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“Produttività, accordo separato: Cgil non firma. Camusso: “così si riducono salari lavoratori”, di Massimo Franchi

Si è persa un’occasione e si è scelto di ridurre i salari dei lavoratori. Gli appelli di Monti sono più segno di imbarazzo che di volontà di trovare soluzioni unitarie”. Susanna Camusso parla in nottata dalla sede della Cgil e non da Palazzo Chigi. Lo sguardo e il volto sono sereni nonostante la firma separata all’accordo sulla produttività da parte di governo, imprese e altri sindacati.
“È stata una scelta di politica economica coerente con quelle fatte finora dal governo che scaricano sul lavoro le scelte per uscire dalla crisi” e questo è il primo capitolo dei punti che la Cgil non ha accettato.
Il secondo è il mettere mano al modello contrattuale senza risolvere il problema della democrazia e della rappresentanza. “Se si sposta al secondo livello una quota del salario, è ancora più importante la rappresentanza” negata, ad esempio, alla Fiom nella trattativa sul rinnovo del contratto dei metalmeccanici.
Il terzo capitolo riguarda “le modifiche alla legislazione sul demansionamento che è figlio della scelta sull’allungamento dell’età pensionabile”. Ai lavoratori anziani viene chiesto di cambiare mansione per lasciare spazio ai giovani.
Al tavolo la Cgil aveva invece proposto “la detassazione di tutte le tredicesime come segnale per rilanciare la domanda”. Il governo ha risposto picche e invece ha rilanciato sulla “semplificazione degli appalti, un altro provvedimento contro i lavoratori”.
Le parole del segretario generale del più grande sindacato italiano arrivano al termine di una giornata frenetica di contatti e pressioni. Sfociata nella soluzione già prevista. L’accordo firmato da tutti, tranne dalla Cgil. Come sulla modifica sull’articolo 18 nella riforma del lavoro, Monti scandisce le stesse parole: “Tutti i sindacati tranne la Cgil”.
E anche l’invito a sottoscrivere l’accordo in un secondo momento viene rispedito al mittente. Da parte della Cgil c’è grande serenità, una serenità data dal fatto di “aver sempre difeso e motivato le nostre opinioni”.
Susanna Camusso, rientrata in anticipo dalla missione in Turchia, è voluta andare da sola al vertice a palazzo Chigi. Lì ha subito ribadito le critiche che la Cgil ha sempre portato a questa trattativa e riassunte nel “No” uscito dal direttivo Cgil di giovedì scorso. La principale è quella che spostando una quota di aumenti contrattuali sul secondo livello (aziendale o territoriale che sia) c’è il rischio di una contrazione reale dei salari.
Proprio da questo è partita il segretario della Cgil nel suo intervento al tavolo. ”La strada scelta è sbagliata, è una strada per cui il contratto nazionale non tutelerà più il potere d’acquisto dei lavoratori”.
Camusso poi ha fatto due precise domande al governo: “Come saranno divisi i fondi previsti per la detassazione sugli aumenti per la produttività? Se i fondi stanziati (2,1 miliardi in due anni, ndr) non basteranno per tutti gli accordi, come verranno suddivisi?”.
Alle due domande il governo non ha risposto. Il vertice è stato sospeso, il governo si è riunito. Ma nessuna risposta è arrivata. Anzi. Dopo una mezz’ora è arrivata la convocazione di una conferenza stampa unitaria di governo e parti sociali. La disposizione dei cartoncini sul tavolo al primo piano di palazzo Chigi era inequivocabile: a sinistra le imprese, al centro il governo, a destra i sindacati. Tutti tranne la Cgil.
Ma passano pochi minuti e arriva il contrordine. La conferenza è del solo governo. Con le parti sociali che arriveranno in un secondo tempo. Con lo stesso Monti che specifica: “Avevamo chiesto anche alla dottoressa Camusso di poter parlare, ma non ha accettato”.
Si chiude così, in un pomeriggio di voci che si rincorrono tra promesse del governo su un intervento forte sulla rappresentanza e di un incontro (smentito) tra Camusso e Fornero, una trattativa lunga due mesi e mezzo. Partita il 5 settembre, ha vissuto di alti e bassi. Se Monti convocò a palazzo Chigi prima le imprese e poi (l’11 settembre) i sindacati demandando a loro un accordo, il governo è intervenuto ad intermittenza.
Ma la svolta è arrivata proprio grazie all’intervento del ministro Corrado Passera che, quando le imprese erano divise al loro interno, le ha convocate mettendo sul tavolo le risorse: prima 1,6 miliardi, poi aumentati con gli emendamenti alla Legge di stabilità aumentati a 2,15 miliardi. E pochi giorni dopo è arrivata la ormai inaspettata fumata bianca da parte imprenditoriale.
Se per settimane i piccoli, guidati da Rete Imprese, non avevano accettato il testo messo a punto dai tecnici di Confindustria e sindacati, spingendo perché la contrattazione di secondo livello avesse più spazio, così come la flessibilità su orari e mansioni, quella sera è arrivato il compromesso.
Modifiche al testo che prevedevano come fosse la contrattazione fra le parti a poter intervenire sul demansionamento e sulla flessibilità dell’orario, modificando le leggi vigenti. Che oggi prevedono come nessun lavoratore possa essere cambiato di mansione, di livello e retribuzione senza essere d’accordo o venendo prima licenziato e poi riassunto nella nuova mansione.
L’altro grande tema è stato quello della rappresentanza. La Cgil ha sempre chiesto l’attuazione dell’accordo del 28 giugno 2011 che prevede la certificazione della rappresentanza sindacale e ilo fatto che tutte le organizzazioni sopra il 5 per cento siano presenti al tavolo. Il nodo della questione è il rinnovo del contratto metalmeccanico da cui è esclusa la Fiom Cgil, nonostante sia il sindacato più rappresentativo. Qui le divisioni con Cisl e Uil hanno reso difficile andare oltre ad un accordo che prevede di fissare le norme per la certificazione autonoma della rappresentanza entro la fine dell’anno.
L’Unità 22.11.12
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L’ULTIMO “NO” DELLA CAMUSSO “COSÌ RIDUCETE SOLO I SALARI”, di Roberto Giovannini
Il premier Mario Monti sembra (per quanto ciò sia possibile per una persona tanto lucida, se non “fredda”) quasi accorato nel suo appello. «Esprimiamo il vivo auspicio – dice – che l’intesa possa essere estesa anche alla Cgil». Spiega che «non c’è stata alcuna volontà di isolare nessuno», rifiuta di fissare un termine per ciò che rifiuta persino di chiamare un «ripensamento» del sindacato rosso, che chiama anzi «evoluzione di pensiero». E a un certo punto chiarisce che avrebbe voluto in conferenza stampa anche il segretario Cgil Susanna Camusso. Lei, invece, se n’è andata nel suo ufficio in Corso d’Italia. Ed appare furiosa per quella che giudica «una cosa antipatica, che mostra il carattere autoritario del premier». «Mi voleva far parlare – ci racconta Camusso – dopo di lui, Squinzi e Bonanni, e prima delle conclusioni di Passera. Uno show. “Dottoressa Camusso”, mi ha detto Monti, “non vuole mettere alla prova la capacità del governo di sopportare la critica”?»
E forse il leader della Cgil ha interpretato come paternalistica anche la replica di Monti alla richiesta Cgil di detassare le tredicesime. «Non è possibile, non lo consentono le condizioni della finanza pubblica – ha risposto gelido Monti – Spero che i futuri governi abbiano il cuore meno raggrinzito».
Facile dedurre come il numero uno della Cgil si auguri caldamente (a differenza del suo omologo Cisl Raffaele Bonanni) che, dopo le elezioni, a Palazzo Chigi non sieda più quel Professore dal cuore tanto «raggrinzito». «Con questo accordo – spiega il segretario Cgil – il governo stabilisce chiaramente che la “sua” via per lo sviluppo del paese è la riduzione generalizzata dei salari». Una strategia tutto sommato simile a quella perseguita in Grecia dalla trojka UeBce-Fmi: «sono sempre i lavoratori a pagare il conto. Prima con la mannaia sulle pensioni, poi con i tagli della sanità e dei servizi, e ora con il taglio dei salari».
Ma questo accordo, obiettiamo, non dovrebbe aprire la strada ad aumenti salariali detassati? Macché, risponde Camusso, d’ora in poi («come ha giustamente compreso e scritto il professor Pietro Ichino») il tetto massimo degli aumenti salariali sarà dato dall’Ipca, ovvero l’inflazione depurata dagli aumenti del petrolio. «Da quella somma si prenderanno i soldi per gli aumenti salariali aziendali di produttività – puntualizza il leader Cgil – e tirando le somme, per i lavoratori non solo non ci sarà alcun aumento netto di salario, ma piuttosto una riduzione netta della retribuzione rispetto a oggi». Ma la Cgil non applicherà mai e poi mai questa intesa? «Dove gli accordi aziendali sono buoni – conclude – li firmeremo. Altrimenti, no».
La Stampa 22.11.12