cultura

"Norme chiare per evitare altri casi Colosseo", di Matteo Orfini

La questione Colosseo è talmente sensibile che polemiche e strumentalizzazioni vanno messe in conto. Ma se vogliamo evitare di fare un ulteriore danno a uno dei simboli della nostra cultura e ai soggetti coinvolti in questa storia, è bene evitare ricostruzioni fantasiose o di comodo. E magari cogliere l’occasione per fissare alcuni paletti, così da evitare di trovarci in futuro in situazioni analoghe. La prima cosa che
abbiamo il dovere di dire è che è semplicemente una vergogna che lo Stato italiano non abbia le risorse per restaurare non un sito sperduto nelle campagne romane,
ma il Colosseo. Se questo avviene non è per ineluttabilità del fato, ma per precise scelte politiche che portano i nomi e i cognomi dei ministri che si sono succeduti in questi ultimi anni. Spiace dire che, almeno fino a questo momento, non si avverte alcuna discontinuità: la visione della cultura come uno dei pilastri su cui costruire l’uscita dalla crisi non sembra essere propria del governo Monti.
Se oggi ci troviamo nella confusione di inchieste e ricorsi, non è certo colpa di Della Valle e del suo generoso impegno, e tutti crediamo che nelle sue intenzioni non ci sia la volontà di sfruttare commercialmente il Colosseo. Ma questo purtroppo non consente a nessuno, nemmeno a Della Valle medesimo, di sostenere che lo strumento utilizzato non abbia il carattere di un contratto commerciale tra pubblico e
privato. C’è una differenza tra mecenatismo e sponsorizzazione, e questa differenza sta esattamente nella presenza di uno scambio. Se non si è interessati a questo aspetto, si può scegliere di fare una semplice donazione, come previsto dalle norme sulle erogazioni liberali. Se questa era l’intenzione della Tod’s, e non abbiamo ragione di dubitarne, male hanno fatto al ministero a proporre di seguire un’altra strada.
La gestione ministeriale dell’intera operazione ha da subito alimentato in noi qualche perplessità. Non ci siamo mai accodati al coro di sciocchezze sulla privatizzazione del Colosseo e vediamo chiaramente il carattere strumentale di alcuni
esposti e ricorsi, che hanno origine più da insopportabili scontri di potere nei sotterranei del ministero che dalla preoccupazione per le ragioni della tutela. Nessuno di noi ha mai messo in dubbio la correttezza giuridica dell’operazione, anche perché norme articolate e specifiche sulle sponsorizzazioni culturali non ce
ne sono e quindi era oggettivamente complesso per il ministero istruire una operazione di questa rilevanza. Al tempo dell’assegnazione osservammo che ci sembrava lesivo della concorrenza che la natura dello scambio pubblico/privato non fosse stata messa a bando, ma decisa successivamente, e che non vi fosse stata alcuna parametrazione oggettiva e scientifica del valore dello sfruttamento dell’immagine concesso a Della Valle. Viene da chiedersi cosa ci stia a fare una direzione generale per la valorizzazione al ministero dei Beni culturali se nemmeno è in grado di fare questo. Le nostre preoccupazioni sono state sostanzialmente confermate dal parere dell’Antitrust. La vicenda poteva e doveva essere gestita meglio, ma l’importante oggi è trarre insegnamento da quanto accaduto senza reagire in modo scomposto e senza arroccamenti. Lo scrivo al ministro Ornaghi e al
sottosegretario Cecchi: forse ha senso discutere rapidamente di una nuova norma per le sponsorizzazioni che chiarisca modalità, limiti e garanzie per il patrimonio, ma anche per imprenditori e privati che mostrano attenzione e sensibilità apprezzabili. Non possiamo accettare che chi come Della Valle vuole dare una mano si ritrovi in questo tritacarne per mancanza di una normativa efficace. Noi siamo disponibili a discuterne da domani, nella speranza che i vertici politici del ministero si convincano a uscire dalla stanca e un po’ assente gestione dell’ordinaria amministrazione che ha
caratterizzato queste prime settimane a via del Collegio romano.

L’Unità 14.01.12