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“Redistribuire per ripartire”, di Paolo Leon

Il presidente del Consiglio si è detto preoccupato, giustamente, del fatto che alla ripresa non seguirà un aumento dell’occupazione. Se l’Europa premierà la buona condotta italiana l’anno prossimo ci saranno risorse sufficienti.Intervenire per l’occupazione in modo massiccio, forse nel 2014, diventerà dunque imperativo. Intanto, nonostante l’ottimismo di Saccomanni, non c’è alcuna garanzia che la ripresa sia effettivamente in atto: i segnali positivi o meno negativi, vengono tutti dai conti con l’estero, che erano positivi anche nel pieno della crisi, senza dimenticare che l’Euro si sta rivalutando rispetto a tutte le altre valute. Non possiamo sperare, perciò, che la domanda estera sia la leva della nuova crescita. Esistono altre leve? Poco o niente nella finanza pubblica, perché nel 2013 e nel 2014 sarà necessario presentare un avanzo primario (le spese al netto degli interessi devono essere inferiori alle entrate), che sottrae domanda all’economia e indebolisce la crescita: manovre molto raffinate, ma fuori dalla realtà, potrebbero scegliere le spese che aumentano la crescita rispetto a quelle che non lo fanno, ma anche se ci fosse una tale opportunità, ci si doveva pensare molto prima, altro che spending review. Gli investimenti delle imprese, in questa situazione, non possono aumentare, se non per riempire i magazzini che nel frattempo hanno svuotato, ma perché questo possa dare un vero contributo alla crescita dovrebbe riguardare la domanda interna, la produzione per la quale ha ancora i magazzini pieni (come testimoniano gli sconti e i saldi). Non resta che operare sulla distribuzione del reddito, visto che la propensione a spendere è maggiore nei redditi bassi che in quelli alti, e minore è la loro propensione ad importare; è per questo che Letta pone l’accento sul disagio sociale – un altro modo per dire che occorre favorire chi ha più bisogno (e perciò spenderà di più). Naturalmente, occorrerebbe una forte redistribuzione, qualcosa da da 3 a 5 punti di Pil tra il 2013 e il 2014. Non so se sia possibile ma ogni mezzo deve essere utilizzato. Roosevelt, per questo stesso scopo, riconobbe il sindacato, il diritto di sciopero, la contrattazione nazionale: la crisi sembrava impedire alle imprese di riconoscere salari più elevati, e la lezione, allora, fu proprio che i salari più elevati avrebbero contribuito alla crescita delle vendite delle imprese, dei loro investimenti e dei loro profitti. Letta dovrebbe, allora, non soltanto redarguire Marchionne, ma chiamare le imprese a un patto del tutto diverso da quello al quale le aveva abituate il centro destra: si deve ridurre il cuneo fiscale sul lavoro, soltanto aumentando le buste paga, non fornendo maggiori margini di profitto alle imprese – perché, come sempre, è la spesa che fa i profitti, non i profitti la spesa. Si tratterebbe in parte di una detassazione che pesa sui conti pubblici, ma peserebbe meno se i salari crescessero a causa di una contrattazione finalmente più favorevole ai lavoratori. Il lamento degli imprenditori va colto, assicurando loro maggior credito: le banche devono far parte dello stesso patto, e ridurre la speculazione sui titoli a vantaggio del finanziamento delle imprese. La redistribuzione deve poi colpire direttamente il sistema fiscale: togliere l’Imu a tutti è come dare un vantaggio ai più ricchi, e questi spendono meno dei poveri; aumentare l’Iva è ai danni dei meno
abbienti, e perciò della loro spesa; lasciare invariata la curva delle aliquote, in presenza di inflazione, punisce di più chi ha un reddito basso, mentre lascia indifferenti i redditi più elevati.
Anche questo programma non assicura nuova occupazione in misura sufficiente, perché le imprese, supponendo che incontrino una domanda crescente, sfrutteranno di più il lavoro che hanno già in azienda. Di nuovo, però, diventa rilevante la contrattazione, in questo caso su orari e straordinari.
Letta, se vuole continuare il suo governo di coalizione, deve dare questo messaggio a Berlusconi, che essendo capace di proposte demagogiche, si troverebbe in difficoltà con un programma di giustizia sociale e di forza sindacale, ma dovrebbe fare buon viso a cattiva sorte: sarebbe un evento, come si vede con le sentenze che lo riguardano.

L’Unità 10.08.13

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