attualità, politica italiana

“Dalle tasse alle riforme, le affinità elettive a Cinque stelle”, di Toni Jop

Mille anni fa, eravamo più piccoli. Nel movimento, quello che avevamo alimentato con i nostri corpi e con le nostre fervide coscienze spesso sfidando l’incoscienza, veleggiava una parola d’ordine, tra le altre: presalario per tutti, all’università. Cioè: il contributo pubblico per affrontare gli studi doveva essere esteso agli studenti, senza badare al censo. Ci pareva una cosa buona: era il modo, così riflettevamo, per cancellare almeno all’interno del recinto scolastico l’odiosa separazione che la classe sociale imponeva anche ai ragazzi per le strade del mondo. Ci sembrava, in altre parole, una via per garantire alla scuola una sorta di extraterritorialità benevola, garantita, molto tecnica. Andammo a sbattere contro il senso del Pci per le cose, per la giustizia
sociale: il partito di Berlinguer non cedette un millimetro, il presalario doveva andare solo a chi non aveva i numeri bancari per sostenere un corso di studi. Volò anche qualche ceffone, in assemblea, ma noi sbagliavamo e aveva ragione il Pci: che senso aveva caricare sulle spalle dei contribuenti, in genere non facoltosi, il peso di una manovra che avrebbe cancellato tra le mura degli istituti universitari una fondante contraddizione di classe? Così, eccoci alle ragioni dell’Imu e alla fondatezza della battaglia che la sinistra sta sostenendo perfino in un governo che molti vogliono vedere come espansione del berlusconismo. Pd e Sel riprendono la palla del Pci e insistono nel sostenere che la tassa sulla casa debba seguire il tracciato una giustizia che s’ispira all’uguaglianza: i ricchi paghino, gli altri no. Semplice, non è vero? Soprattutto se si pensa che togliere tutto questa tassa, sulla prima casa, equivale a fare un favore proprio ai ricchi, a chi dispone di appartamenti di gran pregio in situazioni urbanistiche di gran pregio. Ed è del tutto evidente che la barricata eretta da Berlusconi in materia è un messaggio con regalo incorporato, diretto proprio a quelli come lui. Ottimo: Beppe Grillo si picca di impugnare la bandiera di una nuova giustizia sociale? Sicuro. Ma allora come mai non è sensibile al criterio, impugnato dalla sinistra, che oggi sta facendo tremare il governo e la disperante maggioranza che lo sostiene? Come mai l’unico, che nel Movimento abbia diritto, con Casaleggio, di assumere decisioni strategiche, non urla «ma certo, sinistra, sarete cadaveri putrefatti ma sono con voi, si può fare»? Non lo fa, non urla, anzi: qualunque cosa Grillo dica e faccia su questo versante non è altro che un modesto aiuto al Pdl e alle sue ragioni. È difficile, per Grillo, smarcarsi da questa pallida sintonia: se ci prova teme di perdere se stesso, perché ciò che lui teme sopra ogni altra cosa è distogliere la mano dalla
ghigliottina che da anni tenta di issare sulla sinistra. Ma questa interpretazione ha un vizio: pretende forse da Grillo cose che non gli appartengono. Chi l’ha detto che ha a cuore la giustizia sociale, almeno come la intendiamo noi, figli del Movimento Operaio? Lui vuole sbancare il Parlamento, incenerire i partiti, rilanciare sul mercato della politica una massa di interessi autorappresentati, rifondare le Aule istituzionali sulla base di quegli interessi, in forme non distanti dal modello di un corporativismo sostenuto e mimetizzato dalla morgana di una democrazia diretta che fin qui nessuno ha visto, e che comunque non gli impedisce di gestire ciò che vuole e come vuole al di fuori di ogni controllo. Cambierà? Intanto, accetta di non dare troppo fastidio al Pdl, a Berlusconi, come ha sempre fatto, perché non è quello il bersaglio. Come per la legge elettorale: perché accade che in questo campo pur minato non si giunga a una discreta composizione delle urgenze che ciascun soggetto politico avverte? Grillo, par di capire, non vuole presidenzialismi e semi-presidenzialismi; ma non li vuole nemmeno gran parte della sinistra e da qualche parte bisognerà pure uscire. Punta a un proporzionale puro, ma è evidente che, in un Parlamento diviso in tre blocchi, e ciascuno col proprio intestino di progetti e interessi, solo il collasso totale e irreversibile di almeno un blocco può consentire di giocare la seconda mano senza cambiare neppure una carta. Così, anche su questo fronte Grillo fa da sponda al Pdl, mentre immagina che questo muoia e quell’altro precipiti in un burrone. Del resto, a lui va bene così: ogni volta che qualcuno gli prospetta, per il futuro, una pronta riesumazione delle larghe alleanze, ringiovanisce. Ci ha preso gusto: la sua campagna elettorale la fanno, a proprie spese, gli altri, lui sta bene chiuso in un freezer, il terzo blocco è un blocco di ghiaccio.

L’Unità 14.08.13