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“C’è la crisi all’università vanno solo i primogeniti”, di Alessia Camplone

Nel conto che la crisi presenta alle famiglie c’è anche la difficoltà a sostenere i costi dello studio: sono sempre di più i genitori costretti a scegliere di mandare all’università solo il figlio più grande, quello che “arriva prima”.

ROMA Come nelle dinastie nobiliari. Un’università per i primogeniti. Nel conto che la crisi presenta alle famiglie c’è anche la difficoltà a sostenere i costi dello studio: sono sempre di più i genitori costretti a scegliere di mandare all’università solo il figlio più grande, quello che “arriva prima”. Una scelta che nasce dalla necessità, e che finisce con il penalizzare chi non è nato nel momento giusto. «I secondi e terzi figli – avverte Gianmaria Palmieri, neo rettore dell’ateneo del Molise – arrivano alla maturità ovviamente dopo i primi. Ma purtroppo, in questo periodo di crisi, tante famiglie sono costrette
a rinunciare alle loro aspirazioni». E’ anche per questo che diminuiscono le matricole. Negli ultimi tre anni il calo è stato di 30mila iscrizioni. In Europa l’Italia è al quart’ultimo posto, con 3.302 iscritti ogni 100mila abitanti. «E’ un fenomeno che si è accentuato in questi ultimi due anni – denuncia Luigi Frati, rettore della Sapienza, di Roma –. I genitori con più di un figlio sono in difficoltà nel farli studiare. Così succede che i primogeniti vanno all’università ma i secondi e terzi no. Il rischio è di perdere intelligenze».

LE TASSE
Un fenomeno contro il quale le università si stanno organizzando. La Sapienza già dallo scorso anno ha ridotto del 30% le tasse per i genitori che iscrivono più figli e ha in progetto di abbatterle fino al 50%. Secondo i dati Ocse diffusi a fine giugno, i laureati italiani sono il 15% della popolazione tra i 25 e i 64 anni, contro una media europea del 32. Nel 2006 i diplomati che in Italia si iscrivevano all’università erano 56 su cento. Nel 2011 sono scesi a 48. Oltre alla crisi, pesano i forti aumenti delle tasse universitarie, cresciute in media del 50% in 8 anni. Ora molti atenei si stanno dando un freno. «Noi ci siamo fermati con gli aumenti, anche per i fuoricorso. Gli studenti hanno sempre più difficoltà ad iscriversi. E aumentano le famiglie che ci chiedono di poter posticipare le rate delle tasse – osserva con amarezza Carmine Di Ilio, rettore della D’Annunzio di Chieti -. Cerchiamo di andare incontro a tutti e stiamo ristudiando i meccanismi di esenzione». Tasse ferme da due anni anche a Macerata. «Sono sempre di più le famiglie che non riescono a pagare le rate successive all’iscrizione – conferma il rettore Luigi Lacchè – e molti ci chiedono una dilazione».

LE RISORSE
In Italia scarseggiano le risorse. “Idoneo non beneficiario” è lo studente che pur avendo diritto ad una borsa di studio non la riceve. Si tratta di circa 45mila ragazzi. Un diritto mancato che ci allontana dal resto d’Europa. Solo un universitario su 14 (circa il 7%) ottiene da noi una borsa di studio. In Francia i giovani aiutati economicamente sono 1 su 4. Quasi 1 su 3 in Germania.
Flavio Corradini, rettore di Camerino, ha promesso l’esenzione dalle tasse per i ragazzi, con un voto di diploma da 90 in su, e che hanno un genitore in difficoltà con il lavoro. «Per noi è un sacrificio enorme. Ma il mancato introito deve essere visto come un investimento – sostiene -. L’università ha un ruolo di ascensore sociale. Non possiamo permetterci un vuoto in cui non formiamo intere generazioni». E alla Sapienza una borsa di studio si ottiene pure lavorando presso l’università, ad esempio gestendo i libri della biblioteca: l’emergenza si affronta anche con la fantasia.

da Il Messaggero