attualità

“Le ragioni del nuovo gelo”, di Vittorio Zucconi

Schiaffo e controschiaffo, non proprio Guerra Fredda, ma gelata sui campi di una rivalità mai davvero superata, la decisione presa da Obama di non concedere a Putin il rituale incontro “faccia a faccia” era inevitabile, mentre si alza anche una possibile tempesta attorno alle Olimpiadi invernali di Sochi 2014. Lo era proprio per una questione di “faccia”. Elemento sempre fondamentale per capire i comportamenti russi. E ora anche per gli americani, umiliati dalle rivelazioni di Edward Snowden e dal permesso di soggiorno per un anno – non un vero asilo politico – concesso da Mosca al ricercato dalla giustizia Usa.
E certamente Obama, attentissimo, e indebitato, verso i diritti civili e la lobby gay che tanto lo sostenne alle urne, ha notato la collera suscitata da quella nuova e barbarica legislazione da ancien regime anti-gay voluta da Putin che ha riportato la “Nuova Russia” alle persecuzioni sovietiche contro i “galubòi”, gli omosessuali. Ci sono addirittura refoli gelidi di ricordi del 1980, quando Washington boicottò le Olimpiadi estive di Mosca dopo l’invasione dell’Afghanistan, con nuove pressioni degli atleti e delle atlete americana per non partecipare alle invernali di Sochi 2014.
L’algida ed eufemistica spiegazione data dalla Casa Bianca per questo schiaffo di ritorsione a uno schiaffo dice che «non sono stati fatti sufficienti progressi nella relazione fra Stati Uniti e Federazione Russa per giustificare un incontro», ed è una spiegazione che nega l’assunto della frase. Gli incontri al vertice, visà- vis, privati si tengono proprio, e quando, le relazioni scricchiolano, per tentare di puntellarle e migliorarle, altrimenti sono soltanto “photo opportunities”, santini per il consumo del pubblico.
La gelata infatti non è fra Putin e Obama, ma fra i due capi di governo e le rispettive opinioni pubbliche e forze politiche. Nel momento dell’ennesimo insulto ai diritti civili portato da Putin con la nuova legislazione “soviet – style” contro gli omosessuali e di nuove strette contro la libertà di informazione e di opposizione, il presidente russo ha usato Snowden per distogliere lo sguardo da sé e indirizzarlo sull’America e su quello che avventurosamente, ma molto opportunamente per Putin, è stato definito il “Sakharov americano”.
Obama, a Washington, è sotto attacco tanto dalla destra repubblicana, che vede nella talpa della Nsa il classico “traditore della patria”, quanto dalle sinistre libertarie che lo salutano come colui che ha smascherato le nefandezze orwelliane del Grande Fratello. In pratica, nessuno dei due aveva niente da guadagnare e molti pezzi di faccia da perdere, incontrandosi, sorridendosi e facendosi riprendere in amichevole dialogo. Non essendoci pericoli imminenti o immaginabili di Guerra Calda fra Russia e Usa, lo sgarbo reciproco non precipiterà il mondo su quel proverbiale “orlo del precipizio” nucleare dove due generazioni danzarono dopo la Bomba di Hiroshima, 68 anni or sono. E i due uomini si ritroveranno comunque attorno allo stesso tavolo dei G20, le principali economia del mondo, il 5 settembre proprio a San Pietroburgo, la casa natale di Vladimir Putin.
Snowden è il pretesto, “la talpa dello schermo” usata tanto da Putin che da Obama per nascondere difficoltà interne e una gelata che si estende alla strage siriana, dove Washington non sa bene quel che vuole, ma non vuole quello che Mosca desidera. Si allarga alla questione degli oleodotti e gasdotti e a quello “scudo missilistico” che da 30 anni, da
quando Reagan si infatuò delle “Guerre Spaziali”, tormenta i rapporti fra le due nazioni, senza avere mai dimostrato nei test pratici di servire ad altro che a spendere miliardi in commesse e lanci falliti. E ora investe la brutale e inspiegabile aggressione ai diritti civili degli omosessuali.
Anche se il ragazzo della discordia, l’eroe della libertà, il traditore, il martire, l’infedele, l’eroe pirandelliano Snowden non ha più molto da rivelare – ha già detto tutto quello che sapeva, protestava suo padre in un’intervista televisiva due giorni or sono – è un utile totem attorno al quale Obama e Putin possono organizzare il balletto della nuova “Piccola Era Glaciale”.
Tutto è rinviato di un anno, quando scadrà il visto di soggiorno concesso a Snowden che ha già ricevuto offerte di lavoro dai più popolari social network russi, ansiosi di sfruttarne la popolarità. Qualcosa dovrà fare, per campare, come un altro celeberrimo americano rifugiato in Urss fece, lavorando in una fabbrica di radio a Minsk, Lee Harvey Oswald, prima di tornare negli Usa, nel 1959.
Snowden non è certamente un Oswald e non è neppure il Gary Powers, il pilota dell’aereo spia U2 abbattuto dalla contraerea di Kruscev proprio alla vigilia del vertice con Eisenhower nel 1960, che si svolse regolarmente, nonostante le bugie di Ike e la collera di Nikita. Sembra che ci siano sempre affari di spie e di spionaggio, nell’alzare i venti gelidi che periodicamente tornano a soffiare su due grandi nazioni che non si fideranno mai l’una dell’altra.
Anche se questa volta “la spia è venuta dal caldo”.

La Repubblica 08.08.13