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“Basta violenze. Il mondo chiede scusa alle donne”, di Riccardo Valdes

Basta con la violenza sulle donne. L’appello viene dal segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon, nel giorno in cui si è celebrata la Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne. Il numero uno di Palazzo di Vetro si è rivolto ai governi di tutto il mondo chiedendo loro di mantenere le promesse fatte per mettere fine a tutte le forme di violenza contro le donne e le ragazze. «Sollecito tutte le persone ha detto a sostenere questo importante obiettivo». L’appello di Ban Ki-moon è preliminare all’appuntamento del prossimo marzo, quando si riunirà la Commissione delle Nazioni Unite sullo stato delle donne, che per l’appunto concentrerà i propri sforzi sulla prevenzione ed eliminazione della violenza sulle donne. Ieri, alla vigilia della Giornata Internazionale, il ministro degli Esteri italiano Giulio Terzi ha ricordato che «l’impegno per contrastare tutte le forme di violenza che continuano a colpire milioni di donne nel mondo è una priorità assoluta dell’azione internazionale dell’Italia».
Una giornata planetaria, che in nel nostro Paese è stata celebrata attraverso flash-mob, incontri, mobilitazioni di ogni tipo, a cominciare da quella voluta dalla convenzione «No More» che ha avuto il plauso del presidente Napolitano, la prima in Italia dove gruppi trasversali di associazioni di donne (dall’Udi a Giulia-l’associazione delle giornaliste, da Usciamo dal silenzio all’Arci, fino alla Casa Internazionale delle donne che ieri è rimasta aperta per tutto il giorno.
Da Torino è partita la campagna «365 no» mirata, ha spiegato il sindaco Piero Fassino «a far sì che la battaglia contro questo tragico fenomeno diffuso in tutto il mondo, compreso il nostro ricco occidente, sia una battaglia quotidiana, combattuta sul campo ogni giorno, una battaglia delle donne e degli uomini per la libertà». Vi hanno già aderito ad oggi 8 città: Bari, Bologna, Genova, Milano, Napoli, Roma, Palermo, Venezia. L’acqua della fontana della centralissima piazza De Ferrari, davanti a Palazzo Ducale. è stata tinta di rosso. Contemporaneamente sono stati disposti intorno alla fontana centinaia di palloncini bianchi listati con una croce nera mentre a Palazzo Ducale è stata esposta l’installazione «Zapatos rojos», con oltre 100 paia di scarpe femminili, realizzata dell’artista messicana Elina Chauvet e curata da Francesca Guerisol.
Unanime e bipartisan l’adesione delle massime istituzione del Paese e del mondo della politica per fermare la strage delle donne. Una Spoon River drammatica, terribile.
l’Unità 26.11.12
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Un «patto» per un Paese davvero civile, di Vittoria Franco
QUEST’ANNO SIAMO ARRIVATI ALL’APPUNTAMENTO CON IL 25 NOVEMBRE, GIORNATA INTERNAZIONE CONTRO LA VIOLENZA SULLE DONNE, CON IL PESO DI 113 FEMMINICIDI DALL’INIZIO DEL 2012.
Un peso insostenibile e un dramma intollerabile per un Paese civile. Le azioni possibili per affrontare e combattere questo fenomeno sono molte, e noi donne del Pd le elenchiamo spesso: ratificare subito la Convenzione di Istanbul contro la violenza domestica e sulle donne, investire sui centri antiviolenza, fare prevenzione, approvare le nostre proposte, da tempo depositate in Parlamento, per realizzare tutto questo. Ma il cambiamento necessario è di natura culturale, ne siamo consapevoli. Le donne italiane, con il loro traguardo di un peso specifico sempre più alto nella società, fondato sul successo nella scolarizzazione e nelle professioni e sulla fatica di interpretare sempre il welfare complementare, stanno mettendo in discussione l’ordine costituito, ma senza reale riconoscimento della loro dignità, del loro valore e del loro potere.
È per questo che serve un «patto» per un nuovo mondo comune. Patto fra uomini e donne che sono e si considerano pari. Un nuovo orizzonte anche per costruire un esito positivo della crisi economica. A differenza del contratto classico, il patto per un nuovo mondo comune viene stipulato espressamente fra donne e uomini e indica un orizzonte di conquiste da realizzare su un terreno diverso rispetto al passato, perché presuppone il contesto di una nuova cultura della convivenza, basata sull’eguale riconoscimento reciproco di libertà e dignità.
Patto per che cosa? Per condividere il potere in ogni settore di attività: nella rappresentanza istituzionale, sul mercato del lavoro e nelle carriere; per affermare una rappresentanza eguale nei luoghi in cui si assumono le decisioni; per condividere il lavoro di cura e la genitorialità, per realizzare la parità salariale. Insomma, per dare gambe e realtà al principio della democrazia paritaria. Tutto questo vuol dire ricontrattare i ruoli, scardinare la dicotomia tra sfera pubblica e sfera privata che si è creata all’origine dello Stato moderno e che si definisce in base a ruoli predefiniti dei due generi. Noi stiamo mettendo in discussione questo racconto archetipico per costruire una nuova storia, che racconta di un processo di democratizzazione nel quale l’uomo e la donna divengono «cofondatori» della cittadinanza universale stringendo un patto di non discriminazione, fondato sulla valorizzazione e il rispetto delle persone, delle competenze, del saper fare. Patto vuol dire allora, ad esempio, che il rispetto del corpo femminile entra nel lessico e nell’educazione. Patto significa che le donne cedono più spazio agli uomini per la cura familiare e gli uomini più spazio pubblico alle donne (e i congedi paterni obbligatori della legge Fornero, anche se da estendere, vanno in questa direzione). Insomma, il patto va insieme con la giustizia di genere e non solo più con la giustizia sociale. Cominciamo a parlarne.
l’Unità 26.11.12
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Gemma Marotta: «Gli uomini devono finalmente crescere», di Ludovica Jona
È docente di criminologia e sociologia della devianza all’Università La Sapienza di Roma. Ha una doppia laurea: in Giurisprudenza e in Psicologia. Sono 113 a oggi. Un’escalation. Una corsa che accelera al ritmo del 26% ogni anno e non sappiamo dove ci porterà. A crescere esponenzialmente è il numero di donne uccise per mano di uomini dal 2007 al 2011 in Italia «Per contrastare questa violenza è necessario lavorare sulla prevenzione, con la compartecipazione e la corresponsabilità di ciascuno», afferma Gemma Marotta, docente di Criminologia e sociologia della devianza all’Università La Sapienza di Roma. Delitti che non appartengono a mondi lontani, ma ci riguardano tutti e hanno le loro radici nella nostra quotidianità. «Ad esempio afferma Marotta, quando siamo protagonisti o assistiamo a una prevaricazione o all’umiliazione di una donna sul posto di lavoro».
A cosa può essere ricondotto questo vertiginoso aumento dei casi di femminicidio in Italia?
«Esiste una forte crisi della relazione di coppia. Cause scatenanti sono principalmente le richieste di separazioni e divorzi, che in Italia vengono presentate soprattutto dalle donne. E il senso di “onore ferito” che provocano, può portare alla tragedia. Alla base c’è questo retaggio nell’uomo, dello scambiare l’amore con il possesso. Prima dei delitti però, vi sono lunghi periodi di violenza domestica, anche psicologica perché umiliando una donna e facendole perdere autostima la si controlla o di molestie continuative e assillanti, anche dette stalking».
Ritiene che la legge sullo stalking, che nel 2009 ha introdotto il reato di «atti persecutori», sia uno strumento utile per proteggere le donne?
«Ho dei dubbi in proposito. La legge sullo stalking prevede un primo ammonimento orale da parte della polizia, e solo se il reato viene reiterato si può ottenere la reclusione. Questo rischia di far degenerare la rabbia dell’aggressore in omicidio. Ci sono stati casi di femminicidio seguiti a denunce per stalking. La legge sullo stalking funziona come deterrente solo in persone con un certo equilibrio. Il problema è che fino a che non viene commesso un atto violento, le forze dell’ordine non possono intervenire. E’ per questo che io dico sempre, che è la vicinanza, la partecipazione e la corresponsabilità della comunità, il modo più efficace di prevenire i crimini. Non abbiamo sempre un poliziotto dietro».
Nel suo libro Se questi sono gli uomini il giornalista Riccardo Iacona riporta le parole di un’amica di Vanessa Scialfa, la ventenne di Enna uccisa dal fidanzato un anno fa. La ragazza racconta di uomini che schiaffeggiano pubblicamente le fidanzate senza che nessuno intervenga. E commenta: «Vent’anni fa sarebbe stato uno scandalo. Ora non ci fa più caso nessuno».
«Ecco, questo in criminologia si chiama “effetto spettatore”: se si assiste a troppe scene di violenza, nella realtà o nella finzione, si rischia di non esserne più impressionati. In questo ha responsabilità soprattutto il piccolo schermo».
Quali interventi ritiene più urgenti, da parte delle istituzioni?
«Io credo che andrebbe fatto qualcosa per far incontrare le famiglie, creare luoghi in cui si può discutere. Soprattutto in questo momento di crisi economica che mette a dura prova i nuclei familiari. I corsi prematrimoniali, ad oggi praticati solo da coloro che si preparano a un matrimonio religioso, sarebbero utili anche in ambito laico. Perché molte unioni avvengono per infatuazioni, senza che ci sia vera consapevolezza dei problemi che una coppia deve affrontare. E andrebbe fatto soprattutto qualcosa in campo maschile, gli uomini sono oggi più fragili psicologicamente ad accettare un piano di parità»
In quali ambiti soprattutto, manca l’accettazione della parità?
«A partire dai contesti lavorativi. È necessario reagire agli atteggiamenti di supponenza, di sottovalutazione, alle battute volgari, alle avance fisiche e verbali. Una volta, in una classe di 50 persone con 2 sole donne, mi sono accorta che giravano disegni osceni con i quali le ragazze in minoranza venivano messe in imbarazzo. Me li son fatti consegnare e ho cambiato argomento della lezione, parlando del complesso edipico non risolto. Così li ho messi difronte alla loro meschinità. Umiliati, hanno finito per scusarsi pubblicamente».
L’Unità 26.11.12