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"I professionisti del trucco", di Giovanni Valentini

Nell´incauta megalomania sviluppista del governo in carica, il piano nucleare aveva assunto il valore emblematico di una “guerra santa”, una crociata per affrancare l´Italia dalla dipendenza energetica e restituirla alle “magnifiche sorti e progressive” di una vagheggiata ripresa economica.
Ora, dunque, lo stop alla proliferazione delle centrali atomiche non è soltanto un dietrofront, una retromarcia, una ritirata strategica per non urtare la corrente d´opinione alimentata dall´incubo di Fukushima ed evitare così il referendum in calendario a metà giugno.
È anche l´ammissione esplicita di una sconfitta annunciata. Una fuga dalle responsabilità. Una dichiarazione di impotenza programmatica. Ma è soprattutto la più smaccata e plateale rinuncia a governare un processo di crescita economica e sociale, in una prospettiva responsabile di sostenibilità: cioè di rispetto dell´ambiente, della sicurezza e della salute collettiva.
Tanto il nucleare era diventato il perno di una “politica generale” per la maggioranza parlamentare di centrodestra, quanto appare adesso l´opzione scellerata e impraticabile di un´effettiva minoranza elettorale. Forse non c´è metro di paragone più concreto e preciso per misurare la distanza fra Paese (il) legale e Paese reale nell´Italia di oggi, colpita dallo tsunami politico e morale di un governo autoritario privo di autorevolezza che pretende di imporre la forza del dispotismo su quella della ragione. Con tutta la solidarietà umana per l´ammirevole popolo giapponese, possiamo solo consolarci con la considerazione che – come all´epoca di Chernobyl – anche questa catastrofe è servita almeno a fermare la corsa verso il rischio atomico.
E pensare che, subito dopo il disastro di Fukushima, il nostro governo aveva proclamato – per bocca del sedicente ministro dell´Ambiente – che “la linea italiana rispetto al programma chiaramente non cambia”. Poi, nel Parlamento e nella società civile, era scattata la cosiddetta “pausa di riflessione”. Fino alla moratoria suggerita dal ripensamento del ministro Tremonti, a cui segue ora questa fermata obbligatoria per fugare gli spettri del nucleare e le paure del referendum in una sorta di esorcismo nazionale.
Con l´abrogazione delle norme sulle nuove centrali, non si abroga però il diritto dei cittadini di schierarsi contro questa scelta e contro questa politica. Ne fanno fede in pratica tutti i sondaggi d´opinione, registrando e documentando una consapevolezza diffusa, largamente maggioritaria, prodotta da una radicata ostilità e ulteriormente accresciuta nelle ultime settimane da un´inversione di tendenza perfino nell´elettorato di centrodestra. Questo non può essere perciò un trucco, un sotterfugio, un escamotage per eludere o aggirare la volontà popolare. Il capitolo si deve chiudere definitivamente qui. Né tantomeno sarebbe lecito strumentalizzare lo stop sul nucleare per boicottare i quesiti referendari sulla privatizzazione dell´acqua e sul legittimo impedimento: altrimenti, avrebbe ragione Antonio Di Pietro a parlare di “truffa” più o meno organizzata.
Per una coincidenza che non è certamente occasionale, la resa del governo arriva proprio all´indomani del richiamo ufficiale dell´Unione europea all´Italia sulle fonti rinnovabili. Contro le alchimie del decreto che porta la firma del ministro Romani, la Commissione di Bruxelles sollecita un meccanismo di incentivi più chiaro e più certo, in modo da non compromettere gli investimenti e non danneggiare il programma comune. Ed è questa la strada maestra da percorrere con determinazione, all´insegna del solare e dell´eolico, per sostenere lo sviluppo economico nel settore e nell´intero sistema produttivo.
Sappiamo bene che le rinnovabili, da sole, non risolvono la questione energetica. E sappiamo anche che, oltre al risparmio e all´efficienza, occorre utilizzare un mix di fonti in rapporto al trend di mercato e all´evoluzione tecnologica. Ma sappiamo pure che, allo stato attuale, il nucleare costa ancora troppo e non è sicuro; che il problema dello smaltimento delle scorie non è affatto risolto; e che la sicurezza dei cittadini, della loro salute e della stessa sopravvivenza, viene prima di qualsiasi altro interesse. Referendum o meno, l´ordine delle priorità non cambia.

La Repubblica 20.04.11

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Il governo cancella il nucleare

Cambia la legge, stop alle centrali. L´opposizione: sabotaggio dei referendum. Il governo ha detto stop alla realizzazione delle centrali nucleari con un emendamento al decreto omnibus, ora all´esame dell´aula del Senato. La scelta ha scatenato una polemica legata al referendum del prossimo giugno. «È l´ennesima fuga di Berlusconi» ha dichiarato il leader del Pd Bersani. Di Pietro (Idv), tra i promotori dei quesiti: «Il governo ha paura che il referendum sul nucleare trascini quello tutto politico sul legittimo impedimento».
Il governo dice addio definitivamente al nucleare in Italia: il programma di realizzazione di centrali atomiche tramonta ancora prima di vedere la luce. La decisione è arrivata ieri con un emendamento al cosiddetto decreto omnibus in discussione al Senato: lo stesso che già un mese fa aveva dato un primo parziale stop. La moratoria di un anno, infatti, decisa dopo la tragedia di Fukushima, è stata sostituita da un´abrogazione definitiva delle norme previste per la realizzazione di nuovi impianti. Ora il governo ha deciso di concentrarsi sulle fonti rinnovabili, con una strategia di politica energetica nuova e tutta da definire. E lo stop, di fatto, cancella anche il referendum del 12-13 giugno.
La decisione, ancora prima che l´emendamento arrivasse in aula a Palazzo Madama, era stata anticipata da Giulio Tremonti. Parlando all´Europarlamento, il ministro dell´Economia aveva osservato come la tragedia giapponese imponesse «una riflessione economica e non solo» sul nucleare, ipotizzando anche il ricorso agli eurobond (i fondi garantiti dalla Ue) «per finanziare la ricerca di energie alternative». Poi è arrivato l´emendamento, che il Senato voterà oggi, e che recita: «Al fine di acquisire ulteriori evidenze scientifiche mediante il supporto dell´Agenzia per la sicurezza nucleare, sui profili relativi alla sicurezza, tenendo conto dello sviluppo tecnologico e delle decisioni che saranno assunte a livello di Unione Europea, non si procede alla definizione e attuazione del programma di localizzazione, realizzazione ed esercizio nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia elettrica nucleare».
Il riferimento è al decreto del 2008, che fissava appunto i criteri per la scelta dei siti adatti alle nuove centrali. Il governo voleva realizzarne 8 entro il 2020 e addirittura aveva ipotizzato la posa della prima pietra entro la fine della legislatura nel 2013. In quel provvedimento, che nel tempo aveva già subìto diverse modifiche, era stata inserita un mese fa la moratoria, trasformata ieri in un addio definitivo al nucleare.
Ora il governo, che nei primi mesi di legislatura aveva puntato fortemente sul nucleare, resta di fatto con una politica energetica da rifare. «Con l´emendamento – ha precisato una nota di Palazzo Chigi – viene affidato al Consiglio dei ministri la definizione di una nuova strategia energetica nazionale che terrà conto delle indicazioni stabilite dall´Ue e dai competenti organismi internazionali». Mandato al Consiglio dei ministri, dunque. E il ministro competente per l´energia, Paolo Romani, ha spiegato che «ora è importante andare avanti e guardare al futuro, impiegando le migliori tecnologie disponibili sul mercato per la produzione di energia pulita, in particolar modo per quanto riguarda il comparto delle rinnovabili».
È già pronta una nuova bozza del provvedimento sugli incentivi al fotovoltaico: sette miliardi all´anno e un obiettivo di 23 mila megawatt (il 25% del fabbisogno italiano) nel 2016.
Intanto opposizione e fronte anti-nucleare esultano. Ma c´è chi avverte: la retromarcia del governo serve solo ad affossare i referendum. Quello sul nucleare e quello politicamente più delicato sul legittimo impedimento.

La Repubblica 20.04.11

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“Quella mossa “anti quorum” per evitare la bocciatura del legittimo impedimento”, di Francesco Bei

Berlusconi: la sconfitta ci travolgerebbe. A determinare la svolta è stato il ministro dell´Economia da sempre scettico. Il premier potrebbe tornare alla carica chiedendo alla Ue regole comuni sulla sicurezza. Prima una brusca frenata, poi una retromarcia precipitosa. Inevitabili per evitare di andarsi a schiantare nelle urne. L´ultimo sondaggio, planato due settimane fa sul tavolo di Berlusconi, ha certificato infatti il baratro che stava per aprirsi sulla strada del governo: i contrari al nucleare, dall´incidente di Fukushima, erano balzati avanti di venti punti, arrivando a sfiorare il 70 per cento. E tra questi, notizia ancora più allarmante per palazzo Chigi, anche il 50 per cento degli elettori del Pdl. Percentuali disastrose, soprattutto se calate nel clima della campagna elettorale per le amministrative. In gioco, per il Cavaliere, non c´era più soltanto la costruzione di quattro centrali atomiche, ma la sua stessa sopravvivenza politica: «Non ci possiamo permettere una sconfitta di queste proporzioni, il governo ne sarebbe travolto».
Oltretutto si sarebbe trattato di un tripla bocciatura della politica governativa. A mezza bocca molti ministri ammettono che a giocare un ruolo importante nella decisione di mettere uno stop al nucleare sia stato infatti il referendum sul legittimo impedimento, che avrebbe beneficiato di un effetto traino per il concomitante quesito anti-atomo. Senza contare la privatizzazione dell´acqua. Insomma, una debacle per Berlusconi, con una sconfitta senza appello nelle urne che avrebbe potuto portare a una crisi di governo.
A determinare la svolta è stato Giulio Tremonti, già prima di Fukushima scettico sulla sostenibilità economica del programma atomico del premier. Non è un caso se ieri il ministro dell´Economia si sia molto speso sui «benefici locali» di contro ai «malefici generali» del nucleare in caso d´incidente, invitando a valutare gli enormi costi che stanno affrontando i Paesi, come la Germania, che hanno deciso di abbandonare le vecchie centrali. È stato del resto proprio Tremonti a mettere nero su bianco, nel Programma nazionale di riforma approvato giovedì scorso, la moratoria al nucleare «fino a che le iniziative già avviate a livello di Unione europea non forniranno elementi in grado di dare piene garanzie sotto il profilo della sicurezza».
Ma è chiaro che Berlusconi, se tatticamente è costretto alla «pausa di riflessione», non accetta di rinunciare tout court a quella che fino a ieri – insieme al ponte sullo Stretto – è stata la bandiera del suo programma elettorale. Ragionando con i suoi, il premier ieri ha scavato la nuova trincea dove schierarsi dopo la ritirata: «Deve essere l´Europa a farsi carico di questo problema. Serve una direttiva che fissi dei criteri di sicurezza comuni, a cui tutti dovranno conformarsi. E noi, come gli altri, ci atterremo a quegli standard europei». Che il premier intenda tornare presto alla carica lo si capisce in fondo anche dalla road map che traccia il ministro Paolo Romani. «Il referendum – spiega – avrebbe introdotto nel nostro dibattito degli elementi irrazionali, emotivi, delle chiusure ideologiche di cui non sentiamo davvero il bisogno. Io resto nuclearista, il problema ora è capire come possiamo andare avanti e il governo su questo ha le idee chiare: entro l´estate convocheremo una Conferenza per l´Energia e in quella sede presenteremo la “nuova strategia energetica nazionale”». L´idea è dunque quella di far passare l´ondata referendaria restando aggrappati agli scogli, per poi tornare a riproporre il nucleare, ma solo dopo che si sarà pronunciata la commissione europea. «Il nucleare – ripete Romani – è un problema europeo, basti pensare che 14 paesi non ce l´hanno e 13 sì. L´Europa è divisa in due e deve trovare una posizione comune: noi ci adegueremo».
Il problema è che ormai, nella stessa maggioranza, il fronte degli scettici sta ingrossando giorno dopo giorno le sue file. Di Tremonti s´è detto, per non parlare di Stefania Prestigiacomo, la prima a sollevare il problema all´indomani dell´incidente giapponese. Ma è tra gli ex An – dove resistono molti reduci delle campagne antinucleare del Fronte della Gioventù – che si registra la più alta concentrazione di ambientalisti. Nel governo il loro portabandiera è Giorgia Meloni, che ieri a fatica tratteneva la sua soddisfazione: «Ormai è finita». Fabio Rampelli, antinuclearista della prima ora, gela le speranze di Romani di ritirare fuori il dossier tra qualche mese: «Per questa legislatura è chiusa, se ne riparlerà nella prossima, lo sa anche Berlusconi. E noi saremo sempre qui a metterci di traverso. Piuttosto il governo pensi a come trasformare un apparente svantaggio, la mancanza di centrali, in una opportunità: fare dell´Italia l´avanguardia nelle fonti di energia rinnovabili e nella ricerca sul nucleare pulito».

La Repubblica 20.04.11