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"Buttiamo 89 milioni di tonnellate di cibo. L’Ue ora corre ai ripari", di Bianca Di Giovanni

Ogni anno in Europa si spreca il 50% di cibo sano e commestibile. Ancora: nei 27 Stati membri la produzione annuale di rifiuti alimentari è pari a circa 89 milioni di tonnellate, ovvero 179 chili per abitante, vecchi e neonati inclusi. Contro i 6-11 chili pro capite nell’Africa sub Sasahariana. Basterebbe questa scarna radiografia per spingere il Vecchio continente (anche il nuovo non scherza) a prendere iniziative urgenti contro lo spreco di cibo.Un percorso sistematico è iniziato 6 mesi fa in commissione Agricoltura a Strasburgo presieduta dall’italiano Paolo De Castro.
A lavorarci è stato un altro italiano:Salvatore Caronna. Questa settimana la relazione redatta da Caronna sbarcherà in Aula e sarà sottoposta al voto giovedì. Si prevede un largo consenso, visto che già in commissione il via libera è stato quasi unanime. Nel testo una fitta serie di interventi da mettere in campo per regolamentare uno dei settori più importanti per il destino del pianeta: il cibo. Per ora non ci sono veri gruppi di pressione contrari a un impegno legislativo dell’Unione contro lo spreco alimentare. Quelli si faranno sentire dopo:quando la Commissione Barroso, recependo le linee guida del Parlamento, dovrà varare le direttive. «Dovranno farlo nel giro di un anno, un anno e mezzo», spiega Caronna. Ma allora gli ostacoli si presenteranno eccome. Si faranno sentire i produttori di imballaggi, di cui la relazione Caronna chiede un drastico ridimensionamento. E magari anche quelli di prodotti freschi, su cui compare l’etichetta: da consumarsi «preferibilmente» entro la tale data. «I cittadini devono sapere bene che quel preferibilmente significa che il giorno successivo alla data quel prodotto si può ancora mangiare – continua l’eurodeputato italiano – senza nessun danno per la salute.
Chiediamo che l’Europa faccia chiarezza sul sistema di etichettature ». Un’altra richiesta che potrebbe far storcere il naso a qualche lobbista di Bruxelles è quella di consentire a fine giornata la vendita sotto costo dei prodotti freschi rimasti invenduti.
«In Italia c’è già qualche esperienza in questo senso, per esempio nella distribuzione delle Coop – spiega Caronna – Ma ci sono Paesi dell’Unione che lo vietano».
Qualche ammorbidimento potrebbero richiedere anche i fornitori di servizi di ristorazione, visto che la relazione chiede di inserire tra i parametri delle gare per appaltare le mense anche quella del risparmio e dell’efficienza nella gestione sia del cibo che degli imballaggi.Nonsarebbe poca cosa una direttiva in questo senso, da imporre ai 27 Stati dell’Unione.
L’Italia non parte da zero. Oltre al sistema cooperativo, ci sono stati altri pionieri come i Last minute market di Andrea Segré. Ma il cammino da fare è ancora molto lungo. È una scommessa da vincere assolutamente, vista la posta in gioco. Gli effetti dello spreco alimentare, infatti, influiscono sulla salute, sull’ambiente, sull’utilizzo dell’acqua, e non ultimo rappresentano un vero schiaffo alla disparità di accesso al cibo che si registra nel mondo. A fronte di uno spreco pro capite di
179 chili di alimenti, nell’Unione 79 milioni di persone vivono ancora sotto la soglia di povertà, e di questi 16 milioni hanno ricevuto aiuti alimentari. A livello globale le cifre fanno rabbrividire: 925 persone nel mondo sono a rischio denutrizione (dati Fao), e nulla per ora fa sperare di raggiungere l’obiettivo di dimezzare la fame entro il 2015. Se si resta così le cose peggioreranno soltanto. Secondo altre stime (riportate nella relazione Caronna) entro il 2020 il totale dei rifiuti alimentari in Europa aumenterà fino a circa 126 milioni di tonnellate, ovvero del 40%. Una variabile di peso è legata alla demografia: la sola produzione di cereali è aumentata di 27 milioni di tonnellate all’anno dal 1960 a oggi. Quanti cereali serviranno per sfamare la popolazione mondiale da oggi al 2050? Considerando che dell’intera produzione circa il 14% si perde dopo il raccolto e un altro 15% durante la distribuzione, basterebbe evitare gli sprechi per coprire i tre quinti della domanda. La
Fao stima che il previsto aumento della popolazione mondiale da 7 a 9 miliardi di individui richiederà un incremento minimo del 70% della produzione alimentare: un balzo quasi inarrivabile.
I costi dello spreco alimentare sono alti anche in termini ambientali. Dall’utilizzo dell’energia e di risorse naturali, soprattutto di acqua, nonché di emissioni di gas nell’atmosfera. Si stima che le circa 89 milioni di tonnellate di cibo gettato in Europa producano 170 milioni di Co2 equivalente all’anno. Senza contare i costi per il trattamento e lo smaltimento di tali rifiuti. Sull’uso sbagliato degli alimenti pesano poi conseguenze nefaste perla salute. Se in Africa si deve ancora debellare la malnutrizione, nei Paesi occidentali si combatte contro l’obesità, le malattie cardiovascolari o tumori derivanti da un’alimentazione sbagliata. Per Caronna il problema non è soltanto etico,ma anche di modello di sviluppo.
Le nuove tecnologie devono aiutare a eliminare le produzioni inutili, a risparmiare fonti d’energia, a razionalizzare la produzione alimentare. Ma in ogni caso non si sfugge al risparmio alimentare: questa voce resta ineludibile.
Tra le raccomandazioni che il Parlamento invia alla Commissione c’è quella di dare priorità nell’agenda politica europea proprio a questi temi, invitando contemporaneamente a sensibilizzare l’opinione pubblica. Si chiede di avviare azioni concrete per puntare a dimezzare gli sprechi entro il 2025. Obiettivo ambizioso? Forse. Ma possibile. Certo, serve un’analisi accurata – che si richiede – sui segmenti della filiera in cui lo spreco si concentra. In Europa al momento della distribuzione e
consumo, in Africa nella produzione. Ma oltre all’analisi, occorre anche il “bastone”, cioè politiche coercitive sui fattori inquinanti, secondo il criterio di «chi inquina paga». La relazione chiede anche di definire la sicurezza alimentare un diritto fondamentale dell’umanità, che si concretizza attraverso l’accessibilità al cibo. Si rileva inoltre che lo spreco ha diverse cause; la sovraproduzione, l’errata individuazione del target del prodotto (confezioni troppo grandi), deterioramento dell’imballaggio. Tutto questo va studiato e corretto. Vanno infine favorite quelle politiche di recupero, come appunto il poter vendere prodotti a basso costo quando vicini alla scadenza, o distribuire le rimanenze alle fasce più deboli dei cittadini. La relazione Caronna chiede alla Commissione di imporre agli Stati membri obiettivi specifici di prevenzione.
Insomma, una sorta di Maastricht alimentare peri Paesi dell’Unione. Un altro indirizzo è orientato a accorciare la catena alimentare, spesso troppo lunga e piena di “falle”. Un capitolo importante riguarda la definizione chiara di alcune espressioni: non solo c’è poca chiarezza sulle etichette, ma anche sulla definizione di spreco alimentare. Anche su questo si chiede uniformità tra i Paesi partner.

l’Unità 15.01.12