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“Il dividendo della crisi più pesante per i poveri”, di Nicola Cacace

Il 2012 con un Pil -2,3%, sarà l’anno più duro dopo il 2009. Chi paghera? i costi di questa ulteriore caduta del reddito, ancora la popolazione più povera? Come mostrano i dati Bankitalia elaborati da un gruppo di economisti (Peragine e Brunori, nel Merito.com, 16/11) «nel periodo 2006-2010 gli effetti della crisi non sono stati eguali per tutte le famiglie, le fasce a basso reddito hanno sofferto di più e complessivamente la recessione ha avuto un effetto regressivo sulla distribuzione dei redditi. A una riduzione annua del Pil nel quadriennio dello 0,7%, corrisponde una perdita di reddito del 3,5% annuo per il primo decile della popolazione (il 10% più povero), dell’1,5% per il secondo decile e così via; solo per l’ultimo decile cioè per i 2,4 milioni di famiglie più ricche, la crisi non ha prodotto riduzioni del reddito».
Nel biennio successivo, 2011-12 non c’è alcun dubbio che anche le politiche di risanamento, quelle precedenti e quelle attuate da novembre in poi dal governo Monti, hanno avuto carattere altrettanto regressivo. Monti, pur avendo avuto il merito del recupero di credibilità internazionale e di risanamento dei conti, non ha avuto in massima considerazione, o non ha potuto ispirarsi a una logica di più equa distribuzione dei sacrifici. I valori cui si sono ispirate le manovre governative, dalle pensioni al lavoro all’Imu, forse anche per i condizionamenti del centrodestra tuttora maggioritario in Parlamento, non hanno avuto alcun carattere di progressività.
D’altra parte non è un mistero che i valori del professore siano mossi da filosofie liberiste più che keynesiane, come confermato anche da un recente articolo dell’Economist sull’Italia, che definisce il professore «Monti, a declared antikeynesian». Anche i keynesiani sono per il libero mercato dando però importanza centrale al ruolo dello Stato investitore quando il ciclo economico lo richiede. Nella concezione keynesiana prevalente nei partiti europei socialdemocratici e progressisti, si sottolinea la funzione dello Stato nella redistribuzione della ricchezza e nel garantire diritti fondamentali come istruzione, sanità, sicurezza.
Monti ha fatto e sta facendo molte cose importanti e necessarie, ma senza toccare gli scandalosi privilegi dei super burocrati, senza attuare una spending review con tagli mirati e non orizzontali, aumentando la pressione fiscale per tutti ma non in modo progressivo, sui modelli Obama o Hollande. La legge sulle pensioni, necessaria ma poco attenta all’equità, ha fatto dell’Italia l’unico Paese che nel 2020 avrà un’età pensionabile di 67 anni ignorando i problemi della disoccupazione giovanile e femminile record. Nel Paese a più alta diseguaglianza d’Europa, anche per i privilegi dei politici, la norma per abbattere realmente i vitalizi dei consiglieri regionali (norma anti Fiorito) è stata introdotta dal Parlamento a correzione dell’inefficace versione governativa. L’Italia ha firmato il fiscal compact per ridurre in 20 anni il debito pubblico al 60% del Pil, ma si sono ignorate le proposte avanzate, anche da economisti e banchieri, di una patrimoniale straordinaria che chiedesse un contributo una tantum di solidarietà a quel 10% di famiglie super ricche proprietarie del 50% della ricchezza nazionale, che poco hanno sofferto dalla crisi come sopra mostrato. Il professore si è difeso dicendo che «non siamo attrezzati», mentre con un po’ di volontà politica qualcosa si poteva fare utilizzando il catasto per la ricchezza immobiliare e la centrale rischi di Bankitalia per la ricchezza finanziaria, come basi di partenza per una fiscalità patrimoniale più progressiva dell’Imu attuale che vale per tutti, ricchi e poveri. Il prof. ha condannato la concertazione, pratica seguita correntemente in Germania ed in tutti i Paesi più avanzati del nord Europa, per poi chiedere ai sindacati di firmare in tempi brevi un accordo per la produttività.
Altre scelte contrarie all’equità sono quelle sulla redistribuzione del lavoro. In Germania per non licenziare si riducono gli orari con la Kurtzarbeit mentre il nostro governo defiscalizza gli straordinari. Sulla responsabilità sociale delle imprese fa peggio, come quando approva le «libere scelte di delocalizzazione della Fiat», ignorando i sacrifici del Paese di un secolo di difesa della maggiore industria nazionale e le stesse posizioni più avanzate, Enciclica Caritas in veritate inclusa, che invocano «un capitalismo etico attento agli interessi non solo degli azionisti, ma anche di lavoratori e territorio». In conclusione, i motivi per cui Monti va bene ma l’agenda Monti un po’ meno, sono gli stessi che distinguono conservatori e progressisti nel mondo, i primi sono per la libertà senza eguaglianza, i secondi per l’eguaglianza nella libertà.
L’Unità 20.11.12