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“Sicurezza senza grande fratello”, di Federico Rampini

E alla fine Barack Obama ha detto una cosa di sinistra sul Datagate. «La difesa dei nostri interessi deve coincidere con il rispetto dei nostri valori». Dunque, il fine non giustifica i mezzi, la difesa degli americani contro le minacce terroristiche non può giustificare le invasioni sistematiche e arbitrarie della privacy. È una svolta, che giunge quasi inattesa: proprio mentre l’asilo “politico” concesso da Vladimir Putin alla “gola profonda” Edward Snowden getta nella più grave crisi post-guerra fredda le relazioni tra Russia e Stati Uniti. Poche ore prime di partire per una settimana di vacanza Obama annuncia una svolta importante sui temi della sicurezza nazionale. Di fatto, con questo discorso può aprirsi un’era nuova, dopo 12 anni di “guerra totale” al terrorismo. Il presidente chiederà al Congresso di riformare il Patriot Act, la più importante legislazione di emergenza che fu varata dopo l’attacco alle Torri gemelle: un apparato di norme che ha favorito la costruzione di un Super-Stato di polizia, certo dentro una cornice liberale e democratica, ma pur sempre con dei “corpi separati” dalla potenza via via smisurata. Uno di questi è proprio la National Security Agency, per la quale lavorava Snowden. Obama nominerà una task force di esperti per aiutare la Casa Bianca e il Congresso a rivedere le leggi speciali: gli specialisti dell’anti-terrorismo saranno affiancati da studiosi e attivisti dei diritti civili. L’obiettivo, nelle parole del presidente, è una riforma onnicomprensiva delle attività di spionaggio, che bilanci con cura le esigenze di sicurezza dei cittadini e quelle di protezione della loro privacy. Dovranno cambiare anche i metodi di funzionamento del “tribunale segreto” che autorizzava fin qui le attività di monitoraggio di tutte le comunicazioni (telefoniche, email) in base al Foreign Surveillance Act. Va ricordato che questa corte federale segreta fu istituita in base a una legge del 1978: quando alla Casa Bianca c’era un altro democratico, Jimmy Carter. Ma col tempo le funzioni di quel tribunale si sono ingigantite, per effetto dello shock dell’11 settembre e della nuova dimensione dei rischi per la sicurezza nazionale, a cui ha fatto seguito una dilatazione ipertrofica degli apparati di intelligence. Non sempre, comunque, con un beneficio in termini di efficienza: basti pensare all’attentato alla maratona di Boston, i cui preparativi passarono ben al di sotto di tutti gli schermi radar dei servizi (malgrado la crescente irrequietezza dei due terroristi ceceni negli anni precedenti, segnalata anche dai servizi segreti russi).
Un passaggio cruciale, nel discorso di ieri, è quello in cui il presidente riconosce di avere sbagliato nell’interpretare le preoccupazioni dei suoi concittadini. Ammette cioè di avere dato per scontato che la maggioranza degli americani si fidi senza riserve dello Stato, e si senta tutelata dal sistema attuale. Dalle prime rivelazioni di Snowden, non c’è dubbio che il clima è cambiato. All’inizio l’opinione pubblica sembrò davvero poco preoccupata: i primi sondaggi rilevavano un riflesso di “ordine e sicurezza anzitutto”, quasi pavloviano. Se in questi due mesi l’atmosfera è cambiata, lo si deve a due fattori: le forti critiche degli europei; e il ruolo della stampa americana che non ha voluto accodarsi al conformismo post-11 settembre e ha dato ampio spazio alle critiche per la mancanza di trasparenza della Nsa. Più trasparenza, è proprio quello che Obama promette adesso.
La svolta di Obama è tanto più interessante, in quanto coincide con una fase di nuovo allarme per la sicurezza degli americani. Decine di sedi diplomatiche Usa sono state chiuse in diversi paesi del Nordafrica e Medio Oriente. Nuove segnalazioni di possibili attacchi terroristici sono avvenute in Pakistan. E pochi giorni fa, in una evasione di massa che appare coordinata, molti militanti di Al Qaeda sono fuggiti dalle carceri di diversi paesi arabi. Il pericolo per gli Stati Uniti e per tutti i paesi occidentali non è certo tramontato. E tuttavia Obama si è convinto che l’America di oggi possa affrontare queste minacce senza dare deleghe in bianco al suo Grande Fratello, ai maghi delle tecnologie avanzate che lavorano dietro le quinte per estendere il raggio di azione dell’intelligence. Il controllo democratico dovrà estendersi su queste operazioni, che non devono sfuggire ai principi dello Stato di diritto.

La Repubblica 10.08.13