attualità, politica italiana

“La fine di un’epoca”, di Claudio Sardo

Si chiude un ciclo politico. Silvio Berlusconi, per nove anni presidente del consiglio, è colpevole. La Cassazione ha confermato la condanna a quattro anni per frode fiscale. E potrebbe decadere presto da senatore (ai sensi della legge anti-corruzione), prima ancora che la corte d’Appello rimoduli i tempi dell’interdizione dai pubblici uffici. In ogni caso, per il leader della destra è la prima condanna definitiva.La sconfitta politica del Cavaliere (che ieri ha perso anche il titolo di cavaliere), in realtà, si era già consumata nel 2011, quando lasciò Palazzo Chigi a causa del discredito internazionale, di una crisi sociale non governata, di una maggioranza dissolta tra contrasti e trasformismi. Eppure l’insuccesso del Pd alle elezioni, combinato con il cinismo di Grillo, ha regalato a Berlusconi e al suo partito un potere di sindacato sulla legislatura e sul governo. Berlusconi da tempo non ha più l’ambizione di guidare l’Italia: vuole però partecipare al potere, condizionarlo.
È questo il contesto nel quale è stata pronunciata la sentenza della Cassazione. In qualunque Paese democratico una condanna simile segna irrevocabilmente la fine di una carriera politica. Perché vengono recisi i presupposti di credibilità di un uomo pubblico. Non si tratta, come dicono i cortigiani, di un rigurgito di moralismo. Siamo garantisti e lo rivendichiamo con forza. Anzi, crediamo che questo sia uno dei valori fondativi della sinistra. Ma le sentenze si rispettano. Nel merito e nella forma. È la sola verità civile e costituzionale che abbiamo. La politica deve rispettarla, nella divisione dei poteri.
Berlusconi ha tentato sempre di difendersi dai processi, anziché nei processi. Ha usato tutte le armi a disposizione. Ha mescolato politica, giurisprudenza, leggi ad personam, ricatti istituzionali. Non ha neppure mascherato i suoi assalti al diritto: li ha perpetrati sostenendo che il perseguitato era lui, che i violenti erano i magistrati, e dunque che il fine giustificava i mezzi. Berlusconi è riuscito a sottrarsi ad alcune condanne grazie alla prescrizione. Anche in questo processo sui diritti tv le ha tentate tutte: il lodo Alfano, poi il legittimo impedimento, poi ha disertato udienze già concordate con i giudici, accampando scuse a cui la Consulta non ha creduto. Solo affidandosi all’avvocato Coppi, ha provato in extremis a cambiare strategia e a difendersi nel processo. Ma forse la svolta è arrivata troppo tardi. Per troppi anni ha usato gli avvocati per modificare le leggi a proprio vantaggio, anziché per affrontare le accuse nelle sedi proprie.
Ora il responso è un macigno che pesa sul centrodestra. Fin qui il Cavaliere ha usato falchi e colombe a piacimento. Dopo questa sentenza il Pdl è un bivio: resterà un partito patrimoniale, interno alla holding della famiglia Berlusconi, o diventerà una forza politica autonoma, capace di pensarsi oltre il fondatore ormai non più spendibile come leader? L’idea che il fondatore possa guidare la destra avendo quasi 80 anni, una condanna per frode fiscale, altri processi in arrivo e l’imminente interdizione dai pubblici uffici, non è neppure una minaccia. È una finzione. È vero che Berlusconi è già un leader extra-parlamentare: per vent’anni è stato così, o premier o del tutto estraneo alla vita del Parlamento. Ma la condanna allarga questo distacco. Perché viviamo in Europa e la destra italiana non può permettersi di gridare ad un fantomatico regime repressivo: nessuno sarebbe disposto a crederlo. Il destino del governo Letta, checché ne dicano i sostenitori di Berlusconi, è anzitutto nelle mani del Pdl. Dipenderà dalle reazioni istituzionali (la ripetizione di atti eversivi, come la marcia verso il tribunale di Milano o la richiesta di sospensione dei lavori parlamentari, sarebbe intollerabile). Ma dipenderà soprattutto dalla rotta politica di quel partito: utilizzerà il governo Letta per uscire dalla seconda Repubblica oppure la priorità sarà la difesa degli interessi personali dell’ex Cavaliere? La responsabilità del Pd resta grande davanti a una crisi che mangia imprese e lavoro, davanti a cittadini che sono stati spettatori della condanna mentre pensavano anzitutto al destino dei loro figli. Il governo Letta è nato senza alleanza. Ma ha compiti importanti: tentare di promuovere una ripresa e consentire ai cittadini di tornare alle elezioni in modo che siano utili a formare un governo efficace. Il governo Letta però non può vivere a tutti costi. Il governo Letta può vivere solo se viene ripristinata una divisione dei poteri. Per questo, la decadenza di Berlusconi da senatore (per incompatibilità sopravvenuta) deve scattare senza valutazioni di opportunità, ma solo sulla base del diritto. Se qualcuno nel Pd pensa di utilizzare strumentalmente la sentenza per destabilizzare Letta, è un avventurista. Ma se nel Pdl c’è chi pensa di usare Letta per raccontare la favola del Berlusconi perseguitato, quella del videomessaggio serale, è un pazzo che va fermato.

L’Unità 02.08.13