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"Una colomba sfida l'estremismo", di Renzo Guolo

A sorpresa, grazie a una straordinaria affluenza, Rohani vince le presidenziali iraniane. Il candidato di moderati e riformisti vola sulla cresta dell’Onda, il movimento che nel 2009 vide la vittoria bruciata dal colpo di stato nelle urne dei duri e puri vicini alla Guida. La scelta dei riformisti di concentrare il voto sul “centrista” Rohani, ha pagato. È la rivincita dell’asse tra Khatami e Rafsanjani, gli ex-presidenti spinti nel 2009 al margine del “sistema” dall’alleanza tra conservatori religiosi e destra radicale, e messi nelle scorse settimane nuovamente all’angolo dal Consiglio dei Guardiani, che ha sbarrato la strada al discusso ma ancora influente Rafsanjani, accusato dai fedelissimi della Guida di complicità con la “sedizione” dell’Onda.
Il voto del 14 giugno mostra quale fosse la volontà della maggioranza degli iraniani già nel 2009. I candidati vicini alla Guida sono rimasti nettamente a distanza da Rohani, e se anche i seguaci di Khamenei avessero concentrato il voto su Qalibaf non avrebbero avuto la maggioranza. A dimostrazione che quando il voto è “libero”, sia pure nell’ambito di quella atipica oligarchia di fazioni rappresentata dalla Repubblica Islamica, i risultati non sono scontati.
Ora gli uomini vicini a Khamenei elogiano il carattere speciale della democrazia religiosa, esaltando la partecipazione al voto e sottolineando, implicitamente, la rilegittimazione di cui gode ora la Repubblica Islamica, scossa alle fondamenta dalla repressione della proteste popolari seguita ai
brogli del 2009.
Ma perché questa volta il cuore del “sistema” non è intervenuto, lasciando che il voto sancisse un esito non gradito alla Guida? Vi sono diverse ragioni. Innanzitutto, la crisi di legittimità seguita a quegli avvenimenti era troppo profonda per replicare, senza produrre ulteriori fratture, la “mossa del cavallo” che nelle scorse elezioni aveva permesso a Khamenei di rovesciare il gioco e tenere sotto scacco l’alleato competitivo Ahmadinejad. Il presidente uscente era portatore di un progetto di ricambio della classe dirigente a favore della componente non radicale, che non è più decollato sotto il peso di quel patto faustiano cui ha pagato dazio.
Un nuovo, pesante, intervento sul voto non avrebbe avuto, questa volta l’avallo della destra radicale, allora beneficiaria dei brogli oggi politicamente sconfitta ma non smobilitata e con un consenso nei ranghi intermedi e inferiori di Pasdaran e Basij, tra i mostazafin’, i diseredati, oltre che tra i molti reduci della generazione del fronte che ha combattuto nella guerra con l’Iraq. Non è da escludere che anche parte dei voti un tempo di Ahmadinejad siano finiti, in nome dell’avversione alla Guida e in un sorta di irridente nemesi del tradimento, a Rohani.
Negli ambienti vicini a Khamenei potrebbe poi essere prevalsa quella corrente realista che ritiene più pericolosa una nuova destabilizzazione interna. Potenzialmente più esplosiva dopo le primavere arabe, che l’elezione di un presidente non allineato con la Guida ma pur sempre di “sistema”. Nella consapevolezza che, comunque, il controllo degli apparati della forza e la partita del nucleare rimane nella mani di Khamenei: sia nel caso si decida di rimanere su posizioni di chiusura, sia nel caso in cui si incoraggi Rohani a riaprire il negoziato.
In ogni caso è una svolta per l’Iran, sul piano interno e internazionale. Sebbene Rohani sia un turbante, la repressione sul piano dei costumi dovrebbe attenuarsi, mentre aumenteranno gli spazi per le libertà individuali, associative e quella di espressione. Così come dovrebbe venire meno l’isolamento tipico dell’era Ahmadinejad. Una virata che potrebbe rendere più difficile per l’Occidente l’inasprimento della politica delle sanzioni e l’ipotesi di un attacco militare a Teheran, scelte che andrebbero a colpire un paese che in maggioranza mostra di voler cambiare rotta.
Anche se il nuovo corso politico dovrà fare i conti con le tensioni che si sprigionano ogni qualvolta divergono le posizioni dei vertici degli organi a legittimazione politica, come il presidente, e quelli a legittimazione religiosa, come la Guida, che danno forma alla natura duale della Repubblica Islamica.

La Repubblica 16.06.13