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"L’eterna paura della trasparenza", di Filippo Ceccarelli

Uffa. Si fa peccato a esprimere il più disadorno scetticismo nei riguardi di Beppe Grillo che tanto per cambiare ha invocato ieri la cacciata dei giornalisti
dal Parlamento? Non è il primo, infatti, e non sarà l’ultimo a esprimere la propria insofferenza proponendo di «disciplinare» l’informazione «in spazi appositi, esterni al Palazzo» (maiuscolo).
A tal fine il leader del M5S mobilita un brano del Vangelo di Giovanni (sui mercanti cacciati dal tempio), corregge un manifesto disegnato da Boccasile durante la guerra fascista («Tacete, i giornalisti vi ascoltano») e non proprio irresistibilmente conclude il suo post con la parodia di una canzone di Ornella Vanoni, «Sapessi com’è strano/ fare il deputato/ nel Parlamento romano», perché dovunque vai, ti trovi sempre qualche giornalista fra i piedi, per giunta «senza tesserino» di riconoscimento.
Sgradevole sensazione, quest’ultima, presente già nei romanzi parlamentari dell’ottocento (De Roberto, Serao). Vero che a quei tempi la reciproca avversione trovava sfogo in duelli più o meno sanguinosi (attorno a uno di essi nasce l’Associazione Stampa Parlamentare). Ma poi Giolitti, che detestava gli scontri all’arma bianca e sapeva il fatto suo, aggirò la questione corrompendo i cronisti attraverso uno speciale fondo significativamente denominato «dei rettili».
Adesso, scrive Grillo (o chi per lui) tradendo il consueto fantasma di purezza, gli operatori dei media «profanano» e «infestano» le assemblee di Montecitorio e Palazzo Madama; inoltre sono invasivi, rubano frasi e fanno gossip (aggiungeva la Serao: «Come serve al pozzo»). Anche Collodi, del resto, l’autore di Pinocchio, fu giornalista parlamentare tutt’altro che indulgente con i suoi colleghi, parecchi dei quali praticavano «quell’arte che consiste nel pensare in un modo, parlare in un altro, e scrivere diversamente».
Quelli di oggi Grillo li definisce, in neretto, «gossipari e pennivendoli ». Ma si deve a Craxi l’epiteto di «raccoglitori di cicche» e a Biondi quello di «ciuccia-birra e mangiatori di tramezzini» (di incerto conio, ma della medesima ispirazione «palpeggiatori di supplì»).
E tuttavia è il proposito di rinchiudere i giornalisti in «appositi spazi», «recinti» o «serragli» che siano, quella che gloriosamente fa virare la faccenda verso la vana e cialtronesca abitudinarietà dei conflitti all’italiana. L’auspicato divieto di circolazione nel Transatlantico e alla buvette, tipici spazi di contesa, è coevo al proposito di riforme istituzionali, nel senso che se ne parla dal 1980, dopo che un onorevole dc, Brocca, ebbe una lite con un anziano giornalista per diritto di precedenza in ascensore.
Da allora il partito trasversale dell’allontanamento si fa vivo con periodiche sortite. Dall’onorevole Usellini a Pannella, dal Comitato Aniasi a Bossi la rivendicazione territoriale genera clamore e null’altro. Per cui lo «struscio » dei Passi Perduti irritò la Pivetti e a Berlusconi parve irreale di poter essere inseguito di qua e di là, ma le loro idiosincrasie rimasero lettera morta. Nel 1995 la cosiddetta «disfida dei culi d’oro », divampata tra onorevoli e giornalisti nel ristorante a proposito di un tavolo, parve rompere di nuovo quell’equilibrio che Arbasino, forte della sua esperienza a Montecitorio, aveva tratteggiato secondo la parabola: «Dal pappa e ciccia ai pesci in faccia».
Ma la cosa più sorprendente, e tale da restituire un rassegnato buonumore all’intera vicenda, è che l’intemerata di Grillo ricalca perfettamente ciò che 18 anni orsono, sia pure con un linguaggio più sorvegliato, Massimo D’Alema regalò alla pubblica opinione suscitando il previsto scandalo a bassa intensità ed effimero prosieguo. «Sarebbe giusto, corretto, civile che in Transatlantico ci fossero solo deputati» decretò. Ma specialmente significativo è che nel designare l’incomoda presenza dei giornalisti sia lui che Grillo abbiano indicato il medesimo cruciale argomento: «Ti seguono fin nella toilette per strapparti qualche sciocchezza».
Filologia comparata segnala, nel post odierno, l’inconsueto termine «urinatoio». Ma forse è un errore di stampa, o di rete, o una licenza poetica. D’altra parte, se perfino Grillo si adatta alle lamentazioni dei suoi avversari, l’indignazione lascia un po’ il tempo che trova — così come ormai la Trasparenza, ultima dea, fugge i grillini (e involve tutte cose l’obblio nella sua notte).

La Repubblica 26.06.13