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“I medici che non vogliono denunciare i clandestini”, di Alessandra Mangiarotti e Simona Ravizza

Medici-obiettori che per rendersi riconoscibili in corsia lo scrivono sul camice: «Io non ti denun­cio». Associazioni di categoria che invi­ano petizioni al governo per rafforzare il proprio «no»: «Quel provvedimento va contro il nostro codice deontologi­co». Regioni che rivendicano la pro­pria autonomia in fatto di sanità, riba­discono le norme in vigore, ne varano di nuove: «Le cure devono essere ga­rantite a tutti nel pieno rispetto della Costituzione e della privacy». La batta­glia contro il provvedimento che pre­vede la denuncia da parte dei medici dei clandestini è trasversale. Politica e di categoria. Un rincorrersi di iniziati­ve per fermare il disegno di legge. Per interrompere le denunce: tre quelle re­gistrate prima che la norma sia entrata in vigore. Ma anche per contenere il crollo di richieste di cure da parte de­gli stranieri: dei cittadini sprovvisti di permesso di soggiorno ma anche degli immigrati in regola.

Da Milano a Roma. Da Torino a Ge­nova. Pur senza nomi e cognomi le sta­tistiche parlano chiaro. «Il numero di immigrati che nei primi tre mesi del­l’anno hanno chiesto cure è calato del 10-20% rispetto al 2008», denuncia Massimo Cozza, responsabile dei me­dici della Cgil. Il crollo a febbraio: «Nel pieno del dibattito e dell’approvazione del ddl al Senato». Ora, spiega il presi­dente nazionale della Società italiana medicina d’emergenza-urgenza Anna Maria Ferrari, «gli accessi registrati nelle principali strutture di emergenza sono tornati quasi nella norma». «Ma non appena si ricomincerà a parlare di medici-spia ci sarà un nuovo calo», av­vertono gli addetti ai lavori. Del resto le denunce sono state più veloci del­l’entrata in vigore della legge: i primi di marzo, all’ospedale Fatebenefratelli di Napoli, Kante, 25 anni, ivoriana in attesa del riconoscimento di asilo poli­tico, è stata segnalata dopo aver dato alla luce un bimbo; un mese dopo, agli Spedali Riuniti di Brescia, Maccan Ba, 32 anni, senegalese, è stato raggiunto da un ordine di espulsione dopo aver richiesto cure per un mal di denti; ne­gli stessi giorni, al Santa Maria dei Bat­tuti di Conegliano (Treviso), una nige­riana di 20 anni è stata registrata al pronto soccorso come «paziente igno­ta » e dimessa con un foglio di via.

Spiega Massimo Cozza: «La paura è la fuga degli immigrati dagli ospeda­li». Con un doppio rischio: «Per la salu­te dei cittadini stranieri, il cui diritto alle cure è sancito dalla Costituzione, e per la salute pubblica». Parole che ri­calcano storie di Carlos e Joy: lui, 20 an­ni, sudamericano trapiantato nel Pave­se, per paura di essere denunciato ha rischiato di morire di peritonite; lei, 24 anni, nigeriana, prostituta, è morta di tubercolosi avanzata. «Il 50% degli ospiti del Cara di Bari, il centro di acco­glienza dove era stata, è risultato posi­tivo alla malattia».

Al San Paolo di Milano, punto di ri­ferimento per i suoi ambulatori dedica­ti agli immigrati, i medici lavorano con la spilla «Io non ti denuncio». Qui il calo dei cosiddetti «stranieri tempo­raneamente presenti» è stato del 40%, la media dei tre mesi registra un meno 22. Richieste di intervento in discesa anche al Niguarda e al Fatebenefratelli (-10). A capo dell’assessorato regiona­le alla Sanità c’è il leghista Luciano Bre­sciani, ma già lo scorso febbraio la di­rezione generale ha inviato una circola­re per ribadire che i clandestini hanno diritto a cure gratuite. Cure che, stan­do ai primi risultati dell’indagine pilo­ta avviata dall’Asl (guidata dalla leghi­sta Cristina Cantù), ammonterebbero a 15 milioni l’anno. Anche il governa­tore Piero Marrazzo ha inviato una cir­colare ai medici del Lazio, ma per riba­dire che non devono ottemperare alla denuncia. Una norma sulla quale ha espresso preoccupazione anche il con­siglio di facoltà di Medicina del Gemel­li. Da inizio anno a metà aprile gli ac­cessi degli stranieri nei 39 principali ospedali del Lazio, dicono i dati del­l’Agenzia sanità pubblica, sono stati 4.789 rispetto ai 6.433 del 2008. Al San Camillo sono passati da 748 a 573, al Tor Vergata da 239 a 63. Al Casilino da 1.640 a 1.589. Ma qui — dove il respon­sabile del dipartimento di emergenza Adolfo Pagnanelli ha fatto firmare ai «suoi» medici una dichiarazione in cui si impegnano a non denunciare e per comunicarlo ai pazienti ha fatto affig­gere cartelli in sette lingue — è la «fu­ga » di romeni che colpisce: meno 18%.

Cartelli in più lingue sono stati affis­si su richiesta dei governi regionali an­che in Emilia Romagna, Puglia, Sicilia. In Liguria il debutto è atteso a ore. In Piemonte i manifesti sono in fase di ideazione. Tutte Regioni che hanno in­viato anche circolari ad hoc per ribadi­re che l’unica norma in vigore è quella contenuta nel testo unico sull’immi­grazione che prevede il divieto di de­nunciare i pazienti. «Faremo ricorso al­la Consulta perché quella norma è in­costituzionale », annuncia l’assessore alla Sanità della Toscana Enrico Rossi. Al Careggi di Firenze gli irregolari so­no passati da 145 a 122, preoccupa la diserzione del consultorio femminile. Per la Puglia il governatore Niki Ven­dola ha annunciato una «norma spe­ciale » contro quella nazionale. Tutti obiettori i medici del Simeu. Il cartello al San Paolo di Bari: «Qui non denun­ciamo nessuno». E non sono solo i go­vernatori di centrosinistra a portare avanti la battaglia. Il presidente della Sicilia Raffaele Lombardo ha voluto che all’interno della legge di riordino del sistema sanitario fosse introdotto un emendamento: «A tutti le cure am­bulatoriali e urgenti senza che ciò im­plichi alcun tipo di segnalazione all’au­torità». Sicilia in controtendenza, co­me la Calabria, anche in fatto di nume­ri: nei centri per immigrati dove i me­dici indossano la maglietta «non vi de­nunciamo» gli accessi sono quasi rad­doppiati.

Corriere della Sera, 22 aprile 2009

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