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"Se manca un progetto è inutile aumentare l’orario", di Benedetto Vertecchi

Non era difficile immaginare che nel clima già caldo che in questo inizio d’anno domina nelle scuole parlare di un possibile aumento dell’orario di lavoro degli insegnanti avrebbe aggiunto a quelle già esistenti ulteriori ragioni di disagio. E ciò non solo per le fosche previsioni che si possono fare circa la capacità del sistema educativo di assorbire nuovo personale o, quanto meno, di collocare dignitosamente quello che da anni ruota in condizione di precarietà attorno alla scuola. Ma ancor più perché la sortita estemporanea sul nuovo orario di cattedra costituisce un ulteriore prova dell’improvvisazione con la quale si interviene, o si dichiara di voler intervenire, sul funzionamento del sistema scolastico. L’orario di lavoro non è, infatti, qualcosa che possa essere variato prescindendo da considerazioni che riguardano i modelli organizzativi e didattici dell’attività educativa. Si può anche considerare inadeguato l’orario attuale: ciò non perché sia inadeguato il numero di ore richiesto agli insegnanti, ma perché tale orario rispecchia una concezione dell’educazione scolastica che poteva essere accettata fino ad alcuni decenni fa, mentre oggi risulta incapace di corrispondere alle esigenze che nel frattempo si sono venute manifestando. Per cominciare, non si può seguitare a far coincidere l’orario delle lezioni con quello di funzionamento delle scuole. Poiché l’impegno di lavoro degli insegnanti corrisponde al numero di lezioni necessario per coprire l’orario di funzionamento delle scuole, si capisce che anche solo ventilare un aumento lasci subito intravedere fosche prospettive per l’occupazione. Non solo. Non c’è bisogno di richiamare i dati delle indagini comparative internazionali per rendersi conto che il sistema educativo fatica ad adeguarsi ai mutamenti intervenuti e a quelli che stanno intervenendo nel quadro culturale e sociale. L’enfasi posta su elementi di modernizzazione proposti alle scuole (per esempio, l’uso di apparecchiature tecnologiche) può dare l’impressione che qualcosa stia cambiando, ma si tratta, appunto, solo di un’impressione. Le nuove dotazioni possono avere una capacità di attrazione finché sono inconsuete (e solo sulla parte più sprovveduta degli allievi), ma non sono in grado di configurare profili culturali la cui validità si estenda per un tempo lungo. Le strumentazioni che oggi appaiono all’avanguardia potranno essere utilizzate, sempre che lo siano davvero, per pochi anni. Per acquisirle saranno state impegnate le poche risorse disponibili per le dotazioni delle scuole. Ma, ammesso pure che i tempi fossero meno grami di quello che sono, avrebbe senso impegnare tali risorse per inseguire le offerte del mercato? Non ci si può non stupire di fronte al tono assertorio con cui si vantano i benefici che verrebbero dall’uso di questo o quel mezzo, in assenza di elementi obiettivi, di ricerche originali, di esperienze condivise. Intanto, per far posto a dotazioni che resteranno nelle scuole meno del tempo degli allievi che potrebbero usarle, non ci si cura più dei laboratori, dei gabinetti per le scienze della natura, delle raccolte bibliografiche e di quelle naturalistiche. Non ci si preoccupa di offrire agli allievi la possibilità di collegare pensiero e azione, di stimolare la loro creatività perché esprima un saper fare intelligente. Ed è proprio questo che gli insegnanti dovrebbero fare se ne avessero il tempo, se gli orari di funzionamento delle scuole non fossero così rachitici. In Europa, e in genere nei Paesi industrializzati, la scuola assorbe gran parte della giornata, al mattino e al pomeriggio (talvolta, spazi e dotazioni sono fruibili anche di sera). Certo, non per far lezione, ma per trasformare ciò che si apprende in elementi di un profilo culturale che resti attraverso il tempo e possa adattarsi e riadattarsi ai mutamenti che intervengono nella conoscenza e nella società. Quel che serve è elaborare un’idea dell’educazione, e effettuare scelte coerenti con essa. La logica dei rattoppi non produce – l’abbiamo visto – nulla di buono. Si attenua il rapporto di fiducia sul quale si fonda l’attività delle scuole. E gli stessi insegnanti sono alla rincorsa d’intenti che non sanno quanto siano condivisi. Quel che manca, e di cui c’è soprattutto bisogno, è una politica per l’educazione. …
L’Unità 13.10.12