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"Ritardi, armi spuntate, incubo Grecia e la moneta unica torna in bilico", di Ettore Livini

Il vecchio fondo salva-Stati viene ridimensionato, il nuovo non è ancora pronto. Si teme il default di Atene. Draghi costretto a muoversi in un campo minato: stretto tra le richieste dei Paesi in crisi e i falchi tedeschi. L´Europa rischia di arrivare in ritardo all´appuntamento con la battaglia decisiva per la salvezza dell´euro. Atene è sull´orlo del crac ormai da due anni. Ma in 24 mesi Bruxelles non è riuscita a mettere assieme un arsenale adeguato alla potenza di fuoco della speculazione. Il Fondo salva stati (Efsf) è allo stato un cannone con poche munizioni. E la sua efficacia è stata ridotta ulteriormente ieri dal taglio del rating da parte di S&P. L´Esm (European Stability Mechanism) – destinato a raccogliere la sua eredità da luglio – è ancora una scatola vuota. Il rischio è che un evento improvviso come il default della Grecia – le Cassandre guardano con preoccupazione alla scadenza di 14,4 miliardi di bond ellenici il 20 marzo – possa cogliere il Vecchio continente in contropiede. Scatenando l´attacco finale alla moneta unica prima ancora che l´Europa sia riuscita a mettere in campo il suo esercito.
Due armi spuntate
Efsf e Esm sono la fotografia più plastica dei ritardi della politica comunitaria nella partita. La Germania e i paesi del nord non vogliono mettere troppi soldi sul piatto per salvare le cicale continentali fino a quando i loro conti non saranno in sicurezza. Morale: i fondi salvastati sono due incompiute. L´Efsf nasce con 780 miliardi di garanzie Ue che avrebbero dovuto consentirgli di spendere 440 miliardi per difendere l´euro. Il declassamento di Francia e Austria però rischia di ridimensionare a 300 miliardi la sua disponibilità. Di più: oltre 46 miliardi della sua dotazione sono stati usati per i salvataggi di Irlanda e Portogallo, 100 andranno alla Grecia. E i 150-250 miliardi residui servirebbero a poco se l´effetto domino della crisi travolgesse la Spagna o l´Italia.
L´Esm, in teoria, potrebbe sparare qualche cartuccia in più. Gli Stati dovrebbero capitalizzarlo con 80 miliardi, regalandogli una capacità di intervento sui mercati di 500 miliardi. Ma il suo decollo, a rate, è previsto da luglio. Quando la frittata dell´euro potrebbe essere cosa già fatta. Mario Monti non a caso chiede da tempo di accelerare il varo dei due fondi e di potenziare di molto il loro arsenale.
Le mosse della Bce
L´Europa politica, insomma, latita. Quella monetaria fa quello che può. Mario Draghi è costretto a muoversi su un campo minato, stretto tra le richieste d´aiuto dei paesi in difficoltà e i falchi della Bundesbank. La Bce ha provato a sparigliare le carte tagliando due volte i tassi di interesse e “regalando” alle banche 489 miliardi per sbloccare la drammatica crisi di liquidità sul mercato. L´operazione ha funzionato solo a metà: gli istituti di credito sono tornati a comprare titoli di stato alle aste italiane e spagnole aiutando il calo dei rendimenti. Ma non prestano soldi a imprese e cittadini. I depositi sui conti correnti delle banche presso la Bce registravano ieri un saldo attivo record di 493,4 miliardi. Come dire che tutti i quattrini girati loro da Supermario sono parcheggiati presso l´Eurotower dove rendono solo lo 0,25%. Francoforte è stata costretta allora a riprendere gli acquisti di titoli dei paesi più deboli sul mercato. La scorsa settimana sono triplicati a 3,7 miliardi portando a 217 miliardi i Btp italiani e i Bonos iberici rastrellati da Draghi. Una strategia che fa già storcere il naso a Berlino.
L´opzione Fmi
Bruxelles ha provato a chiamare al suo fianco nella battaglia per l´euro il Fondo Monetario, già intervenuto in aiuto di Grecia, Irlanda e Portogallo. Ora però la Ue vorrebbe un salto di qualità, grazie a 150 miliardi girati all´Fmi grazie a prestiti bilaterali delle banche centrali continentali. Lo scopo “politico” è convincere gli Stati Uniti e i Bric a fare la loro parte nella crisi dei debiti sovrani mettendo a disposizione nuovi fondi per disinnescare il rischio di una recessione globale. Peccato che anche qui i tempi siano stretti e l´Europa (guarda un po´) sia in ritardo: i finanziamenti per l´organizzazione guidata da Christine Lagarde non sono ancora stati varati.
Scadenze a rischio
A preoccupare Bruxelles e Washington sono le scadenze dei prossimi due mesi. Il dossier più pericoloso è quello di Atene. Le banche hanno rotto i negoziati con la Grecia per il taglio al 50% dei loro crediti con il paese. Senza un´intesa in tempi rapidissimi (ci vuole almeno un mese per implementare lo swap sui titoli di stato dopo l´accordo) il governo ellenico rischia di non avere i soldi per ripagare i 14,4 miliardi di bond in scadenza il 20 marzo. Il mercato guarda con una certa preoccupazione anche alle aste dei prossimi due mesi di Italia e Spagna. Se i tassi dovessero impennarsi la situazione potrebbe avvitarsi su se stessa. E l´Europa, orfana di armi credibili, si troverebbe a combattere la madre di tutte le sue battaglie a mani nude.

La Repubblica 17.01.12

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Draghi: “Crisi molto più seria puntare su crescita e lavoro” S&P declassa il fondo salva-Stati, di Andrea Tarquini

La situazione dell´eurozona è molto seria, molto pesante, ed è peggiorata negli ultimi mesi. Il severissimo monito, forse di una durezza senza precedenti da parte di un presidente della Banca centrale europea (Bce), è venuto ieri pomeriggio da Mario Draghi in persona. Non dobbiamo né possiamo chiudere gli occhi davanti a questa realtà, ha aggiunto. Inevitabilmente, ha spiegato, le manovre di risanamento dei conti pubblici avranno a breve effetti recessivi. E ha indirettamente criticato il declassamento di Italia, Francia, Austria e altre economie centrali da parte di Standard&Poor: dobbiamo abituarci a vivere non senza agenzie di rating, ma senza curarsi tanto di loro e limitando il loro potere, ha affermato. Contemporaneamente, proprio il rating del Fondo salva-Stati (Efsf) perdeva da parte della stessa S&P la sua classificazione a tre A e veniva degradato ad AA+, in conseguenza del downgrading francese.
Mario Draghi ha lanciato i suoi duri avvertimenti intervenendo davanti al Parlamento europeo. «Quando il mio predecessore, Jean-Claude Trichet, si era rivolto a voi in ottobre, aveva detto che la crisi aveva raggiunto dimensioni sistemiche. Ora la situazione è peggiorata, ed è molto seria ( “very grave”)». Infatti «negli ultimi mesi del 2011 la situazione d´incertezza dei debiti sovrani e le prospettive di crescita stagnante hanno portato a distorsioni gravi dell´economia reale». Draghi ha ricordato, come fatti positivi, le decisioni prese dai leader politici europei, in particolare sul “fiscal compact” (il patto fiscale per coordinamento e controllo reciproci dei bilanci) ricordando però che «devono essere tempestivamente e integralmente messe in atto», in particolare per il fondo salva-Stati e per il suo successore Esm. Un abbassamento del rating del Efsf, ha continuato Draghi sfidando di fatto Angela Merkel, rende necessari ulteriori contributi al suo finanziamento da parte dei Paesi che hanno conservato la tripla A.
Senza la tripla A, il Efsf potrà prestare di meno o a tassi più alti, a meno di non ricevere più mezzi. Proprio S&P si è riservata di restituire al Efsf il rating AAA se riceverà più finanziamenti, cosa cui il governo tedesco si oppone nel modo più reciso. Draghi si è differenziato dalla linea dura di Berlino anche su un altro punto fondamentale: l´effetto recessivo a breve delle manovre di consolidamento è inevitabile, ha ribadito il presidente della Bce. Sebbene gli sforzi di risanamento vadano elogiati, in una situazione in cui i debiti sovrani con i loro interessi sono sovrastanti, «la crescita e l´occupazione stanno diventando sempre più gli obiettivi principali da perseguire, congiuntamente col consolidamento fiscale». Secondo Draghi crescita e consolidamento si integrano, non può esserci l´uno senza l´altra. Draghi ha infine chiesto di monitorare i finanziamenti in dollari, che ha definito fattore di rischio il quale può spingere il rischio di azzardo morale delle banche europee. E infine, ha invitato a ridimensionare il ruolo delle agenzie di rating, a considerare i loro giudizi uno strumento di misura tra tanti, ricordando che nel settore non c´è concorrenza e qualsiasi cosa si farà per cambiare questa situazione sarà benvenuta.

La Repubblica 17.01.12