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"Milano da rifondare", intervista a Valerio Onida di Enrico Arosio

Tutti guardano alla politica romana, ma nel frattempo la seconda città d’Italia è caduta in una profonda crisi politica, etica e culturale. Eppure il dopo Berlusconi può ripartire proprio da qui. Parla il giurista Valerio Onida.
Non c’è solo la cocaina all’Hollywood. O i boss della ‘ndrangheta che infestano l’hinterland. O i pendolari umiliati da treni indecenti. Sono molto diversi, a Milano, i segni del declino: dall’Expo ridotta a fantasma al sindaco che diserta il consiglio comunale, dai dirigenti pubblici corrotti fino al potente ingegner Ligresti costretto a vendere i gioielli come la Torre Velasca e il palazzo Milano in piazza Cordusio. Come reagire al declino? Lo chiediamo al giurista Valerio Onida, firmatario, con la miglior società civile cittadina, da Francesco Savero Borrelli a Guido Martinotti a Umberto Eco, dell’appello “Impegno per Milano 2011” che si propone la ricerca di un candidato forte da contrapporre a Letizia Moratti.

Professor Onida, di quale declino parla?
“Anzitutto quello civile, politico e morale”.

La chiusura per droga del tempio delle notti milanesi ha valore emblematico.
“Di discoteche so poco. Ma da milanese nato nel 1936 sono sconcertato dalla profondità della trasformazione avvenuta, sul piano economico e sociale e su quello dei valori. Milano era una città all’avanguardia, non solo per la presenza della grande industria, l’Alfa Romeo, la Pirelli, la Innocenti, e della sua borghesia illuminata, ma anche per la vivacità di correnti culturali capaci anche di costruire politica: il socialismo democratico e umanitario (per decenni i sindaci socialisti); le correnti del cattolicesimo liberale e sociale di cui erano espressione la Cisl, le Acli; l’avanguardia del fronte autonomistico negli anni di avvio della Regione. Dov’è finito tutto questo? Mi colpisce constatare come il grande elettorato socialista di Milano sia passato armi e bagagli con Berlusconi, su posizioni distanti anni luce dagli ideali originari”.

Non è una novità.
“No. Ma questa trasformazione radicale è forse unica nel Paese. Quel mondo precedente, impegnato e solidale, non è stato sostituito da nessuna grande corrente culturale. Molti sono sfiduciati, non credono più alla politica. Un vuoto che allarma”.

La Milano dell’era Berlusconi è ormai definitivamente una città di destra?
“Io dico di no. Anche se le periferie hanno votato a destra. Il voto non è mai irreversibile”.

Dove ha fallito la Moratti?
“Ha peccato, direi, più che altro di omissione. Non è riuscita a essere autonoma dal Pdl. Non ha pilotato una crescita civile, sociale e infrastrutturale. Ha lasciato Milano in mano agli immobiliaristi. Non ha saputo parlare ai cittadini. L’Expo è in difficoltà, le politiche antitraffico inefficaci, il grande progetto della Biblioteca Europea in forse; l’unica novità le biciclette del Comune: un po’ poco. Da un lato cresce la rassegnazione, dall’altro dilaga l’effimero. E pensare che la città è ricca di energie vive e sottoutilizzate. La medicina, le università, l’editoria, l’innovazione tecnologica…”.

È perciò che nasce questo vostro appello degli ottimati? L’aristocrazia civile deve supplire alla debolezza dei partiti?
“Capisco l’ironia sugli ottimati ma, detta così, è una contrapposizione troppo meccanica: un sindaco e una classe dirigente sono sempre espressione della società civile e delle sue strutture politiche”.

La crisi dei partiti a Milano è abbastanza evidente. A destra e a sinistra.
“La nostra iniziativa parte da una generazione di cittadini, professionisti e intellettuali, che ricorda il prima, deplora il dopo e crede nel futuro. Non spariamo sui partiti, ma chi ha memoria e conoscenza ha il dovere di non estraniarsi. La democrazia non è la delega a un ristretto ceto professionale di politici”.

Che cosa volete esattamente?
“Noi non cerchiamo il deus ex machina anti-Moratti. Lo scopo non è di inventare un nome, ma di aiutare a promuovere, anche attraverso la proposta di nomi, una nuova classe dirigente, di giovani competenti e appassionati al bene collettivo. E agli antipodi del modello monarchico
e individualista di Berlusconi. Al quale si è adeguato, per opportunismo e ricerca di potere, un cattolico di per sé distante da quel modello come Roberto Formigoni”.

L’Espresso 10.08.10