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“La manifattura vince con l’innovazione”, di Luca Orlando

Investono di più, sviluppano un numero maggiore di brevetti, sono mediamente più grandi. Dal 2009 ad oggi, a dispetto del rallentamento internazionale, della crisi del debito in Europa, della caduta verticale della domanda interna, un numero rilevante di aziende in Italia è comunque riuscito a resistere alla recessione migliorando addirittura i risultati. Il profilo delle aziende “Star” tracciato da Prometeia indica proprio negli investimenti e nella dimensione d’impresa due delle caratteristiche correlate direttamente alla performance, puntellando con la robustezza dell’analisi statistica dei bilanci il ragionamento “intuitivo” sulle scelte strategiche vincenti. Il punto di partenza, scandagliando la banca dati analisi dei settori industriali di Prometeia, è la performance 2009-2011 di 25mila società di capitale con produzione maggiore di due milioni di euro, capaci in media nel triennio di contenere i danni con un calo medio annuo della produzione pari allo 0,5%. Segmentando il campione, Prometeia ha selezionato il 20% di aziende “Star”, quelle cioè con tasso di crescita maggiore, per valutare quali siano le caratteristiche strutturali comuni e quali differenze vi siano rispetto alla media del settore di riferimento. Il 20% dei top performer si è in effetti distanziato notevolmente dalla media, sviluppando nel periodo una crescita media annua della produzione pari all’11,4% con un Roi in crescita media dello 0,8% a fronte invece di un calo superiore ad un punto per la media della manifattura.
L’identikit dei vincenti inizia dalle “spalle”, che mediamente sono più larghe con una dimensione media più elevata. Le aziende “Star” sono infatti sistematicamente più grandi rispetto al proprio settore di riferimento, generalmente del 15%, con livelli ancora maggiori per meccanica (22%) oppure metallurgia (28%) e il picco del 32% per il settore auto e moto. Altro dato comune tra le aziende che hanno resistito alla recessione è la loro capacità media di investimento, dove si trovano livelli medi superiori del 18% rispetto al resto del campione, con picchi del 33% per la metallurgia. Una correlazione positiva che si riscontra anche negli investimenti immateriali, un dato di bilancio utilizzato come approssimazione dello sviluppo di brevetti e marchi. Particolarmente intenso è inoltre il legame tra il vantaggio ricavato da queste scelte strategiche e l’apertura media dei settori di appartenenza agli scambi esteri, sui quali marchi e brevetti hanno probabilmente una maggior riconoscibilità e valenza competitiva.
E la maggiore apertura internazionale, anche se al di fuori del perimetro dell’indagine, pare in fondo la conseguenza diretta delle caratteristiche vincenti esaminate: si vincono gare oltreconfine soltanto con prodotti competitivi, per ottenere i quali servono investimenti in ricerca e sviluppo, accessibili a loro volta solo alle aziende con dimensioni adeguate. Il binomio export-innovazione pare dunque inscindibile e come racconteremo a partire da oggi nell’inchiesta sull’Italia che cresce, è la caratteristica di fondo di chi resiste allo shock.
Lo ha realizzato ad esempio la vicentina Campagnolo, 820 addetti, capace di resistere all’affondo tecnologico della concorrente giapponese Shimano rilanciando proprio sull’innovazione e arrivano ora ad avere il 15% dei ricavi legati al cambio elettromeccanico, l’ultima frontiera tecnologica nel ciclismo. Risultato ottenuto però solo aumentando gli investimenti in ricerca, che nel corso degli anni hanno fruttato ben 233 brevetti ancora attivi.
Altro esempio è la bergamasca Same Deutz-Fahr, capace di migliorare ricavi, utili e premio di risultato ai dipendenti soprattutto grazie all’inserimento di nuovi modelli di trattori, con gamme rinnovate nei motori, nel design e nelle tecnologie. Anche in questo caso però le novità non piovono dal cielo ma sono ottenute raddoppiando il livello di investimenti rispetto ai cinque anni precedenti e prevedendo un esborso di 266 milioni, con un piano che prevede a Treviglio nuove assunzioni proprio nell’area ricerca. Same Deutz-Fahr fattura 1,2 miliardi ma innovazione e successo oltreconfine non sono prerogative dei soli “big”. Perché l’assenza cronica di grandi aziende nel nostro territorio non giustificherebbe l’ampia platea di realtà vincenti su base internazionale e i quasi 400 miliardi di export manifatturiero realizzato dalla nostra economia. Essere “grandi” in assoluto infatti non è necessario, a patto però di essere in grado di presidiare una nicchia specifica di mercato, offrendo un prodotto unico e specialistico ad alto valore aggiunto.È il caso ad esempio delle viti hi-tech di Brugola (si veda l’articolo in pagina), oppure delle decine di aziende di macchinari che si specializzano in produzioni customizzate, o della piccola bergamasca Clay Paky, leader mondiale dei proiettori per eventi sportivi e musicali o ancora della Gemelli di Canegrate (cuffie antirumore), o della ravennate Righini (impianti di posa per oleodotti e gasdotti).

Il Sole 24 Ore 11.08.13

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