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«La rappresentanza delle scuole autonome», di Gian Carlo Sacchi

Se si volesse rappresentare l’evoluzione dell’autonomia scolastica, si potrebbe raffigurarla tra tutela e abbandono. Si sa che fin dalla nascita il problema più importante è stato il potere reale delle scuole autonome, a fronte di un mandato istituzionale che non è mai stato chiarito fino in fondo: quello che oggi il nuovo titolo quinto della Costituzione chiama norme generali, principi fondamentali, livelli essenziali delle prestazioni; un rapporto con il territorio che avrebbe dovuto esprimere la capacità di esercitare il ruolo di “presidio pedagogico” e che invece rimane saldamente ancorato al centralismo burocratico nella disponibilità delle risorse; una riforma ordina mentale che corrisponde al più grosso disinvestimento finanziario della storia repubblicana che lascia le stesse in una situazione di galleggiamento, incapaci di corrispondere alla crescente domanda, vincolate da perduranti rigide modalità di gestione e alla disperata ricerca di fonti alternative di sostentamento.

Sarebbe necessario approfondire le motivazioni di chi da un lato vorrebbe la scuola un’agenzia volta alla competizione sul mercato della formazione, e, dall’altro, accetta che sia lo stato a determinare un’offerta formativa obbligata ma discutibile per gli stessi utenti. L’autonomia non può avere nessuna di queste caratteristiche: a livello nazionale si deve marciare decisamente verso quelle che sono le predette nuove competenze costituzionali; la programmazione del servizio è di competenza delle regioni e tutto il resto deve essere lasciato alle scuole. Sappiamo che l’obiezione è l’adeguatezza rispetto alla garanzia dei diritti, ma non si può pensare ad un’eterna tutela, e proprio questo stato di abbandono è la condizione più pericolosa.

E’ già da un paio d’anni che l’autonomia è stata riconosciuta (e non concessa) alle scuole e che è stata loro attribuita la personalità giuridica, ma poi tutto si è fermato a fronte di una congrua (?!) erogazione di fondi dai diversi livelli di enti pubblici ed anche da privati, ed ora che i finanziamenti sono molto diminuiti si notano ancora di più i limiti strutturali di tale mal funzionamento. Mancano cioè aggiornate modalità di autogoverno, ma soprattutto mancano i criteri di legittimazione della rappresentanza delle scuole autonome.

In una logica di soddisfacente tutela tali autonomie si sono spesso trasformate in potentati autarchici difficili da porre in rapporto con i propri simili e soprattutto con le altre autonomie territoriali; il senso dell’abbandono rischia di farle precipitare nelle mani di altri potentati prima ancora di essere in grado di esibire un propria personalità di relazione.

Un vecchio slogan che ha accompagnato il processo di partecipazione evocava la scuola “della comunità”, quindi ne dello stato e nemmeno del comune; una nuova autonomia, diffusa su tutto il territorio nazionale a partire dalle realtà locali. Una gracile istituzione che è stata rivalutata dalla recente modifica costituzionale e che oggi ha bisogno di portare a compimento questo riconoscimento pena l’indebolimento dell’intero sistema.

La rappresentanza dunque non è un problema giuridico, che prolunga la tutela, ma una questione politica che sviluppa la relazione nel sistema delle autonomie e porta al riconoscimento del ruolo della scuola nelle decisioni di politica territoriale ai diversi livelli. E‘ dalla scuola dunque che nasce l’istanza della rappresentanza, dal suo desiderio di contare nei diversi ambiti; è dalla sua reale capacità di autogoverno (da qui intervenire subito nella riforma degli organi collegiali di istituto) che cresce la domanda di partecipazione a livelli territoriali sempre più ampi e di decidere da chi e come farsi rappresentare.

Si deve dunque pensare ad associazioni di scuole ed a loro aggregazioni a diversi livelli territoriali: provinciali, regionali, nazionale. Il pensiero corre all’Associazione Nazionale del Comuni d’Italia, libera associazione di comuni, motivati a stare insieme per far sentire la loro voce. Se tutto deve partire dall’unità scolastica autonoma, come espressione di una realtà locale, con un organismo di autogoverno eletto, così essa può inviare i propri rappresentanti nei diversi contesti di pari o di livello più ampio.

Non si potrebbe immaginare un ANCI per iniziativa del ministero dell’Interno, perciò nemmeno la rappresentanza delle scuole può essere legittimata da un regolamento del ministero dell’Istruzione. Le reti di scuole ci sono già e svolgono la loro funzione secondo una logica che attiene all’efficienza del pubblico servizio, con il dirigente scolastico che ne è il garante. Le comunità scolastiche, statali e paritarie, purché queste ultime siano governate da organi elettivi, devono decidere democraticamente da chi farsi rappresentare.

Se di una legge sulla rappresentanza si deve parlare essa deve riguardare la legittimazione delle associazioni di scuole, soprattutto per quanto riguarda le nuove competenze regionali (esclusive e concorrenti), ed il livello statale che vada oltre l’attuale Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione. Allo stesso modo andranno tolte di mezzo tutte le proposte atte a reificare organi collegiali territoriali. Già la normativa infatti prevede che nelle programmazioni regionali vengano indicati gli “ambiti funzionali” in cui sono individuate modalità organizzative per la gestione del servizio ed in cui possono essere indicate, magari dalla legge regionale, i percorsi partecipativi attraverso i quali le associazioni delle scuole autonome possono contribuire alle decisioni politico – amministrative.

Non è tuttavia necessario agire per via legislativa, si può rinforzare qualche timido cenno in questo senso contenuto nelle bozze di intesa stato – regioni sull’applicazione del suddetto titolo quinto.

Non si tratta dunque di inventare altre sovrastrutture che mantengano il carattere della sudditanza; occorre innanzitutto completare il processo di autonomia/decentramento, garantire il governo democratico degli istituti scolastici e proporre loro una modalità coerente per esercitare legittimamente ed in modo riconosciuto, come per l’autonomia stessa, la propria rappresentanza, facendola uscire definitivamente dall’ambito della concessione.

da www.edscuola.com