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“Un investimento decennale e sette errori da non ripetere”, di Vittorio Emiliani

Chi, come me, scrive da decenni di queste cosiddette “calamità naturali” – che sono in realtà autentiche “calamità politiche” – potrebbe ripubblicare con poche varianti l’articolo scritto un anno fa, o quello di due anni fa per il disastro di Ognissanti, sempre in Toscana. Con l’aggravante che ad un governo Berlusconi che in Finanziaria non stanziava praticamente nulla di più dell’ordinario per la difesa del suolo è succeduto un governo Monti che, dovendo riparare ai disastri finanziari berlusconiani e avendo eletto a culto il pareggio di bilancio, si toglie da sé le risorse per un piano contro il dissesto idrogeologico.
Il ministro dell’Ambiente Corrado Clini, direttore generale di solida esperienza, sa bene che la prevenzione di simili disastri costa molto, mentre riparare, tamponare, rattoppare costa venti, trenta volte di più. Senza contare le vite perdute (anche stavolta numerose) e i disagi umani e sociali degli alluvionati. Ha assicurato che presenterà al Cipe «il piano contro i cambiamenti climatici e il dissesto idrogeologico e spero che se ne parli alla prossima riunione»…Non è molto.
L’Italia si trova stretta fra la necessità di tenere i conti in ordine (ma il debito pubblico continua a salire) e quella di difendere il proprio territorio più fragile e i suoi abitanti. Saprà, vorrà un governo di tecnici reclamare dall’Unione Europea l’allentamento della stretta finanziaria per poter varare un piano almeno decennale di risanamento del suolo? Ne dubito seriamente. Ieri il capo della Protezione Civile, Franco Gabrielli, ha lanciato un’accusa precisa: «Su alcune zone sono caduti in 48 ore 400 millimetri di pioggia. Ma questi fenomeni eccezionali hanno impattato su un territorio dove la fragilità è nota e arcinota e dove si è costruito dove non si doveva costruire». Quindi, ci vuole un piano decennale di investimenti certi e ben mirati, ma senza ripetere errori e comportamenti sbagliati. Quali? Provo a riassumerli per punti.
1) Dare alle Autorità di Distretto, secondo la direttiva europea, quei poteri vincolanti negati alle Autorità di Bacino (legge n. 183 del 1989), disarticolate alla fine di un conflitto suicida Regioni-Stato (ricordate Bossi che voleva dividere in quattro pezzi la gestione del Po a seconda delle regioni attraversate?). Basta col “federalismo fluviale” che ha soltanto inceppato l’azione di risanamento/prevenzione, sì ai confini del bacino idrografico e no a quelli delle singole Regioni.
2) Ridare alla difesa del suolo fondi per la manutenzione ordinaria e redigere un piano decennale credibile di finanziamenti straordinari (dopo la tragica colata di fango a Sarno era stato quantificato in 40 miliardi di euro).
3) Vietare assolutamente ogni edificazione nelle aree di sfogo dei corsi d’acqua, negando risarcimenti agli abitanti di edifici illegali alluvionati, e cominciare a liberare le aree golenali da ogni tipo di costruzione.
4) Controllare severamente le concessioni per l’estrazione di ghiaia e sabbia da fiumi e torrenti spesso soggetti ad autentiche “rapine” e quindi a dissesti degli alvei dalle conseguenze disastrose.
5) Restituire alla natura, oltre alle aree golenali, gli argini dei corsi d’acqua e gli stessi alvei oggi in molti casi cementificati, col risultato di aumentare spaventosamente la velocità delle acque di piena (vedi Genova e dintorni).
6) Non asfaltare altre strade poderali e vicinali di collina, evitando anche di tracciare nuove arterie in zone già dissestate (come sta invece avvenendo per seminare di pale eoliche, spesso inutili, l’Appennino).
7) Nel contempo, programmare nelle zone abbandonate della montagna appenninica (in particolare) lavori sistematici di riassetto delle acque di scolo, liberando gli alvei dall’invasione di piante e arbusti e curando gli stessi boschi troppo spesso inselvatichiti, in modo da favorire la ritenzione a monte delle acque piovane.
Altri punti si potrebbero aggiungere: questi sono quelli essenziali. Sui quali però occorre trovare una convergenza durevole e “virtuosa” fra Stato e Regioni. Passata la sbornia del federalismo (che in realtà è stato sovente feder-lassismo), occorre ridare forza concreta alle virtù di uno Stato regionale coeso e operante.
L’Unità 14.11.12