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“Il Governo e il sommerso”, di Tito Boeri

L’ economia sommersa come ammortizzatore sociale. È questa la strategia consapevolmente seguita dal governo nell’affrontare la recessione. Ha scelto di ridurre i controlli sui posti di lavoro. Li ha ridotti nonostante potesse contare su più ispettori del lavoro di quelli a disposizione dei governi precedenti. Ne sono stati assunti 300 (quasi il 10 per cento in più) nel solo 2008 e 1100 nei due anni precedenti. Ma i controlli sono diminuiti. Nel 2008 sono calati del 6 per cento. E nel 2009 si ridurranno di un quarto. Ce lo dice tra le righe il Documento di Programmazione dell’Attività di Vigilanza nel 2009 predisposto dal ministero del Lavoro e reso pubblico in questi giorni. Se si prendono per buoni i dati forniti dal ministero sui controlli effettuati nel 2008, la riduzione delle ispezioni sarà del 24 per cento, con punte del 50 per cento nelle regioni del Sud (a partire dalla Calabria). Perché questa scelta? Il documento del ministero è molto esplicito a riguardo: «La criticità del momento contingente rafforza la scelta di investire su di un’azione di vigilanza selettiva e qualitativa, diretta a limitare ostacoli al sistema produttivo». Insomma, si preferisce chiudere un occhio, se non due, in questo frangente. Più chiaro di così! È una scelta di politica economica molto pericolosa e fatta senza dire nulla ai cittadini, senza interpellare il Parlamento. Può portare a un ulteriore e forte peggioramento dei nostri conti pubblici nel 2009, ben al di là di quanto previsto nei documenti ufficiali del Governo. Forse per questo il ministro Tremonti è stato così prudente in questi mesi. Secondo l’Aggiornamento del Programma di Stabilità dell’Italia presentato dal governo a Bruxelles, l’indebitamento dovrebbe salire nel 2009 al 4,1 per cento nel caso, sempre più probabile, di una diminuzione del prodotto interno lordo del 2,5 per cento. Ma le previsioni del governo contemplano un anacronistico incremento delle entrate contributive nell’anno in corso e confidano su di un consistente recupero di evasione nella copertura del decreto anticrisi. Con la riduzione della tax compliance , il disavanzo potrebbe perciò avvicinarsi pericolosamente alla soglia del 5 per cento. Il tutto senza che vengano varati provvedimenti significativi a sostegno dell’economia e delle famiglie colpite dalla crisi. La vera manovra, a quanto pare, consiste nel dare spazio all’economia sommersa. I controlli sui posti di lavoro sono molto efficaci nel recuperare base imponibile. Mediamente una ispezione su due porta al riscontro di frodi fiscali o contri- butive. Sempre in media, ciascun controllo compiuto dagli Ispettorati del Lavoro, dall’Inps, dall’Inail e dall’Enpals porta alle casse dello Stato fra tasse, contributi e sanzioni circa 55.000 euro, ben di più del costo unitario delle ispezioni. Questo significa che le ispezioni sono uno strumento molto efficiente nel recuperare base imponibile e che quella del governo è una scelta politica, probabilmente volta ad accontentare alcune fasce del suo elettorato di riferimento. È la stessa scelta, peraltro, resa esplicita nei nuovi orientamenti del Governo riguardo alle politiche di accertamento, che «non devono essere invasive nei confronti delle piccole e medie imprese», come recitano i comunicati dell’Agenzia delle Entrate (vedi Cecilia Guerra e Silvia Giannini su lavoce. info ). È una scelta pericolosa anche perché penalizza le imprese che possono portarci fuori dalla recessione permettendo invece la sopravvivenza di quelle più inefficienti. La distruzione creativa che avviene in ogni recessione avrà così luogo all’inverso: sopravvivenza garantita alle imprese con produttività più bassa, mentre si tartassano le imprese, in regola, quelle che hanno il maggiore potenziale di sviluppo, così come le nuove iniziative imprenditoriali che volessero nascere in chiaro, alla luce del sole. È una scelta pericolosa perché lascerà a tutti noi un’eredità molto pesante di illegalità diffusa, di stato debole e invadente al tempo stesso. Debole perché non garantisce il rispetto della legalità. Invadente perché sarà la Direzione generale per l’attività ispettiva a programmare dal centro le ispezioni sulla base delle direttive del ministro, come affermato nella direttiva emanata il 18 settembre 2008 dal ministro Sacconi. È un accentramento di poteri senza precedenti. L’economia sommersa, l’insieme di attività svolte senza pagare tasse e contributi sociali, conta tra un sesto e un quarto del nostro prodotto interno lordo, a seconda della stime. Vi sono delle regioni, come la Calabria, dove secondo l’Agenzia delle Entrate fino al ’94 per cento dell’imponibile Irap veniva nel 2006 sottratto al fisco. È una piaga nazionale, un fardello che pesa sulla parte più avanzata del nostro tessuto produttivo, localizzata soprattutto nel Nord del paese, costringendola a pagare anche le tasse degli altri (potrebbero essere di un quinto più basse se tutti le pagassero). Allontana la soluzione dei problemi dello stesso Mezzogiorno. Perché l’illegalità alimenta altra illegalità ben più grave: è proprio sullo smercio delle produzioni del sommerso economico che spesso vive e vegeta la criminalità organizzata, a partire dal “sistema” camorristico narrato con rara efficacia da Roberto Saviano. Ed è sempre molto forte l’intreccio fra, da una parte, evasione fiscale e contributiva e, dall’altra, quel mancato rispetto degli standard di sicurezza da cui scaturiscono molte morti bianche. Le recessioni offrono un’occasione per contrastare in modo significativo la violazione delle norme sulla sicurezza perché per le imprese è meno costoso mettersi in regola quando le attività sono più contenute e, quindi, la regolarizzazione non comporta costose interruzioni del ciclo produttivo. Ma perché le imprese siano indotte a mettersi in regola ci vogliono più ispezioni, non certo di meno. Si dirà che reprimendo il sommerso si rischia di creare più disoccupazione in un momento già molto difficile per il nostro mercato del lavoro. Ma la disoccupazione viene creata proprio scaricando il peso della tassazione sulle imprese che operano alla luce del sole. Se il governo ritiene che la pressione fiscale sul lavoro sia insostenibile nell’attuale congiuntura, perché non riduce la tassazione sul lavoro, a beneficio di tutte le imprese in regola e di tutti i loro lavoratori? Perché non intensifica, al contempo, i controlli anziché ridurli, permettendo così di finanziare in parte i costi della riduzione delle imposte? In ogni caso, siamo in democrazia e gli italiani hanno il diritto di essere informati su questa scelta esplicita di politica economica del nostro esecutivo.

La Repubblica, 25 febbraio 2009