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"Sant’Anna di Stazzema non è in Europa", di Moni Ovadia

La sentenza di archiviazione per gli imputati della strage nazista di Sant’Anna di Stazzema è un atto di ingiustizia perpetrato contro le vittime innocenti trucidate dai carnefici delle SS, contro i sopravvissuti e i loro discendenti e rappresenta anche uno strappo brutale inferto alla carne della memoria europea. Il danno principale, tuttavia, lo riceve paradossalmente la credibilità di quei giudici. Il loro giudizio pone un interrogativo serio sul carattere del loro retroterra culturale.
Cerchiamo di capire perché. Un tribunale militare italiano dopo anni di lunghe e dolorose indagini ha emesso una sentenza di colpevolezza e una conseguente condanna sulla base delle numerose deposizioni di testimoni oculari, ma anche sulla base di confessioni di colpevolezza rese agli inquirenti e alla stampa da alcuni esecutori di quell’eccidio. I magistrati di Stoccarda, indagando con puntiglio e meticolosità, hanno deciso per l’assoluzione degli imputati per insufficienza di prove, di fatto dichiarando che le prove di colpevolezza riconosciute dai magistrati italiani sono a loro parere prove «fabbricate». Inoltre hanno addotto, a titolo di attenuante, il fatto che lo scopo principale di quella azione era di natura bellica con l’obiettivo di contrasto ai partigiani e che essere nelle Ss non è di per sé una prova di colpevolezza. Giusto. Ma una pesantissima aggravante si! Nelle Ss si entrava volontari giurando cieca e assoluta ubbidienza a Hitler con l’ordine di perpetrare genocidi e crimini di ogni sorta per la gloria del Reich. I giudici di Stoccarda sostengono di essersi scrupolosamente attenuti la legge. Come dire: Dura lex sed lex, ma hanno ignorato il: summum jus summa iniuria, ovvero l’eccesso di «giustizia» si trasforma nel massimo di ingiustizia. Quei magistrati si sono anche assunti la responsabilità di avere costituito un precedente che farà la gioia dei negazionisti di ogni risma e fornirà sostegno all’impunità di genocidi e massacratori di ogni luogo e di ogni tempo, per non dire dei sedicenti esportatori di democrazia con le bombe e le stragi senza numero di civili innocenti. Non è improprio dunque sostenere, se questa sentenza è legittima, che le azioni militari contro i partigiani dessero piena giustificazione alle Ss di trucidare donne vecchi e bambini e, di passo in passo, far passare l’idea che i partigiani non fossero combattenti per la libertà e la giustizia che si opponevano alla più criminale forza di occupazione della Storia ma banditi, come recitava il cartello che era messo loro al collo prima di essere impiccati agli alberi o ai lampioni. I revisionisti di casa nostra e i loro complici mediatici possono davvero ritenersi soddisfatti.
L’Unità 06.10.12
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“Da Stoccarda sentenza sconcertante” “Per ribaltare il verdetto caccia alle colpe individuali” Lo storico Carlo Gentile: “Nei documenti italiani ci sono”
«Troppa omertà e menzogne da parte dei testimoni della difesa delle ex SS»
di Alessandro Alviani
Lo storico Carlo Gentile si occupa da oltre dieci anni dell’eccidio di Sant’Anna di Stazzema ed è stato consulente della procura militare di La Spezia nel processo che portò nel 2005 alla condanna all’ergastolo di dieci ex membri delle SS. Lavora all’università di Colonia, ad agosto è uscito in Germania un suo nuovo libro sulle stragi naziste in Italia.
Per la procura di Stoccarda mancano elementi per dire che l’eccidio fosse pianificato sin dall’inizio. Che ne pensa?
«Dal punto di vista storico è abbastanza problematico: abbiamo pochissimo materiale originale sulla vicenda. Sulla base dei miei studi sui perpetratori delle stragi in Italia, in particolare su quelli della divisione responsabile della strage di Sant’Anna di Stazzema, posso dire che la storia di queste unità mi induce a pensare che l’uccisione delle donne e dei bambini fosse prevista già dall’inizio».
Perché?
«Non è l’unica strage che esse compiono, il fatto stesso che in Italia le azioni condotte dalla divisione “Reichsführer SS” siano in pratica stragi della popolazione civile mi fa pensare che fosse una strategia seguita da questa divisione. Visto come si è comportata – la strage di Sant’Anna di Stazzema, di Bardine, di Valla, di Vinca, di Bergiola Foscalina, le stragi intorno a Massa, quelle vicino a Lucca, quella di Marzabotto: 2.400-2.500 civili uccisi solo da questa divisione in Italia – non credo si possa sostenere che sia stata una situazione sfuggita di mano a soldati che in realtà volevano solo catturare delle persone o dare la caccia ai partigiani».
Come sostiene la Procura.
«A mio avviso l’idea che questi soldati siano andati a Sant’Anna di Stazzema convinti di fare una normale operazione contro i partigiani e di arrestare qualcuno non è sostenibile. Quegli uomini sapevano che, nella situazione in cui si sarebbero trovati, avrebbero potuto uccidere donne e bambini, perché ciò faceva parte del bagaglio della loro cultura di guerra. Sulla vicenda ho pubblicato diverse cose, probabilmente alla Procura non le hanno lette molto intensamente, perché altrimenti non avrebbero scritto che manca la prova che l’azione sia partita sin dall’inizio con il potenziale di diventare strage. È deludente che non si sia ricavato di più da quest’indagine: in dieci anni gli inquirenti non sono riusciti a superare quel muro di ostruzionismo, di omertà, di menzogne e di mezze verità che i testimoni delle ex SS hanno costruito».
C’erano elementi per muovere l’accusa contro i 17 indiziati?
«Sulla base delle mie conoscenze mi sembrava che per lo meno in alcuni casi il materiale probatorio esistente fosse sufficiente a mandare avanti l’indagine».
L’archiviazione l’ha sorpresa?
«La decisione mi ha deluso, per cui capisco e condivido l’indignazione che molti provano, ma non mi ha sorpreso, perché non è la prima volta che indagini di questo tipo vengono chiuse così. Temevo si sarebbe giunti a questo esito. C’è una serie di problemi ricorrenti».
Ad esempio?
«In Germania pesa molto la distinzione tra omicidio doloso semplice, che va in prescrizione dopo un certo numero di anni, e omicidio aggravato che non va in prescrizione. Oggi, in riferimento alla Seconda guerra mondiale, si possono solo perseguire crimini che risultino qualificabili come omicidio aggravato. Nel caso di Sant’Anna, pur avendo la Procura di Stoccarda ritenuto comprovato che il fatto in sé costituisce un crimine di guerra, non ha ritenuto di poter classificare ogni singola uccisione come omicidio aggravato. È anche un problema di ordinamenti giuridici differenti».
Per Stoccarda non è dimostrata la colpa individuale degli indiziati. Crede che la magistratura tedesca abbia interesse a chiarire la vicenda?
«Sì, senz’altro. Ma ci sono anche limiti oggettivi: per la Procura tedesca portare la prova della responsabilità individuale significa avere una prova documentale scritta o una testimonianza che dimostri il coinvolgimento di una persona in un crimine. Ma è un problema se nessuno parla, se il documento non esiste più negli archivi o non indica con precisione l’unità o il nome di questa persona. In Italia queste prove si sono invece trovate».
La Stampa 06.10.12