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Franceschini: «Il lavoro viene prima di Imu e Iva», di Andrea Garibaldi

Fra i commenti sui provvedimenti varati sabato dal governo, a Dario Franceschini è piaciuto questo: «Ragionevoli misure». Gran complimento, dice: «Di solito si annunciano disegni di legge con riforme epocali, noi abbiamo fatto un decreto che entra subito in vigore e inciderà nella vita di persone, famiglie e imprese».
Dovesse sottolineare uno dei provvedimenti?
«La velocizzazione della giustizia civile, per far recuperare competitività all’Italia, le misure per ricerca e università. Ma il decreto è pieno di novità, per le quali mi aspetto forti resistenze: nel mondo le lobby intervengono per chiedere di fare qualcosa, in Italia per lasciare tutto com’è».
E dopo il «decreto del fare»?
«In cima a tutto c’è da affrontare la disoccupazione giovanile. Per me, prima di Imu e Iva. Una grande operazione di defiscalizzazione per i nuovi assunti, su tutto il territorio nazionale».
Poi, gli scogli Imu e Iva.
«Sull’Imu dovremo decidere entro luglio. L’abolizione della tassa sulla prima casa è uno degli impegni del governo, anche se c’è chi vorrebbe distinguere meglio i reali bisogni. Sull’aumento dell’Iva, occorre decidere entro fine mese. Tutti vorremmo evitarlo, ma solo bloccarla fino al 31 dicembre costerebbe 2 miliardi di euro».
Lavoro, Imu e Iva sono in qualche modo legati?
«In tutto comporterebbero una manovra da 7-8 miliardi per il solo 2013. Sono troppi e bisognerà scegliere. Destra e sinistra non c’entrano. Spero che nessuno si metta a dire: “L’Imu è cosa mia” o “L’Iva è cosa tua”. Sarebbe un dibattito surreale».
Dario Franceschini oggi è ministro per i Rapporti col Parlamento. Nel 2009 fu segretario del Pd per otto mesi. Segretario fieramente antiberlusconiano. Dopo le ultime elezioni, fu il primo nella maggioranza del Pd ad affermare che l’unica strada era il dialogo con Berlusconi.
Ieri Berlusconi ha detto: «Spero che la collaborazione tra destra e sinistra possa durare».
«In verità, cerchiamo di non dare troppo peso alle cose positive o negative che arrivano ogni giorno da tutti. Il governo è retto da una coalizione improbabile, un momento pare stia per cadere, il momento dopo sembra destinato a lunga vita. Lavoriamo, finché abbiamo la fiducia in Parlamento».
Il lavoro dentro il governo fra uomini del Pd e uomini del Pdl come funziona?
«Funziona, perché viene rispettata una regola: tensioni e scontri nei luoghi propri, lontano dai riflettori. Anche sabato, in Consiglio dei ministri, su alcuni punti la discussione è stata assai animata. Ma all’esterno sosteniamo assieme le scelte finali».
Sta descrivendo un’alleanza con un futuro?
«Assolutamente no. Questo è un governo di servizio. Pd e Pdl sanno di essere avversari politici e torneranno ad esserlo. Il collante in questo momento sono le emergenze degli italiani, non certo una comune visione del futuro».
Bersani ha fatto capire che se il governo cadesse non si voterebbe, potrebbero esserci maggioranze alternative. I renziani l’hanno definita una «bordata per Letta».
«Nessuna bordata da Bersani. Solo una constatazione oggettiva. Le difficoltà nel Movimento 5 Stelle sono sotto gli occhi di tutti, può essere che un’altra maggioranza diventi numericamente possibile. In questo momento nessuno sembra voler andare alle elezioni e, siccome credo alle parole dette, tutti sostengono il governo, da Renzi a Berlusconi».
Le sentenze su Berlusconi metteranno nei guai il governo?
«Non vedo collegamenti tra la ragione sociale del governo e le sentenze, che rientrano nell’autonomia della magistratura».
Il Pd sta per andare a congresso. Con quali regole?
«Che siano quelle del 2008 o nuove regole, la scelta va condivisa più largamente possibile e va condivisa comunque con Renzi: qualsiasi modifica non concordata apparirà contro di lui».
Segretario e candidato premier devono essere la stessa persona?
«Ci sono tre poli tutti sotto il 30 per cento: il buon senso fa pensare che saranno due persone diverse. Come è accaduto anche stavolta».
Ci sono schieramenti chiari che si contrappongono?
«Mi preoccupa vedere nel Pd schieramenti determinati più da dove si proviene che verso dove si vuole andare. Sento riparlare di democristiani e comunisti…».
Che Pd vorrebbe dopo il congresso?
«Un partito di sinistra riformista, con il coraggio di fare le cose difficili che servono al Paese».

Il Corriere della Sera 17.06.13