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“Indesit, Mirafiori e Ilva: niente soluzioni senza governo”, di Massimo Franchi

Sono i primi ad attendersi risposte. E sarebbero i primi a pagare a caro prezzo una crisi di governo. Sono le centinaia di migliaia di lavoratori coinvolti in una crisi aziendale. L’elenco è lungo una quaresima e, accanto ai nomi noti, conta di centinaia di piccole fabbriche di provincia che non fanno notizia. Al ministero dello Sviluppo economico ogni giorno ci sono tavoli (spesso più di uno al giorno) per cercare di risolvere le centinaia di crisi aperte, per evitare licenziamenti, delocalizzazioni, mobilità e assicurare continuità alle produzioni e ammortizzatori sociali ai lavoratori. Se il governo dovesse cadere, come già successo quando si dimise il governo Monti a fine 2012, il potere di pressione del ministero sulle aziende calerebbe immediatamente e a pagare sarebbero i lavoratori. Alla riapertura di settembre la prima patata bollente per il dicastero di via Molise è certamente quella dell’Indesit. La multinazionale dell’elettrodomestico di proprietà della famiglia Merloni e sede a Fabriano il 4 giugno ha presentato un piano industriale che prevedeva 1.435 esuberi (un altro migliaio colpirebbero l’indotto), la chiusura degli stabilimenti di Melano (Fabriano) e Teverola (Caserta) e lo spostamento della produzione di lavatrici in Turchia e Polonia. La mobilitazione dei sindacati ha prodotto già un risultato e, dopo molti incontri al ministero con l’amministratore delegato Marco Milani, il 26 luglio l’azienda si è presa un mese di tempo per modificare il piano industriale. Il nuovo tavolo al ministero è fissato per il 17 settembre. Una scadenza molto vicina è quella che riguarda Mirafiori. A fine settembre scadrà l’ennesima cassa integrazione per i 5.500 operai delle storiche carrozzerie della Fiat. La culla della Lingotto è appesa ormai da due anni, con la maggior parte degli operai che hanno lavorato tre giorni al mese, ai nuovi modelli e investimenti che Sergio Marchionne dovrebbe annunciare. Ma prima la 500L (spostata in Serbia), poi il nuovo piccolo Suv Jeep (spostato a Melfi) sono stati sfilati a Mirafiori. La botta ricevuta dalla Corte costituzionale, che ha riportato la Fiom in fabbrica, ha costretto Marchionne a chiedere certezze normative come condizione per nuovi investimenti in Italia, al momento dunque congelati. Con il fiato sul collo anche di Fim e Uilm, l’unica via di uscita pare essere quella della cassa in deroga (a rigor di legge poco praticabile) per prendere ulteriore tempo. Ma anche qui il governo si è mosso. E proprio a l’Unità il ministro Flavio Zanonato ha annunciato per settembre la convocazione di un tavolo su tutto il settore auto con priorità per Mirafiori. Un altro appuntamento (quasi storico) che potrebbe saltare per colpa della crisi. L’acciaieria è invece il settore più in crisi in Italia. Ilva e Lucchini sono le due aziende più in difficoltà per ragioni diverse. Anche qui il governo aveva battuto un colpo lanciando l’idea di una sinergia tra i gruppi per non spegnere l’altoforno di Piombino: visto che l’Ilva dovrà chiudere l’altoforno per ottemperare alla bonifica e visto che è prevista una ripresa del mercato dell’acciaio, i ministri Zanonato e Andrea Orlando stanno lavorando alla possibilità che per sei mesi l’acciaio che si dovrebbe produrre a Taranto possa essere prodotto temporaneamente a Piombino. La caduta del governo farebbe saltare anche quest’ultima idea. Dando il via ad una serie interminabile di chiusure di fabbriche e di posti di lavoro.

L’Unità 26.08.13