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"Il prezzo della vita", di Giancarlo De Cataldo

Gli assassini della piccola Joy e del suo giovane padre non hanno ancora un volto e un nome. Non sappiamo niente di loro: a parte che, per procurarsi al mercato nero il “ferro”, la pistola, non dovranno aver investito più di cinquecento euro, munizioni comprese. E che il bottino preventivato della rapina – la pista al momento più accreditata dagli inquirenti – poteva ammontare, al massimo, a cinquemila euro. La sproporzione fra azione e contesto sta diventando una drammatica costante nella Roma degli ultimi mesi. Si ammazza per un debito di gioco di poche centinaia di euro, per la spartizione controversa dei proventi di un colpo miserabile, per una consegna di “roba” non andata a buon fine; si gambizza per uno sguardo obliquo, per un´occhiata tagliente, per il presunto “sgarro” a un´altrettanto presunta leadership borgatara. Difficile non interpretare l´aumento della violenza come versione “dalla strada” di quello stesso inasprirsi dei rapporti sociali, collettivi, individuali che si coglie in ben diversi ambienti e situazioni: dalla finanza, alla politica, al mondo del lavoro. In altri termini, la crisi. Che accresce l´insicurezza di ciascuno di noi, alimenta la grande paura per un futuro incerto e imprevedibile, spinge all´egoismo e alla disperata ricerca della scorciatoia del “tutto e subito”. Quando il gioco si fa duro, la strada reagisce con la durezza che le è propria. E Roma, città che non ha mai conosciuto, a differenza delle terre storicamente mafiose, se non durante la breve parentesi della Banda della Magliana, un dominio criminale organizzato, è, di questa crisi, il termometro più sensibile.
Non foss´altro perché Roma è metropoli ma resta, a tutti gli effetti, aggregato di piccole realtà locali, aperta, dunque, alla convivenza fra le strutturate “famiglie” mafiose d´alto bordo versate nel riciclaggio e i “canazzi di bancata”, schizzati e ingovernabili, che ambiscono a entrare nel gioco grosso o, più modestamente, a “svoltare” la serata. Situazione nota da tempo agli addetti ai lavori, e denunciata in più occasioni: ora la crisi l´ha fatta precipitare, svelandola anche agli occhi dei più scettici e increduli. Il problema che tutti ci angoscia è: come porre rimedio a questo stato di cose? Nelle ore immediatamente successive al duplice omicidio di Tor Pignattara, numerose “volanti” sono state spedite in strada, e – non c´è da dubitarlo – l´attività degli inquirenti è stata frenetica. Un´attenta gestione delle politiche di prevenzione e di repressione è sicuramente indispensabile per garantire la sicurezza di tutti i cittadini. Per attuarla occorrono mezzi, uomini, risorse: per intenderci, è impossibile pattugliare le strade più turbolente se manca la benzina. E anche le direttive che vengono impartite hanno la loro importanza: un conto è dislocare preziose unità in inutili servizi di scorta, o fare statistica con retate di spinellari, taccheggiatori badanti clandestine, un altro concentrare le operazioni sui quartieri a rischio, sulle “paranze” già individuate, sui livelli medio-alti del traffico di droga. Ma la repressione, anche la più intelligente, non basta, da sola. In questi ultimi anni Roma è cambiata. È come se nel suo cuore antico fosse stato scavato un tunnel fatto di indifferenza, cinismo, aggressività, strafottenza. Un tunnel lastricato con il cemento della cocaina che qui scorre a fiumi, e dei falsi miti che si trascina appresso. Roma ha bisogno di un esame di coscienza, di una profonda disintossicazione. Di uscire dal tunnel. Di tornare a occupare, democraticamente, la strada. Di riaccendere la luce che in questi anni si è spenta. Le “volanti” lavorano meglio se le strade sono illuminate, e piene di gente che ha qualcosa da dirsi, e sa dirselo con il cuore.

La Repubblica 06.01.12

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«Paghiamo gli errori di una destra in cerca di capri espiatori», di Jolanda Bufalini

Il presidente della Provincia: «Il sindaco sbagliò a usare una tragedia nella polemica politica. Così ha segnato uno spartiacque negativo per la città». Il presidente della Provincia di Roma Nicola Zingaretti è appena uscito dal vertice al Viminale convocato dopo l’efferato delitto di Tor Pignattara, con il ministro Annamaria Cancellieri e il capo della polizia Manganelli. Alemanno non c’è, è in viaggio di ritorno dalla Patagonia. Lo sostituisce la vicesindaco Belviso. Nicola Zingaretti nega la necessità di adottare misure straordinarie: «Non si può cambiare strategia ogni 15 giorni. Bisogna solo attuare, ognuno per la sua parte, ciò che si è deciso» ma, soprattutto, considera un errore politico la logica dei «capri espiatori» portata avanti dal governo di centrodestra: «La sicurezza si conquista sconfiggendo la paura e facendo vivere le città».
Presidente, in questi anni le priorità in tema di sicurezza a Roma sono stati i clandestini, le lucciole, i rom. I fatti efferati di Tor Pignattara indicano altre priorità?
«Io ho un ruolo istituzionale e non faccio opposizione, ma proprio nello svolgimento di questo ruolo ho denunciato un approccio alla sicurezza come è stato con l’ex ministro dell’Interno Maroni ridicolo quando si fonda sulle ronde. Le ronde più che garantire i cittadini alimentano la voglia di farsi giustizia da sé, per fortuna i cittadini si sono mostrati migliori di chi li ha governati».
L’impressione è che in questo caso ci troviamo di fronte a dei balordi, ma ci sono stati 35 omicidi in pochi mesi. A cosa si deve la recrudescenza di fatti di sangue a Roma?
«Non è ancora chiaro quale sia stata la dinamica dei fatti a Tor Pignattara. Roma fronteggia due problemi diversi. Il primo (che non mi pare riguardi questo caso) è che Roma è diventata teatro di interventi della criminalità organizzata, che investe denaro proveniente da attività criminose di mafie e camorra. Il secondo problema ha a che vedere con la frammentazione, la perdita di valori che rende il terreno propizio al radicamento delle bande criminali. Paghiamo questo doppio effetto».
I tagli lineari non hanno colpito soltanto la benzina per le volanti, hanno tolto mezzi ai servizi con cui gli enti locali intervengono nelle situazioni di disagio sociale.
«Non ha certo aiutato la scomparsa in un triennio di 14 miliardi di trasferimenti agli enti locali, si è colpita una rete civile e sociale già fragile. In questa situazione il commissariato è come un castello isolato. Né possiamo sottovalutare la tensione sociale: negli ultimi anni a Roma è raddoppiata la disoccupazione ed è molto aumentato il ricorso alla cassa integrazione. La miscela di impoverimento e di crescita delle bande criminali è esplosiva».
Cosa bisogna fare?
«Bisogna capire che non tutta la spesa pubblica è un costo, ciò che serve a creare un tessuto vivibile dà anche più sicurezza. Roma paga anni di crisi che hanno avuto un effetto devastante dal punto di vista del degrado. Periferia non è solo una nozione urbanistica, servono più sport, più cultura, più aggregazione e socialità, anche un parco giochi aiuta a dare maggiore sicurezza».
Ci vuole una maggiore presenza delle forze dell’ordine per il controllo del territorio?
«Sicuramente ed è positivo che il nuovo piano per la sicurezza abbia confermato l’invio di 400 uomini in più. Ma c’è anche una battaglia valoriale da fare, per sconfiggere la paura delle differenze che viene scaricata su capri espiatori. Noi stiamo pagando un prezzo alto per questo sbaglio»
Lei ha dichiarato che è stato un errore catapultare il tema della sicurezza nell’agone politico. Si riferisce alla campagna elettorale di Alemanno di tre anni fa?
«Immettere una tragedia violenta nel confronto politico è stato uno spartiacque che ha prodotto una ferita nella civiltà politica e nel tessuto urbano di Roma».
Tolleranza zero?
«L’errore politico della destra è stato quest’idea gladatoria della sicurezza è stato quest’idea gladatoria della sicurezza, è stato dare priorità al problema dei “vu cumprà”, mentre c’erano le bande criminali che si organizzavano. Puntare tutto sul controllo militare del territorio, come ha fatto Maroni, si è rivelato inefficacie, tanto più che poi mancano i soldi per i commissariati. Anche l’utilizzo dell’esercito non ha dato frutti, perché ci sarà sempre un angolo di città che rimane scoperto. Il patto firmato a dicembre con il ministro Cancellieri ha avuto un’evoluzione positiva da questo punto di vista. Ma, soprattutto, accanto alla volante ci vuole la vita e la socialità. Come presidente della Provincia, che però è al confronto del Campidoglio una piccola istituzione, ho contrapposto alla tolleranza zero di Alemanno “Prevenzione mille”, che ha significato finanziare 101 associazioni laiche e religiose la cui attività si rivela di straordinaria importanza per la vivibilità». Ma la situazione di crisi economica è tuttora grave, incide sulla sicurezza?
I tagli al welfare comportano dei rischi perché hanno prodotto e producono solitudine e la solitudine è brodo di coltura sia per la paura che per la delinquenza».
Cosa avete deciso nel vertice al Viminale
«Non c’è stata nessuna misura speciale se non l’attuazione del patto per Roma sicura siglato alcuni giorni fa, del resto sarebbe sbagliato cambiare strategia a pochi giorni di distanza dalla firma del Patto».

L’Unità 06.01.12