attualità, politica italiana

"Il lascito di Napolitano per svegliare l'Italia", di Eugenio Scalfari

Secondo alcuni (molti) l’Unione europea sta per affondare, questione di mesi se non addirittura di settimane. Secondo la giuria norvegese del premio l’Unione merita invece il Nobel per la pace, la guerra infatti è scomparsa dall’Europa ormai da sessant’anni, un periodo di pace così lungo non c’è mai stato nel nostro continente dai tempi di Ottaviano Augusto e scusate se è poco. In realtà la gente di questa grande conquista che è la pace non se n’è neanche accorta. Probabilmente perché gran parte di quelli che avevano dieci anni nel 1939 sono morti e gli europei di oggi la guerra la conoscono soltanto attraverso i film e gli effetti speciali della televisione.
Dell’Europa però conosciamo bene i guai economici, i discordi interessi tra le nazioni e tra le classi sociali, la disperazione, il lavoro precario, le speranze perdute, le diseguaglianze crescenti, l’incertezza dei diritti, il malaffare dilagante, la politica sfiduciata, le istituzioni inquinate dalla corruzione.
Il premio Nobel ad un’Unione europea che è vista e vissuta in questo modo da una parte cospicua e forse dalla maggioranza dei suoi abitanti, sembra dunque una presa in giro o una buffonata o un’ipocrisia. Eppure…
Eppure centinaia di migliaia di persone rischiano ogni anno la vita per arrivarci, per trovarvi un lavoro e metterci su casa e lasciano dietro di loro una tragica scia di morti pur di fuggire dall’inferno in cui vivono. Scappano dall’Africa, scappano dall’Oriente vicino e lontano, attraversano deserti, montagne, mari tempestosi pur di toccare terra sulle nostre coste. Sono già milioni e gli studiosi che esplorano il futuro ci dicono che tra cinquant’anni un terzo degli europei saranno colorati e alla fine del secolo la maggioranza sarà meticcia. Per loro l’Europa è la speranza anche se a molti europei d’oggi sembra piuttosto una terra di desolazione.
La verità mai come in questo caso è relativa, ma una cosa è certa: qui da sessant’anni la guerra non c’è stata e i popoli europei vivono pacificamente tra loro, c’è libertà di movimento delle persone, libertà di scambio delle merci, libertà religiosa e politica. L’eguaglianza purtroppo no, è fortemente diminuita; i privilegi sono aumentati, la corruzione è più diffusa, l’egoismo domina la società portando con sé l’indifferenza verso il bene comune.
Ma questi lati oscuri che inquinano ed esasperano la vita pubblica del nostro continente non sono una fatalità alla quale è impossibile sfuggire; dipendono da una passività imputabile soltanto a noi stessi. L’Europa è stata la culla della democrazia e del diritto. È stata ed è ancora il continente più ricco del pianeta. Da un secolo in qua ha cominciato a vivere la sua decadenza, via via sempre più accelerata col passare degli anni. Ma se soltanto si svegliasse, se reagisse al declino, se riconquistasse fiducia in sé, se soprattutto capisse che il suo futuro dipende dal sentirsi nazione, nazione europea, popolo europeo, Stato europeo, democrazia europea; se questa rivoluzione avvenisse e fosse il coronamento dei sessant’anni di pace dopo mille anni di guerra durante i quali la pace fu soltanto una serie di brevi tregue per riprendere a scannarsi subito dopo; ebbene, se questo accadesse i nostri giovani potrebbero di nuovo sperare, ma non si aspettino che il dono gli cada dal cielo.
Noi adulti, noi anziani, noi vecchi che le guerre le abbiamo ben conosciute dobbiamo aprirgli la strada per quanto è possibile, dobbiamo mettere la nostra esperienza al loro servizio. Dobbiamo raccontargli il passato nel bene e nel male e spingerli a entrare nel futuro.
Il Nobel all’Unione europea è questo che deve significare: un augurio e un’esortazione. Voi giovani non lasciatela cadere.

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Il primo dei Paesi fondatori che sarà chiamato a votare in Europa è ora il nostro. Negli scorsi mesi hanno votato la Spagna, la Grecia, la Francia, l’Olanda. Tra venti giorni voteranno gli Stati Uniti d’America: non è Europa ma è Occidente e dell’Occidente costituiscono ancora il perno dal quale dipende una parte non trascurabile del nostro destino.
Il candidato ”europeo” è Barack Obama, non c’è dubbio; ma non è certo una panacea, non ha fatto e non farà miracoli, tuttavia per l’Europa rappresenta il meglio (o il meno peggio) di quanto può accadere. Perciò speriamo che vinca e ottenga la riconferma alla Casa Bianca e la maggioranza democratica al Congresso.
Chi gli si oppone è il partito conservatore repubblicano, sostanzialmente isolazionista, ideologicamente liberista, assai poco cosmopolita e religiosamente fondamentalista. Da molto tempo le differenze tra i due partiti non erano così profonde. Profonde ma legittime in un Paese grande come un continente.
Ma l’aspetto più preoccupante è un altro: le grandi banche d’affari americane, quelle che dominano i mercati mondiali, sono tutte schierate contro Obama, con in testa la più influente di tutte, quella che conduce la danza ogni mattina, la Goldman Sachs con il seguito nella JP Morgan, Bank of America, City Group, Morgan Stanley e i grandi fondi d’investimento.
Questo formidabile schieramento di capitali e di talenti rappresenta il pilastro del capitalismo finanziario mondiale. Quattro anni fa sostenne Obama per riparare gli errori catastrofici di Bush; ora ha cambiato fronte perché Obama ha tentato di imporre regole severe ai mercati; c’è riuscito in piccola parte perché l’avversario è molto potente, ma ha deciso di riprovarci ancora e con maggiore energia. Perciò lo scontro questa volta sarà radicale.
Ci riguarda? Sì, ci riguarda molto da vicino perché questo capitalismo che ha notevoli alleanze in Europa vuole scardinare l’euro e con esso l’Europa stessa. Perciò le elezioni americane fanno parte della nostra partita e noi della loro.

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Poi toccherà votare a noi italiani. Tra sei mesi. Le nuove Camere si riuniranno per eleggere i loro presidenti e il presidente della Repubblica che, per una sua definitiva e irrevocabile decisione non sarà Giorgio Napolitano.
Molti di noi, ed io tra questi, hanno sperato che accettasse una riconferma la cui durata sarebbe comunque dipesa da lui, ma sarebbe stata opportuna per guidare la formazione del nuovo governo. A questo punto però non c’è che rassegnarsi alle sue decisioni; del resto non mancano validi candidati alla successione, anche se la sua esperienza, la sua moderazione e la sua fermezza non sono qualità facilmente rimpiazzabili.
Gli obiettivi sui quali Napolitano si è ora concentrato e che rappresentano il lascito più importante del suo settennato sono: la lotta contro la corruzione che ha pervaso la vita pubblica; il rinnovamento dei partiti e il recupero del loro ruolo di rappresentanza effettiva della sovranità popolare e di rigenerazione della democrazia parlamentare; la ferma determinazione di condurre fino in fondo il risanamento economico italiano, il rilancio urgente dello sviluppo, l’equità sociale e territoriale, la messa in sicurezza della moneta comune. Infine la nuova legge elettorale che ridia agli elettori la libertà di scelta dei loro rappresentanti e assicuri al tempo stesso rappresentatività e governabilità.
Non sono obiettivi facili anche perché non rientrano nella competenza operativa del presidente della Repubblica. Rientrano tuttavia in pieno nella sua competenza ordinamentale, poiché la Costituzione gli assegna di rappresentare la nazione, di tutelare il patto costituzionale, di difendere la struttura e lo spirito dello Stato di diritto e dei valori che vi presiedono. Il Presidente ha diritto di messaggio al Parlamento e al Paese. Non è lui che opera ma è lui che può e deve suggerire, ricordare, denunciare abusi e storture.
Non a caso la nascita del governo Monti e la sua tenuta sono state opera di Napolitano. Di questo tutti, compresi coloro che criticano la politica montiana, debbono dare atto e lo danno infatti (a parte Grillo e Di Pietro) se non altro ricordando il punto limite cui eravamo arrivati nell’autunno del 2011 sul piano della credibilità del nostro Paese di fronte al mondo e all’Europa.
Degli obiettivi che stanno a cuore a Napolitano il più urgente anche perché influisce su quasi tutti gli altri è la legge elettorale che è ancora in alto mare. I punti che sembrano acquisiti (anche se appena adesso arrivati all’esame del Senato e successivamente della Camera) sono due: il principio proporzionale corretto da un premio di governabilità e la restituzione agli elettori della scelta dei loro rappresentanti.
I punti controversi sono però parecchi: il sistema delle preferenze, voluto a tutti i costi dai centristi di Casini e il sistema dei collegi preferito dal Pd; l’ammontare del premio di governabilità sul quale il Pd gioca le sue carte mentre il centro e il Pdl sono assai più avari; l’ammissibilità al premio delle coalizioni o soltanto dei singoli partiti.
Sul nostro giornale in più occasioni (l’ultima ieri di Gianluigi Pellegrino) abbiamo motivato l’impraticabilità delle preferenze che esaltano il ruolo delle clientele, delle lobby e soprattutto della criminalità organizzata. I recenti episodi del Consiglio comunale di Reggio Calabria e del Consiglio regionale della Lombardia sono casi estremi ma purtroppo assai diffusi che le preferenze consentono e incoraggiano.
Quanto al premio di governabilità esso consente che la maggioranza parlamentare relativa possa governare con sicurezza; questa sicurezza è fondamentale per la solidità dei governi nei mari agitati attuali, ma va contemperata da un secondo e non trascurabile principio che è quello della rappresentatività.
Se un partito o una coalizione raccoglie il 30 per cento dei consensi e ottiene un premio del 20 per raggiungere la maggioranza assoluta, il sistema della rappresentatività viene stravolto tanto più tenendo presente che una quota rimarchevole di elettori non andrà a votare e dunque l’ammontare dei consensi rappresenta una quota minore rispetto alla totalità del corpo elettorale.
Il problema richiede saggezza da parte dei diversi interessati e un punto di mediazione che a noi sembra raggiungibile con il 15 per cento netto di premio (il 18 lordo). Probabilmente non basterà ad assicurare maggioranza assoluta ma questo in fin dei conti può essere un bene, saranno necessarie alleanze post-elettorali, la più appropriata delle quali è quella tra il centro e la sinistra democratica. Quest’ultima si va profilando con una coalizione che include Vendola ma sulla base di un patto proposto dal Pd in quanto partito di maggioranza della coalizione. Quel patto assicura la piena lealtà e il rispetto della traccia europea segnata da Monti e dagli impegni che l’Italia ha preso con le autorità europee; ma nel medesimo patto viene rilanciato il principio di equità sociale e territoriale e la creazione di nuovo lavoro. Il patto infine prevede e sottolinea la necessità d’un contributo italiano alla nascita dell’Europa federata che rappresenta l’obiettivo di fondo di tutta questa politica. Secondo le ultime notizie Vendola avrebbe aderito a questo patto e questo rappresenta un passo politico di notevole importanza.
Se il popolo, se i giovani, se gli adulti, se tutti noi recupereremo fiducia e saggezza forse la luce in fondo al tunnel si farà vedere sul serio.
P.S.
I bambini figli di coppie separate debbono essere cresciuti, educati e trattati con grande attenzione e affetto. Quanto è accaduto al bambino Lorenzo nei giorni scorsi non deve ripetersi mai più. La polizia, gli insegnanti e soprattutto i genitori se ne debbono fare carico e le leggi che disciplinano gli affidamenti senza ascoltare neppure a titolo puramente conoscitivo il parere del bambino da una certa età in su debbono essere riformate in modo appropriato. Quanto è accaduto in questo caso è vergognoso ivi compresa la denuncia della polizia per il reato di resistenza del nonno e della zia di Lorenzo. In casi analoghi dovrebbero resistere perfino i cittadini presenti. Non si tratta in quel modo un bambino “rapito” a scuola.