attualità, politica italiana

“Le tasse”, di Valentina Conte

Ancora una bocciatura. E stavolta persino più severa. Il Consiglio di Stato, con un secondo parere pubblicato ieri, invita il governo a riscrivere il Regolamento che dovrebbe far pagare l’Imu a Chiesa e enti no profit nel 2013. Suggerisce frasi ed incisi da correggere o cancellare. E soprattutto avverte che, se il testo non cambia su sanità, scuola, alberghi, l’Italia rischia una procedura di infrazione europea, come esito dell’indagine aperta per aiuti di Stato illegali. Troppe esenzioni, troppi sconti, e una definizione ad hoc di ciò che non è attività commerciale. Un parere durissimo. L’aggettivo «favorevole» con cui si chiude il testo, elaborato dal consigliere Roberto Chieppa, in realtà si limita alla parte più “tecnica” e matematica del Regolamento, la sua originaria
ratio.
Laddove cioè si dice come calcolare la proporzione di immobile “misto” dedicata alla sola attività commerciale e dunque soggetta all’imposta. Questa parte andava bene nel primo parere del 4 ottobre, va bene ora.
L’ATTIVITÀ ECONOMICA
A suscitare le «osservazioni» e le «criticità » più severe è l’altra parte, quella degli “sconti”, che fissa i «requisiti» per cui un’attività non debba considerarsi commerciale e dunque esente da Imu. Requisiti che ruotano attorno al concetto di «retta simbolica», ma che per i giudici amministrativi nasconde un’attività economica in piena regola, con spese e incassi. Il Consiglio di Stato ricorda che il criterio europeo per definire un’attività “commerciale” non si basa tanto sull’utile che se ne ricava. Quanto invece dall’«offrire beni e servizi in un mercato». Nella versione del governo, al contrario, lo spazio delle esenzioni si amplia a dismisura, specie per scuola, sanità e alberghi. Travalicando norme italiane e comunitarie. Mentre proprio ai principi di Bruxelles, suggeriscono i giudici, il governo si dovrebbe riferire per «coerenza». Anche perché, annota Chieppa, «soggetti in apparenza “non commerciali” possono in taluni casi svolgere attività economiche in concorrenza con analoghi servizi offerti da altri operatori economici ». Anche il no profit può fare commercio. E dunque deve versare l’Imu sugli immobili (o loro porzioni) in cui lo fa.
LA SANITÀ
Cliniche e ospedali accreditati o convenzionati con Stato, Regioni, enti locali. Oppure attività sanitarie svolte a titolo gratuito o con retta simbolica «e comunque non superiore alla metà di quella media prevista per le stesse attività, svolte nello stesso ambito territoriale ». In questi casi alternativi (o l’uno o l’altro), zero Imu. Il Consiglio di Stato li boccia. Per avere zero Imu, le cliniche devono essere sia convenzionate che gratuite o con rette simboliche. La media del mercato non è criterio valido perché «di difficile applicazione» e «non è in assoluto idoneo a qualificare l’attività come non commerciale». D’altronde, un conto è la retta gratis o “simbolica”. Un altro conto, il 49% della media di mercato. Il governo ne fa sinonimi.
L’ISTRUZIONE
Stesso discorso per scuole e hotel. Per le prime, il criterio della «non copertura integrale del costo effettivo del servizio » non regge. Basta gonfiare di poco le spese, far pagare ai genitori una retta di poco inferiore e il gioco è fatto: zero Imu. D’altronde, anche qui, un conto è la retta “simbolica”, un conto è il 99% dei costi per l’istruzione coperti dai genitori degli alunni. In questo secondo caso l’attività economica c’è eccome. E l’Imu va pagata. Sulle «attività ricettive», è giusto esentare le strutture cui hanno accesso i «destinatari propri delle attività istituzionali», se sono stagionali. E dunque le case vacanze dei religiosi, ad esempio. Corretto esentare le strutture che fanno «ricettività sociale » e offrono ricovero temporaneo a indigenti e svantaggiati. Come gli ostelli della Caritas. Ma il riferimento alla retta «non superiore alla metà» della media di mercato, dice Palazzo Spada, deve saltare. Perché lì si annidano zone d’ombra di esenzioni.
IL CODICILLO
Il Consiglio di Stato, infine, ricorda che la seconda parte del Regolamento ieri bocciata esiste solo perché il governo ha ampliato la delega concessa dalla legge, inserendo tre righe nel decreto Enti locali. Ma, appunto, per ora è solo un decreto. E tutto può cambiare in Senato.
La Repubblica 14.11.12