economia, lavoro

“Produttività, soldi buttati. L’intesa resterà sulla carta”, di Cesare Damiano

Com’era prevedibile, l’accordo sulla produttività siglato la scorsa settimana da tutte le parti sociali, ad eccezione della Cgil, sta facendo molto discutere. Noi vorremmo affrontare il problema collegandolo al contesto nel quale sono state definite queste linee guida. Infatti, è stata posta molta enfasi sul tema della produttività senza spiegare che, se non si realizza una scelta radicale sugli investimenti e sull’innovazione tecnologica, e quindi sullo sviluppo di qualità, l’obiettivo rimarrà sulla carta. C’è il rischio oggettivo che, in tempi di crisi, si facciano poche intese, persino difficili da realizzare nei grandi gruppi industriali e che si stipulino finti accordi di produttività al fine di ottenere gli sgravi fiscali.
In secondo luogo, noi pensiamo che oggi sarebbe necessario concentrare l’attenzione sulla vera emergenza del paese, cioé sul rischio di una crescita esponenziale della disoccupazione dovuta al sommarsi di alcuni fattori negativi. Infatti, il numero dei senza-lavoro è notevolmente aumentato, così come la cassa integrazione, ed il trend sfavorevole continuerà nel 2013 ed oltre. Verranno al pettine alcuni nodi non risolti: la mancanza di finanziamenti adeguati per quanto riguarda la cassa integrazione in deroga (che non é neanche sufficiente per arrivare a fine anno) e per i contratti di solidarietà. Nonostante i passi avanti compiuti nella legge di Stabilità, anche nel 2013 e nel 2014 ci saranno persone senza reddito a causa dell’ultima riforma delle pensioni. Queste a noi sembrano le priorità alle quali andrebbero destinate ulteriori risorse, mentre ci sembra francamente eccessivo assegnare nei prossimi tre anni 2 miliardi e 100 milioni alla produttività.
Ciò detto, per quanto riguarda il merito dell’accordo, ci vogliamo soffermare su due punti che riteniamo essenziali. Il primo è relativo al fatto che i «… contratti collettivi nazionali di lavoro possono definire che una quota degli aumenti economici…sia destinata alla pattuizione di elementi retributivi da collegarsi ad incrementi di produttività… definiti dalla contrattazione di secondo livello, così da beneficiare anche di congrue e strutturali misure di detassazione…per il salario di produttività…Tale quota resterà parte integrante dei trattamenti economici comuni… dei contratti nazionali laddove non vi fosse…la contrattazione di secondo livello…».
Nei fatti, in questo modo, viene meno la distinzione di ruolo che in precedenza veniva attribuito ai due livelli di negoziazione: al contratto nazionale, la salvaguardia del salario dall’erosione dell’inflazione, ed alla contrattazione decentrata, l’aumento della retribuzione legata alla produttività.
Se oggi una quota delle risorse che servono per rinnovare un contratto nazionale può essere destinata alla contrattazione aziendale o di territorio, si corre il rischio di eliminare un livello di contrattazione, perché le erogazioni salariali contrattate non si sommeranno più come in precedenza. Un conto è avere un aumento definito nel contratto nazionale al quale aggiungere le risorse di un premio di risultato legato alle performances aziendali, un altro è avere una cifra unica e onnicomprensiva, quella del contratto nazionale stesso.
A vantaggio dell’accordo va riconosciuto il fatto che in ogni caso, anche laddove non c’è contrattazione di secondo livello, ai lavoratori viene riconosciuto per intero l’aumento previsto dal contratto nazionale, anche se avremo differenti tassazioni: quella di produttività sarà agevolata a vantaggio del salario netto dei lavoratori. Si può ovviare a questo limite oggettivo? A mio avviso sì, se i sindacati gestiranno unitariamente la contrattazione interpretando in modo “dinamico” la normativa prevista: ad esempio, non limitando l’aumento del salario di produttività alla sola quota devoluta dal contratto nazionale, ma andando oltre sulla base delle reali condizioni di salute della singola azienda o del territorio.
Il secondo tema da affrontare è quello della rappresentatività, della rappresentanza e della democrazia: l’accordo del 28 giugno del 2011, firmato da Cgil, Cisl, Uil e Confindustria, ha già stabilito le regole e adesso si tratta di applicarle, come previsto, entro la fine di quest’anno. Sarebbe un passo avanti rilevante, anche se non risolutivo del problema della presenza in fabbrica dei delegati sindacali delle organizzazioni nazionalmente rappresentative.
Il caso dell’esclusione della Fiom dagli stabilimenti Fiat (uscita nel frattempo da Confindustria) in quanto non firmataria degli accordi applicati in sede aziendale, è noto. Il problema si risolverà soltanto con una modifica dell’articolo 19 dello Statuto dei lavoratori, ripristinando il testo ante referendum del 1995. Così facendo sarebbe sufficiente far parte di un sindacato nazionalmente rappresentativo per avere propri delegati nei luoghi di lavoro. L’accordo separato rappresenta una ferita che va sanata: ci auguriamo che si creino le condizioni, nella gestione degli accordi, per un superamento delle divisioni e per un miglioramento delle normative.
da www.europaquotidiano.it