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"Le pericolose idee grilline sulla televisione pubblica", di Vittorio Emiliani

Grillo credeva di poter continuare per un pezzo a urlare i propri anatemi contro tutti coloro che non gli dicono supinamente di sì. E invece comincia a prendere porte in faccia, a incassare, in pochi mesi, sconfitte brucianti. Inizia a constatare che amministrare non è come chiacchierare e che in Parlamento non si vive di slogan e di frasi fatte, ma bisogna studiare le carte, impadronirsi di norme e regolamenti, approfondire i “precedenti” (e sono interi dossier) nazionali ed europei, decidere rapidamente senza il conforto suo e di Casaleggio. Fare politica è una cultura. Non un giochino. Comincia forse a capire che schifare i talk-show televisivi esaltando lo straordinario ruolo salvifico della rete non è forse un’idea geniale perché significa non comparire mai, nel bene e nel male, di fronte a milioni di spettatori/elettori lasciando ai partiti tradizionali tutta la scena. Allora manda un po’ dei suoi a lezione di comunicazione televisiva dall’altro socio fondatore Roberto Casaleggio per poi vararli in qualche arena. Non solo. Ma aspira a presiedere la commissione bicamerale di Vigilanza sulla Rai e sulle telecomunicazioni. E il suo parlamentare Roberto Fico, ieri da Lucia Annunziata, ha corroborato la pretesa di sedersi al posto di Sergio Zavoli col possesso di una laurea in Scienza delle Comunicazioni che, detto francamente, ce l’hanno decine di migliaia di giovani (puntualmente disoccupati).

Probabilmente crede anche che da Palazzo San Macuto si governi sostanzialmente Viale Mazzini. Questa, per la verità, è un’idea che in molti hanno coltivato. Sarà bene che qualcuno dica all’onorevole Fico che la Rai-Tv è una azienda, anzi un’azienda complessa, con dinamiche imprenditoriali, messa a suo tempo dalla Berlusconi-Gasparri in condizioni di inferiorità rispetto a Mediaset, costretta a competere sul mercato degli ascolti perché col canone più basso e più evaso d’Europa copre, a fatica, la metà dei costi e deve per questo attrarre pubblicità, altrimenti va in rosso, e il cavallo bronzeo di Francesco Messina stramazza.

Mesi fa Grillo avanzò la solita ricetta magica: ridurre le reti Rai alla sola Rai3 pagata dal canone. E le altre due reti storiche? Ai privati. E RaiNews24, e gli ormai numerosi canali del digitale terrestre? Ai privati. Già li vedo Berlusconi e i suoi cari che si fregano le mani. E la radio? Boh…Grillo non sa, o finge di non sapere, che nessuna Tv sta in piedi al mondo con una sola rete. E che il problema vero, assillante, mai risolto, è semmai quello di mettere “in sicurezza”, con una Fondazione o con altri strumenti, per intero questa azienda dall’enorme potenziale svilito dal prevalere, con la legge Gasparri, dell’impero berlusconiano e dalla indifferenza o cecità del centrosinistra.

Grillo non può pensare di affrontare la montagna di problemi che la comunicazione pone in Italia con gli editti, francamente ridicoli, contro Milena Gabanelli prima innalzata sugli altari e poi gettata in pochi attimi alle fiamme dell’inferno mediatico per aver fatto il proprio mestiere di «inchiestista» senza vincoli di appartenenza, e contro Giovanni Floris divenuto anch’egli un «nemico» da esecrare e possibilmente esiliare. Ma i talk show il M5S li vuole frequentare sì o no?
Se Beppe Grillo non si desta dal suo delirio solitario e assoluto, se non si dà una calmata e non ragiona sulla complessa realtà delle cose, rischia di buttare a mare un potenziale rilevante di cambiamento politico. Che poteva e può essere quanto mai utile ad un Paese depresso, bisognoso di ridarsi slancio, coraggio, progettualità. Nelle regole e nella trasparenza. La politica non è uno show. È insieme capacità di progettare e capacità di lavorarci sopra duramente, faticosamente, quotidianamente. Non è l’ora dei dilettanti allo sbaraglio. Se Grillo e M5S si illudono di poter risolvere i problemi con una battuta sarcastica più o meno felice, sbagliano di grosso. Prenderanno altre facciate, andranno a sbattere e butteranno via un’occasione importante. La satira e la politica son due cose diverse, due linguaggi, due impegni differenti, confonderli può suscitare applausi lì per lì. Ma, alla lunga, lascia soltanto cenere dietro di sé.

L’Unità 03.06.13