attualità, lavoro

“Un colpo alla credibilità del Paese”, di Paolo Baroni

Con l’Ilva che si ferma, e con lei una quota rilevantissima della produzione siderurgica italiana che viene azzerata, la crisi di Taranto supera definitivamente il livello di guardia. I sindacati la chiamano «la catastrofe»: 12 mila addetti a spasso che diventano 25 mila contando anche gli stabilimenti di Genova, Novi Ligure, Racconigi e Marghera e tutto l’indotto. Un colpo per queste realtà, ma anche per l’intera industria nazionale e per certi versi anche alla credibilità del Paese. Schiacciata tra ingiunzione della magistratura, inchieste e nuovi arresti, un’opera di risanamento ambientale tanto indifferibile quando ciclopica ed una situazione politica e sociale pericolosissima, a Taranto ora – come racconta Guido Ruotolo nelle sue cronache – si rischia una vera e propria guerra civile. Uno scontro violento che va ben oltre la contrapposizione di questi ultimi tempi (ma anche di questi ultimi anni) tra lavoro e salute delle popolazioni. Un problema troppo grande ora da affrontare, per le dimensioni di quest’impianto, l’acciaieria più grande d’Europa, e troppo a lungo sottovalutato, dai governi come pure dagli enti locali.
Ora che la polveriera-Taranto rischia di scoppiare davvero si cerca per l’ennesima volta di correre ai ripari, si torna al tavolo del governo, si invoca l’intervento di Monti. Che a questo punto per tenere assieme le ragioni degli uni, i magistrati che qualcuno accusa di eccessivo accanimento ma che al loro fianco hanno tanti cittadini per anni esposti alle peggiori sostanze inquinanti, e degli altri (i lavoratori, ma anche l’azienda e con lei l’economia di una regione e poi di un’intera filiera industriale) non potrà che ricorrere a gesti straordinari.
Come un decreto che congeli tutta la situazione, consenta di attuare la bonifica (che a fabbrica chiusa ovviamente nessuno finanzierebbe) ed al tempo stesso permetta magari ridotti ma significativi livelli di produzione e quindi di lavoro. Anche questo sarebbe un gesto straordinario, un cambio delle regole mentre la partita è già in corso, certamente uno strappo nei rapporti governo-magistrati. Ma a questo punto un gesto del genere diventa forse inevitabile. Per mettere un punto fermo alla vicenda e poi poter ripartire, magari non con la maggiore serenità che una partita così complessa invece richiederebbe, ma almeno con qualche punto fermo, con qualche certezza in più rispetto al gran pasticcio di oggi.
La Stampa 27.11.12