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“L’austerità funziona male la pagano i giovani e i poveri e i debiti aumentano comunque”, di Tonia Mastrobuoni

L’ austerità sta chiedendo un prezzo troppo alto ai giovani e alle fasce più indifese della popolazione. Soprattutto, è fondata su dati sbagliati, contraddetti da una recessione più pesante del previsto. È ora di cambiare, secondo il direttore generale dell’Organizzazione internazionale del Lavoro (Ilo), Guy Ryder. Occorre abbandonare l’approccio «ideologico» adottato ad oggi in Europa nei confronti della Grecia e di altri Paesi. Altrimenti l’austerità «non farà che peggiorare la situazione».
L’austerità ha fallito?
«Sappiamo che è indispensabile abbassare i deficit e i debiti e rendere sostenibili i conti pubblici. Ma il primo problema è il ritmo. L’evidenza dimostra che gli effetti dei risanamenti, a causa dei cosiddetti moltiplicatori, sono stati molto più pesanti del previsto, molto peggiori di quanto i politici europei potessero immaginare».
Lo ha riconosciuto il Fmi, che fa parte della trojka. È il motivo per cui Lagarde dice che 2 anni in più non bastano, che bisogna tagliare il debito greco.
«Esatto, il Fmi l’ha capito. Oggi siamo dinanzi alla certezza che le politiche economiche sono eccessive e stanno aggravando la recessione. Soprattutto: il debito sta aumentando ovunque, anzitutto in Grecia. Quindi, dobbiamo riconoscere che finora abbiamo avuto un approccio ideologico e dobbiamo tornare a un modo di pensare più razionale».
Oltre ai debiti, aumenta anche la disoccupazione.
«La vera questione è: c’è stata una distribuzione equa dei sacrifici? Io penso di no. Stando ad indicatori come il crollo dei consumi o la disoccupazione in aumento, il peso è ricaduto soprattutto sui deboli: i pensionati, i giovani. Tra l’altro, vorrei far notare che, contrariamente a quel che si crede, quella giovanile non riguarda soltanto i Paesi del Sud Europa».
Tuttavia le cifre che riguardano la Spagna e la Grecia fanno impressione: oltre il 50% dei giovani è senza lavoro.
«Le nostre stime ci dicono che nel mondo ci sono ormai 200 milioni di disoccupati, il 6% della popolazione attiva. Per i giovani la percentuale è doppia, è il 12%. Quello cui si assiste in Spagna o in Grecia, con tasso al di sopra del 50% è terribile, ma non inusuale».
Cosa bisogna fare?
«Prendere esempio dai paesi virtuosi. Il più ovvio è la Germania, dove la disoccupazione giovanile è solo del 2% più alta di quella media. Lì aiuta il sistema educativo duale, c’è un legame stretto tra il lavoro e l’educazione. Quello che voglio dire è che si possono fare politiche mirate per i giovani. Anzi, è indispensabile. È dimostrato ormai che se un giovane rimane fuori dal lavoro per un anno, le conseguenze sono molto negative per il resto della sua vita. Quando parliamo di una generazione perduta, non è soltanto uno slogan».
La flexicurity alla danese può aiutare?
«È un dibattito vecchio. Per molti versi la flexicurity funziona solo in Danimarca: richiede un livello di tassazione altissimo, insostenibile in altri paesi. Non tutte le buone idee sono esportabili. Nello specifico, non penso che sia applicabile in Italia. D’altro canto, voglio dire con forza che non si può pensare di discutere del lavoro sempre e solo abbassando le tutele. Cerchiamo di imparare dai paesi che hanno statistiche e condizioni di lavoro virtuose come la Germania o i Paesi scandinavi. Servono istituzioni forti per il lavoro, collocamento, formazione, apprendistato. Ma anche un dialogo sociale forte».
L’Ocse e la Banca d’Italia parlano di un mercato del lavoro italiano “duale», spaccato tra ipertutelati e non.
«È molto pericoloso creare un mercato duale come in Italia con un segmento della popolazione ben protetto e una fetta enorme che ha tutele troppo scarse. In Spagna, il motivo per cui il tasso di disoccupazione si è impennato quando è esplosa la crisi, è che il 40% della forza lavoro era precaria. In Germania c’è stato, al contrario, il tentativo di proteggere i lavoratori, ad esempio con la Kurzarbeit, la settimana corta. Ha funzionato. La soluzione della crisi non è aumentare l’insicurezza nel mercato del lavoro. Hollande ha detto che il contratto a tempo indeterminato deve diventare quello prevalente. Certo, bisogna deciderne il grado di flessibilità, ma sono d’accordo con lui».
La Stampa 21.11.12