attualità, politica italiana

"Il manifesto finale del re senza trono", di Filippo Ceccarelli

Dopo di lui il diluvio, altro che primarie. La lunga nota di ieri pomeriggio annuncia infatti la caduta dell’impero berlusconiano. O almeno il suo inizio formale che, come tutte le capitolazioni lungamente attese e tutti i poteri che alla fine colano a picco, si presenta al tempo stesso solenne, malinconica e sgangheratissima. Si va sul classico: stavolta è davvero la fine di un sogno. Che poi da diversi anni questo assai magnificato sogno fosse diventato un incubo per lo stesso Berlusconi, di sicuro per i suoi più cari, è una questione che oggi lascia un po’ il tempo che trova. Comunque è il congedo, senza metterci la faccia, come orribilmente si dice, ma in questo caso è impossibile dirlo senza pensare alle immagini lontane e soffuse della discesa in campo, quella fatale videocassetta, la scrivania, la libreria, le foto di famiglia, quell’accenno di riporto sulla testa, quel sorriso così efficace: «L’Italia è il paese che amo». Sono ormai 18 anni. «Per amore dell’Italia» inizia quel comunicato scritto anche bene, ma certo piuttosto lontano dallo stile e dal format, con scrivania e bandierina, per mesi e mesi inflitto ad alcuni mai troppo bene identificati Promotori della libertà.
In ogni caso addio. Si possono addirittura immaginare gli istanti che l’hanno preceduto:
«Ma sì, adesso va bene» avrà detto l’ex premier dopo aver dato un’ultima scorsa a quel fatale testo che Giulianone Ferrara gli avrà plausibilmente preparato per l’occasione, proprio lui che nel 1994 aveva scritto il primo discorso di presentazione del governo Berlusconi in Parlamento e che un paio di settimane orsono, sul Foglio, si era spinto a battezzare «il tramonto di Berlusconia».
Nella prima metà della sua semi apocrifa nota ricorrono diversi frammenti e gorgoglii dell’immaginario di Arcore: l’«entrata in campo» e le metafore calcistiche, l’Elogio della follia di Erasmo, il corpo del Capo con i suoi muscoli «ancora buoni e un po’ di testa» – laddove difficilmente il non sempre ironico Cavaliere avrebbe usato una formula così sospettamente riduttiva delle sue qualità mentali. E altrettanto vale a proposito del passaggio sui «vizi». Ma pazienza.
Del Sogno o dei sogni, di cui da sempre si nutre l’ideologia pubblicitaria, s’è detto; così come non stupisce, dopo quello che è andato in scena nei palazzi privati del potere dalla primavera del 2001, la formula secondo cui in Italia, restata pur sempre una Repubblica, in realtà «si regna». Mentre la più decisa e ribalda concessione alla corrente megalomane del berlusconismo suona quella che, a proposito di una non chiarissima riforma «populista», messa polemicamente ma inspiegabilmente tra virgolette, la designa: «La più importante nella storia dei centocinquant’anni dell’unità del paese», bùm.
Ma ogni conato interpretativo del testo adesso è nulla dinanzi al trono che va inesorabilmente rovesciandosi, insieme al baldacchino e a tutte le suppellettili della sovranità. Che interesse riveste il futuro nome e il destino del Pdl? Chi tradirà per primo? Quando comincia la resa dei conti? Per quanto tempo ancora il fedele Bondi avrà la voglia e la forza per alzare al cielo il suo lamento sul «frettoloso benservito a una per-
sona a cui tutti noi dobbiamo tutto?».
Verrà il tempo in cui gli storici tireranno le somme. Ma intanto ci si può accontentare di tanti, di troppi piccoli segni che prefigurano il crollo e lo riempiono di atterrita meraviglia. La vendita di villa La Certosa, i fiori finti e non più freschi nella reggia di Arcore, la cambusa interdetta ai collaboratori, dalle parti di via dell’Umiltà è venuto giù anche un cornicione, sotto il palazzo del Pdl nel week-end è fiorito un suk di ambulanti clandestini.
È tutto un mondo che se ne va. Mara Carfagna si è dolorosamente separata, la rossa Brambilla ha problemi con il canile del suo paese, Nicole Minetti è in uscita dalla regione, De Laurentis non produce più cinepanettoni, Miss Italia recupera il costume intero, Sara Tommasi è sulla via della conversione, Lele Mora ha perso cinquanta chili e coltiva piante da giardino, Ruby è mamma, Noemi ha mutato aspetto, l’avvocato Ghedini minaccia azioni legali contro l’Ape Regina, Lavitola è in carcere, Bisignani ha patteggiato, don Verzè è morto, Ligresti è nelle peste, Fede fonda movimenti a sfondo senile, Signorini loda il Papa e la sobrietà.
Sono microspie di qualcosa che sta cedendo. Irrilevanti e rivelatorie al tempo stesso. Sull’ultimo Chi l’ex fidanzata del Batman, a nome Samantha Weruska Reali, si è fatta ritrarre con le borse di lusso -Chanel, Vuitton, Gucci – che ha ricevuto dal suo Francone. Ma quel che fa pensare, della didascalia, è: «Sono pronta a restituirle». A chi è difficile dire, ma fra teste di maiali e arresti di spin doctor, impicci di Formigoni e degradi di Polverini, qualcosa sta evidentemente rovesciandosi nel suo contrario. Hanno chiesto ad Apicella quale canzone potrebbe accompagnare la fine della favola, anche la sua, e lui anche con garbo ha ricordato che ce n’è una che s’intitola: «Momento amaro». Amaro e comico insieme, come ogni
finis regni che si rispetti, è ripensare alla lacrimuccia di Berlusconi a una festa estiva di compleanno di una deputata, che al momento delle candeline aveva chiesto di far partire l’inno di Forza Italia. Drammatica e buffa è la scena di Ferragosto in cui il Cavaliere, festeggiato in Sardegna da un ristretto, ma neanche troppo gruppo di amici, prova davanti a loro per due volte, come notano crudeli le cronache, il discorso della ri-discesa in campo.
E la caduta mentre fa jogging, nascosta per tre giorni, e l’interminabile spiegazione del fisioterapista che assicura che tutto va bene, tutto è a posto, non è successo nulla; e poi a un certo punto Berlusconi vola anche in Africa, da Briatore, che a suo tempo al telefono con Santanché parlando del suo futuro ospite si metteva le mani nei capelli dicendone di cotte e di crude, ma in quell’ambiente le cose vanno in questo modo parecchio strano.
Al concerto romano dei Radiohead, il gruppo ha voluto dedicare a Berlusconi una canzone, «Daily Mail», su gossip e potere, ma non era un cortese omaggio; e all’estero i francesi, i tedeschi, Obama non hanno perso occasione di preoccuparsi di un eventuale ritorno. Mentre qui infuriava la grottesca saga battesimale su «Italia pulita », figurarsi, no, «Bella Italia», o forse «Grande Italia», che però sarebbe meglio «Magica Italia», che probabilmente era il nome di una pizzeria frequentata da Feltri. E a ripensarci con il senno di poi salutava, ciao ciao, con la manina, Berlusconi, a settembre, i crocieristi del Giornale, gratificandoli di aneddoti di ormai remotissima gioventù, venditore di elettrodomestici, intrattenitore e cantante confidenziale sulle navi, aitante e fascinoso costruttore, storie gloriose, ma vecchie come il cucco.
Non c’è caduta che non ispiri sconquassata tenerezza e triste sollievo liberatorio. Di solito l’imperatore cede con l’illusione che non appaia il cedimento. Ma sotto sotto non ce la faceva più. Lui ha resistito oltre ogni limite. Sembra un paradosso, ma è addirittura un riconoscimento.
La Repubblica 25.10.12