cultura, politica italiana

"Se le montagne di Cortina valgono come un’utilitaria", di Massimo Spampani

Sono patrimonio dell’Unesco, ma a prezzi stracciati. Le Dolomiti, le montagne di Cortina, tra le vette più famose dell’orizzonte alpino, santuari della storia dell’alpinismo e mete classiche del turismo estivo e invernale, valgono anche meno di un posto macchina, nel centro ampezzano. Quassù il mattone è il più caro d’Italia, con prezzi delle case da capogiro, oggi realisticamente tra i 17 e i 23 mila euro al metro quadrato, ma la roccia, per quanto blasonata e sublime, che si infiamma nell’enrosadira all’alba e al tramonto, è in liquidazione.

Ecco allora che tra i beni demaniali che lo Stato intende dismettere per trasferirli agli enti locali a cominciare dai Comuni, il più caro, si fa per dire, è il monte Cristallo, valutato 259 mila euro, ma Tofane e Rocchette assieme già scendono a 175 mila e il Faloria con il Sorapiss a 22 mila. La Croda del Becco, il Col Rosà, il Lavinores e la Croda d’Antruiles, un quartetto nel Parco d’Ampezzo, valgono insieme 11.929 euro, più o meno il prezzo di un’utilitaria. Fatti i conti un appartamento di 100 metri quadrati a Cortina, se ti va molto bene, lo paghi un milione e 700 mila euro.

I criteri che l’agenzia dello Stato ha applicato per dare un valore d’inventario alle montagne sono cose per gli addetti ai lavori, fatto sta che per alcune cifre si spacca addirittura l’euro a metà. «Ci interessa solo che ritornino ai legittimi proprietari — dice Andrea Franceschi, sindaco di Cortina —. Noi le montagne non dobbiamo pagarle, ci verranno attribuite a titolo gratuito e di certo, una volta nostre, non le venderemo, dal punto di vista morale le sentiamo già nostre: che valgano un euro o 100 milioni è la stessa cosa. Credo che Cortina abbia dimostrato di saper tutelare il proprio territorio. Probabilmente sono finite nel calderone di altri beni di proprietà demaniali, come caserme, stazioni, immobili dismessi». «La cosa mi colpisce profondamente — ribatte Ernesto Majoni, direttore dell’Istituto culturale ladino delle Dolomiti — capisco che il demanio abbia i suoi metodi per calcolare i valori, ma la cosa ha del grottesco. Questi monti sono patrimonio dell’Unesco, i valori delle nostre montagne non sono misurabili in termini di ambiente, storia, patrimonio culturale, fruibilità turistica. Mettere in mano ai Comuni la possibilità di disporre di questi beni mi preoccupa. Se qualche Comune ha bisogno di far cassa utilizzandoli, magari troverebbe anche chi li compra. Mi auguro che la vigilanza sia attenta».

Sia pur rari e contenuti, non mancano in passato esempi in cui il Comune di Cortina ha venduto zone rocciose: «Per costruire le stazioni in quota della funivia della Tofana, per esempio», conferma Siro Bigontina, vicepresidente dell’Unione dei Ladini d’Ampezzo, coordinatore del comitato che ottenne il referendum per il passaggio di Cortina al Trentino-Alto Adige, che però si dice «molto soddisfatto del ritorno delle montagne in proprietà ad Ampezzo». Ma perché Cortina ha le sue montagne nella «lista della spesa» che lo Stato vuol dismettere, mentre l’Alto Adige e il Trentino no? È Bigontina a spiegarlo: «Si tratta di un’anomalia. La questione si trascina dal primo conflitto mondiale. Fino allora Cortina apparteneva all’Austria e con l’annessione all’Italia le sue montagne sono finite al demanio. Lo stesso è accaduto per il piccolo comune bellunese di Livinallongo. I nostri vicini altoatesini e trentini invece, le hanno riottenute in proprietà quando è stato redatto lo statuto speciale per le Provincie autonome di Trento e Bolzano». Quindi per esempio per le Tre Cime di Lavaredo, il Catinaccio o il Sassolungo il problema non esiste. La loro dignità è salva.

Il Corriere della Sera 04.08.10