’istituzione e la
composizione degli organi interni, nonché le forme e le modalità di
partecipazione della comunità scolastica. Per quanto attiene al
funzionamento degli organi interni le istituzioni scolastiche
adottano i regolamenti.
5. Gli organi di governo delle istituzioni scolastiche promuovono il
patto educativo tra scuola, studenti, famiglia e comunità locale,
valorizzando:
a) il diritto all’apprendimento e alla partecipazione degli alunni alla
vita della scuola;
b) il dialogo costante tra l’espressione della libertà di insegnamento
della funzione docente e la libertà e responsabilità delle scelte
educative delle famiglie;
c) le azioni formative ed educative in rete nel territorio, quali piani
formativi territoriali”.
Per quanto riguarda le finalità del Consiglio di Amministrazione il
progetto Aprea prevedeva che tale organismo potesse deliberare
solo sulla base delle proposte del Dirigente scolastico, che lo
presiedeva, sulle seguenti materie:
-il regolamento relativo al proprio funzionamento, comprese le
modalità di elezione, sostituzione e designazione dei suoi membri;
il piano dell’offerta formativa;
-il programma annuale delle attività;
-il regolamento di istituto, che definisce i criteri per l’organizzazione
e il funzionamento dell’istituzione scolastica, per la partecipazione
13degli studenti e delle famiglie alle attività della scuola e per la
designazione dei responsabili dei servizi e dei progetti;
-la nomina i docenti esperti e i membri esterni del nucleo di
valutazione, di cui all’articolo 10, entro due mesi dalla prima
convocazione successiva alla sua costituzione.
Il Consiglio dell’autonomia previsto dal progetto della Camera
(art.3) é presieduto da un genitore eletto e ha compiti di indirizzo
generale dell’attività scolastica, in particolare sulle seguenti
materie:
a) redige, approva e modifica lo statuto, con la maggioranza dei
due terzi dei suoi componenti;
b) delibera il regolamento relativo al proprio funzionamento;
c) adotta il piano dell’offerta formativa elaborato dal consiglio dei
docenti ai sensi dell’articolo 3 del regolamento di cui al decreto del
Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n.275;
d) approva il programma annuale e, nel rispetto della normativa
vigente in materia di contabilità di Stato, anche il bilancio
pluriennale di previsione;
e) approva il conto consuntivo;
f) delibera il regolamento di istituto;
g) designa i componenti del nucleo di autovalutazione, di cui
all’articolo 8;
h) approva accordi e convenzioni con soggetti esterni e definisce la
partecipazione ai soggetti di cui all’articolo 10;
i) modifica, con la maggioranza dei due terzi dei suoi componenti,
lo statuto dell’istituzione scolastica, comprese le modalità di
elezione, sostituzione e designazione dei propri membri;
l) promuove la conferenza di rendicontazione, di cui all’articolo 9.
Per l’esercizio dei compiti di cui alle lettere da c) a g) è necessaria
la proposta del dirigente scolastico.
Si deve notare che nel progetto Aprea, per quanto concerne la
composizione del Consiglio di Amministrazione ( art.6):
-Il D.S. era membro di diritto ed anche Presidente.
-Era esclusa la presenza degli ATA e non veniva definita
quantitativamente l’attribuzione delle presenze riguardanti le varie
componenti (docenti genitori e studenti), i rappresentanti degli enti
locali fornitori dei locali (sic!) e gli esperti esterni, essendo rinviata
al Regolamento.
Non venivano definite neppure le modalità elettorali potendo in tal
modo essere possibile qualsiasi forma di designazione.
Per quanto riguarda invece la composizione del Consiglio
dell’autonomia previsto dal testo della Camera tutto è pressoché
stabilito nell’art.4 essendo rinviato di fatto allo Statuto solo il
numero dei componenti con diritto di voto nelle scuole primarie e
secondarie di I° che potrà essere, come si è detto, solo di 10 o di
12 membri. Spetterà allo Statuto stabilire se i membri esterni senza
diritto di voto sono due oppure uno e come individuarli. Il DGSA è
componente di diritto senza diritto di voto.
In definitiva nella scuola secondaria superiore la composizione del
Consiglio sarà sempre e ovunque costituita da 10 componenti (4
docenti 2 genitori, 2 studenti, il DS e un ATA).Come si vede su tale
materia i poteri statutari sono inesistenti di fatto. Dura in carica per
tre anni scolastici ed è rinnovato entro il 30 novembre successivo
alla scadenza. Coloro che nel corso del triennio perdono i requisiti
per essere eletti nel Consiglio sono sostituiti dai primi dei non eletti
nelle rispettive liste. La rappresentanza studentesca è rinnovata
annualmente. Per quanto riguarda le modalità di elezione quindi è
prevista un’elezione su liste.
La prima elezione del Consiglio dell’autonomia, sarà diretta, con
suffragio universale come stabilisce l’art.15 ai commi 2 e 3:
“c.2. In sede di prima attuazione della presente legge, con
ordinanza del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca
sono stabiliti, nel rispetto dei criteri di cui all’articolo 4, le modalità
e i giorni per lo svolgimento delle elezioni, per la proclamazione
degli eletti e per l’insediamento del consiglio dell’autonomia, di cui
all’articolo 3, di tutte le istituzioni scolastiche.
c.3. Decorsi sei mesi dall’insediamento, il Consiglio dell’autonomia
adotta lo statuto e delibera il regolamento.”
Ovviamente per le successive elezioni sarà lo Statuto a stabilire se
per alcune componenti, genitori e/o anche studenti, l’elezione sarà
ancora a suffragio universale o riservata ai rappresentanti eletti nei
consigli di classe.
Il testo Aprea invece per evitare l’elezione diretta e a suffragio
universale di quell’organo in occasione del suo primo insediamento
faceva approvare il Regolamento, che tra l’altro ne avrebbe stabilito
le modalità di elezione, dal vecchio Consiglio in via di superamento.
(art.5 comma 3).
Il Dirigente scolastico nel progetto Aprea, come si è visto, ha ben
altre competenze di quelle indicate nell’art.4 del medesimo, in
quanto dirigeva il Consiglio di Amministrazione, stabilendone i
lavori e le materie da esaminare, poteva dirigere, se lo avesse
preveduto il Regolamento anche il Collegio dei docenti e il nucleo di
valutazione.
Nella proposta della Camera (art.5) oltre che dirigere il Consiglio
dei docenti come prevede l’art. 6,comma 2 può, se indicato dal
regolamento (art.8 comma 1), presiedere il Nucleo di
autovalutazione.
Per quanto riguarda il Collegio (Consiglio nel progetto della
Camera) dei docenti il testo Aprea (art.7),(così come quello della
Camera) ne prevede un’articolazione in Dipartimenti. Le sue
modalità di funzionamento nonché l’eventuale presenza dei consigli
di classe erano rinviate al Regolamento.
Nel testo della Camera (art 6) si parla di progettazione delle attività
didattiche e di valutazione collegiale degli alunni.
“L’attività didattica di ogni classe è progettata e attuata dai docenti
che ne sono responsabili, nella piena responsabilità e libertà di
docenza e nel quadro delle linee educative e culturali della scuola e
delle indicazioni e standard nazionali per il curricolo”.
Inoltre “i docenti, nell’esercizio della propria funzione, valutano in
sede collegiale, secondo la normativa e le indicazioni nazionali
vigenti, i livelli di apprendimento degli alunni, periodicamente e alla
fine dell’anno scolastico, e ne certificano le competenze, in
coerenza con i profili formativi e i requisiti in uscita relativi ai
singoli percorsi di studio e con il piano dell’offerta formativa
dell’istituzione scolastica, presentato alle famiglie, e sulla base
delle linee didattiche, educative e valutative definite dal consiglio
dei docenti”.
Ad una stesura iniziale che rinviava allo Statuto la disciplina della
composizione e delle modalità di svolgimento della necessaria
partecipazione degli alunni e dei genitori alla definizione e al
raggiungimento degli obiettivi educativi di ciascuna classe la
Camera ha opportunamente aggiunto che “il consiglio di classe è
composto dai docenti di ciascuna classe, dai rappresentanti dei
genitori e, nella scuola secondaria di secondo grado, dai
16rappresentanti di classe degli studenti”.Confermando in tal modo
l’originale previsione dei Decreti delegati.
Non si comprende pertanto da dove certuni rappresentanti
degli studenti e giornalisti, che hanno riportato
convalidando tali affermazioni, abbiano dedotto l’abolizione
dei Consigli di classe!
Una delle materie che maggiormente hanno suscitato le reazioni
critiche di certe organizzazioni degli studenti riguarda la presunta
abolizione di diritti di riunione e di assemblea previsti dai decreti
delegati. Ora se è vero che i suddetti articoli risultano abrogati è
altrettanto vero che l’ esercizio dei diritti in essi previsti è garantito
dallo Statuto degli studentesse e degli studenti DPR n. 249/98 e
successive modificazioni (DPR 21/11/07 n.235), che, in quanto
rappresentante norme generali sull’istruzione, è stato posto alla
base (art.1, comma 3) della definizione dei futuri Statuti e
Regolamenti che non potranno, pena la loro illegittimità, pertanto
ignorarlo.
Per quanto riguarda il Nucleo di autovalutazione dell’istituto art.10
della proposta Aprea e art. 8 del testo della Camera sussistono
notevoli differenze nelle due formulazioni in quanto nel testo della
Camera “il regolamento interno dell’istituzione disciplina il
funzionamento del nucleo di autovalutazione, la cui composizione è
determinata dallo statuto da un minimo di cinque fino a un
massimo di sette componenti, assicurando in ogni caso la presenza
di almeno un soggetto esterno, individuato dal consiglio
dell’autonomia sulla base di criteri di competenza, e di almeno un
rappresentante delle famiglie, un rappresentante degli studenti
iscritto alla scuola secondaria di secondo grado e un
rappresentante dei docenti”. Inoltre “il nucleo di autovalutazione,
coinvolgendo gli operatori scolastici, gli studenti e le famiglie,
predispone un rapporto annuale di autovalutazione, anche sulla
base dei criteri, degli indicatori nazionali e degli altri strumenti di
rilevazione forniti dall’INVALSI. Tale rapporto è assunto come
parametro di riferimento per l’elaborazione del piano dell’offerta
formativa e del programma annuale delle attività, nonché della
valutazione esterna della scuola realizzata secondo le modalità che
saranno previste dallo sviluppo del sistema nazionale di
valutazione. Il rapporto viene reso pubblico secondo modalità
definite dal regolamento della scuola.”
17Il testo della Camera affianca al Nucleo di Autovalutazione la
Conferenza di rendicontazione (art.9) aperta a tutte le componenti
scolastiche e ai rappresentanti degli enti locali e delle realtà sociali,
economiche e culturali del territorio,con il compito di rendicontare
(con uno specifico rapporto annuale) circa le attività realizzate
nell’ambito del piano dell’offerta formativa, anche in relazione alle
finalità culturali e formative dell’istituzione scolastica, nonché sulle
procedure e sugli esiti dell’autovalutazione di istituto.
Gli organi territoriali, le Regioni e egli enti locali.
Il testo Aprea non trattava degli organi collegiali territoriali e delle
competenze attribuite al loro riguardo alle Regioni e agli enti locali
dal nuovo titolo V della Costituzione e pertanto sembra poco
opportuno attribuirgli colpe che eventualmente appartengono solo
alla Camera.
Regioni ed enti locali sono di fatto, e non casualmente, ignorati in
tutta la proposta Aprea per quanto riguarda il loro rapporto con le
istituzioni scolastiche che in tutti questi anni si è dimostrato assai
intenso e fecondo, nonostante le difficoltà economiche sempre
crescenti.
Il testo della Camera riprende un’iniziativa che era fallita nel corso
della XIV legislatura quando il Governo Berlusconi tentò di
sostituire, con il Decreto legislativo del 27 dicembre 2003, il decreto
legislativo n 233, che nel 1999 il Ministro Berlinguer aveva
predisposto e fatto approvare per la riforma degli organi collegiali
territoriali e nazionali, conseguente all’entrata in vigore
dell’autonomia scolastica e alla riforma, decentramento, del MIUR.
Il fallimento dei tentativi di riforma prodotti dalla maggioranza e
dall’opposizione e perfino la mancata entrata in vigore del DL.vo
233/1999 ebbero come principale causa il fatto che tutte queste
elaborazioni non si misuravano adeguatamente con il nuovo assetto
dei poteri legislativi e amministrativi introdotto nel 2001 dal nuovo
Titolo V della Costituzione.
Nel nuovo testo appaiono invece, come si è detto dianzi, norme che
non risultavano neppure accennate nel testo dell’on. Aprea. Esse
riguardano:
a) la costituzione di Reti e di Consorzi a sostegno dell’autonomia
scolastica (art. 10). Infatti è previsto che le istituzioni scolastiche
autonome, nel rispetto dei requisiti, delle modalità e dei criteri
fissati con Regolamento adottato ai sensi dell’articolo 17, comma 1,
della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, e di
quanto indicato nel decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo
181999 n. 275, articolo 7, possano promuovere o partecipare alla
costituzione di reti, consorzi e associazioni di scuole autonome che
si costituiscono per esercitare un migliore coordinamento delle
stesse.
E solo in tale cornice che le Autonomie scolastiche possono ricevere
da fondazioni contributi finalizzati al sostegno economico della loro
attività, per il raggiungimento degli obiettivi strategici indicati nel
piano dell’offerta formativa e per l’innalzamento dei livelli di
competenza dei singoli studenti e della qualità complessiva
dell’istituzione scolastica, ferme restando le competenze degli
organi di cui all’articolo 11 della legge.
A tutela della trasparenza e delle finalità indicate, le istituzioni
scolastiche devono definire annualmente, nell’ambito della propria
autonomia, gli obiettivi di intervento e i capitoli di spesa relativi alle
azioni educative cofinanziate attraverso il contributo economico
ricevuto dai soggetti pubblici e privati, fondazioni, associazioni e
organizzazioni senza scopo di lucro. Contributi di importo superiore
a 5.000 euro possono provenire soltanto da enti che per legge o
per statuto hanno l’obbligo di rendere pubblico il proprio bilancio.
Chi si ostina a vedere in tali diposizioni la fine di quell’uguaglianza
di opportunità che la scuola pubblica deve garantire ignora che
interventi sussidiari di finanziamento, ad esempio con i fondi
europei riguardano molte scuole del nostro Mezzogiorno, e
continueranno a riproporsi anche per i prossimo futuro, e
dimenticano anche che la possibilità di sostegno economico alle
scuole da parte di soggetti esterni esiste da tempo e che i risultati
di tale disposizione non si sono purtroppo ancora manifestati.
b) la definizione degli organismi territoriali e nazionali per la
rappresentanza istituzionale delle scuole autonome (Capo II. Art.
11).
Il Consiglio Nazionale delle Autonomie Scolastiche, composto da
rappresentanti eletti rispettivamente dai dirigenti, dai docenti e dai
presidenti dei consigli delle istituzioni scolastiche autonome é
istituito dal MIUR con un regolamento adottato ai sensi dell’articolo
17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sentite le
Commissioni parlamentari. Tale Consiglio, che vede la presenza
anche di rappresentanti della Conferenza delle Regioni e delle
Province Autonome, delle Associazioni delle Province e dei Comuni
e del Presidente dell’INVALSI, è un organo di partecipazione e di
corresponsabilità tra Stato, Regioni, Enti Locali ed Autonomie
Scolastiche nel governo del sistema nazionale di istruzione. Esso é altresì organo di tutela della libertà di insegnamento, della qualità
della scuola italiana e di garanzia della piena attuazione
dell’autonomia delle istituzioni scolastiche. In questa funzione
esprime l’autonomia dell’intero sistema formativo a tutti i suoi livelli
e si configura come un organo dell’amministrazione scolastica
statale. Per questo motivo lo strumento previsto per la sua
realizzazione è il Regolamento governativo che dovrebbe però, a
mio parere, realizzarsi con l’impiego del comma 2 della legge
n.400/88.
La costituzione degli organismi collegiali locali è invece demandata
alla legislazione regionale che in attuazione degli articoli 117, 118
e 119 della Costituzione definisce strumenti, modalità ed ambiti
territoriali delle relazioni con le autonomie scolastiche e per la loro
rappresentanza in quanto soggetti imprescindibili
nell’organizzazione e nella gestione dell’offerta formativa regionale,
in integrazione con i servizi educativi per l’infanzia, la formazione
professionale e permanente, in costante confronto con le politiche
scolastiche nazionali e prevedendo ogni possibile collegamento con
gli altri sistemi scolastici regionali.
Conseguentemente si prevede che le Regioni istituiscano con
proprie leggi la Conferenza regionale del sistema educativo,
scolastico e formativo, e ne stabiliscano la composizione e la
durata.
Della Conferenza, che svolge attività consultiva e di supporto nelle
materie di competenza delle regioni, o su richiesta di queste,
esprimendo pareri sui disegni di legge attinenti il sistema regionale,
la legge statale in questione ne stabilisce le funzioni esercitando in
tal modo quella regolamentazione di principio che la Costituzione
prevede sulle materie su cui è attribuita alle Regioni la potestà
legislativa concorrente.
Analogo procedimento viene riservato alla costituzione delle
Conferenze locali che rappresentano il luogo del coordinamento tra
le istituzioni scolastiche, gli Enti locali, i rappresentanti del mondo
della cultura, del lavoro e dell’impresa di un determinato territorio.
Il progetto di legge per la prima volta in tal modo attua
correttamente le disposizioni costituzionali del nuovo Titolo V
superando quelle difficoltà che nella XIV legislatura avevano
bloccato sia il Decreto 233/99 sia il successivo Decreto della
Moratti. La competenza legislativa da parte dello Stato,
legittimamente invocata per una legge di principio sugli organi
collegiali territoriali, viene finalmente applicata tenendo conto della
20potestà legislativa concorrente in materia di istruzione, e di quella
esclusiva in materia di istruzione e formazione professionale delle
Regioni. Vengono in tal modo accolte le istanze espresse dalla
Conferenza Unificata nel pronunciamento con cui nel gennaio 2004
bocciava la proposta governativa di riordino degli organi collegiali
territoriali.