attualità, partito democratico, politica italiana

“Renzi e Cuperlo sfidano Letta “Usi le idee del Pd”. “Basta alibi” Civati: riforma elettorale e si voti”, di Giovanna Casadio

«Non credo che l’Italia diventi un discount se arriva l’investitore spagnolo… peggio mi pare quando ci fu l’operazione Telecom dei “capitani coraggiosi”». Matteo Renzi dal palco gioca in contropiede su Gianni Cuperlo e la tifoseria renziana in platea commenta: «D’Alema se lo sogna anche di notte il Matteo, è il su’ incubo». I tre candidati alle primarie dell’8 dicembre — Renzi, Cuperlo e Civati — non potrebbero essere più distanti. La Convenzione del Pd, ieri all’Ergife, dà il via al rush finale della sfida per la segreteria. Ma è subito chiaro che, al netto delle differenze, su un paio di cose i tre fanno squadra: hanno liquidato di fatto i big della vecchia guardia, nessuno di loro è presente; insieme mettono il governo Letta sotto assedio.
Il sindaco di Firenze, super favorito e vincitore del congresso tra gli iscritti, avverte il premier e il centrodestra: «Dal 9 dicembre il rapporto con il governo deve cambiare. Senza sgambetti, saremo leali a Letta, ma il governo ha usato troppa della nostra pazienza, della nostra responsabilità, della nostra lealtà, ora deve usare le nostre idee». E tanto per chiarire meglio la mission che vuole assegnare al “suo” Pd, spiega che il governo deve essere efficace negli investimenti, deve fare la legge elettorale, le riforme, il piano per l’occupazione e lo sviluppo, «se no le larghe intese diventano solo il passatempo per superare il semestre Ue». Parole
che, con quelle dei giorni scorsi sul cambio di passo e di agenda dell’esecutivo, infastidiscono Angelino Alfano. Il vice premier, segretario del fu-Pdl e, dopo la scissione, leader del Nuovo centrodestra, stoppa il sindaco di Firenze: «Se non ci siamo noi del Ncd — controbatte — cade il governo. A Renzi, al Parlamento, al governo propongo un patto per il 2014 su riforma elettorale, superamento del bicameralismo, meno tasse, taglio della spesa pubblica e intervento sui salari, alla fine del prossimo anno faremo il punto».
E il governo finisce anche nella tenaglia di Cuperlo, subito dopo il “no” secco alle larghe intese di Pippo Civati. Tra Matteo e Gianni il fair
play si ferma a bordo palco — una carezza, un abbraccio — perch é nei discorsi è subito incrociare di spade. «La destra si è spaccata, e ora il governo non ha più alibi, non aspettiamo il 9 dicembre per cambiare passo», incalza pure Cuperlo. Al “rottamatore” lancia un affondo feroce: «Renzi dice di volere cambiare tutto. Sì, questa è la sfida ma devi dire dove vuoi portare questo paese e questo partito. Noi siamo la sinistra, non il volto buono della destra». La tifoseria cuperliana esplode in un boato di applausi. Ma il sindaco fiorentino ha buon gioco a replicare: «Ha ragione Cuperlo a dire che non siamo il volto buono della destra, ma non dobbiamo essere più il volto peggiore della sinistra, quella che non ha fatto la legge sul conflitto di interessi e ha mandato a casa Prodi». A portare la tessera Pd a Prodi andrà Civati che racconta i suoi primi atti da neo segretario: legge elettorale Mattarellum e subito alle urne; via dalle larghe intese; Sel con il Pd alla prossima Convenzione. Poi a casa di Prodi a chiedergli scusa per il tradimento dei 101, e una telefonata a Rodotà. Di cose concrete c’è più che mai necessità: è il filo rosso di Renzi che accoglie le proposte di Gianni Pittella su Europa, Mezzogiorno e Pd federale. Pittella è l’escluso dalle primarie con il 6% di voti degli iscritti, riceve molti applausi e i complimenti di Epifani. Al segretario “traghettatore” spetta introdurre e chiedere più etica per evitare brogli e tesseramenti gonfiati. Ma è la lettura del messaggio di Letta (dopo i dati aggiornati dei congressi locali), a dare l’avvio alla Convenzione. Letta dice che andrà a votare alla primarie, e invita tutti a farlo: «Sono una straordinaria prova di partecipazione, la risposta a chi grida per ragioni di populismo rabbioso». Non tutti i leader si sono schierati. Luigi Zanda, capogruppo al Senato, è tra quelli che non ha detto per chi voterà.

La Repubblica 25.11.13

******

La sinistra rottamata”, di CURZIO MALTESE
LA DOMENICA delle palme del messia Matteo Renzi s’è chiusa con una standing ovation della platea dell’Ergife. Il successo si misura da chi c’era, ma soprattutto da chi non c’era. NON c’era in pratica l’intero gruppo dirigente del centrosinistra nella seconda repubblica. Non c’erano D’Alema e Veltroni, Bersani e Marini, Bindi e Finocchiaro, Fioroni e Zanda e il resto della nomenclatura. Si sono rottamati da soli, pur di non assistere al trionfo annunciato del sindaco. Non era mai accaduto in vent’anni, in nessuna manifestazione pubblica. Ed è questo che colpisce, prima e dopo i discorsi. I candidati hanno seguito tutti un copione noto e sono stati in questo molto bravi tutti, compreso l’escluso Pittella. Renzi doveva dosare un discorso da piazza televisiva con l’esigenza di conquistare la platea dei funzionari e l’ha fatto con maestria: la convenzione (o la circonvenzione) del Pd gli è riuscita benissimo. Gianni Cuperlo si è confermato per quello che è, la versione più nobile e intelligente della declinante sinistra europea, dunque può promettere al popolo suo soltanto una sconfitta bella. Pippo Civati è ormai scientifico nel citare uno per uno i temi che appassionano gli utenti della rete, non poco per un partito incapace di farsi ascoltare dai quarantenni in giù.
Ma alla fine eravamo venuti tutti qui per capire cosa Renzi farà dal 9 dicembre di una vittoria che ha già in tasca e la risposta l’abbiamo avuta. Renzi continuerà a fare Renzi. Il Rottamatore manderà a casa l’intero gruppo dirigente e insieme a quello il governo delle larghe intese, meglio se subito, in modo da votare a primavera, con qualsiasi legge elettorale. Non farà il segretario del Pd, che è un mestiere impossibile. Chiunque vi abbia provato ne è uscito con le ossa rotte. Ma il giovane Renzi ha capito che nel Pd si passa in fretta dalla domenica delle palme direttamente al calvario e dunque non finirà come Veltroni e Bersani. Si manterrà lontano dal Palazzo, a fare il sindaco di Firenze, verrà a Roma una volta alla settimana per tranquillizzare Letta e per gli altri sei giorni sparerà a palle incatenate contro il governo delle larghe intese. Peraltro, non è il solo. Nella giornata di ieri, se proprio si deve trovare un punto in comune fra i discorsi dei tre candidati alla segreteria del Pd, distanti anni luce, questo è l’ostilità nei confronti di un governo incapace di far accadere cose nuove. A sinistra è cominciato l’inverno dello scontento.
Per il resto, la distanza fra i due principali competitori, Renzi e Cuperlo è davvero abissale e inedita. Alfano e Berlusconi dicono le stesse cose e il Pdl si è diviso. Veltroni e D’Alema si odiavano fin dall’adolescenza,
ma venivano da un ceppo comune. Renzi e Cuperlo non si odiano (anzi c’è perfino una carezza del deputato al sindaco nel saluto all’arrivo) perché non ne hanno bisogno, incarnano giù due mondi opposti, nell’antropologia prima che nell’ideologia. Non è soltanto questione di stile, linguaggio o banalmente di look, jeans contro completo scuro. Il sindaco di Firenze è il nostro Blair, in ritardo di qualche decennio. L’analogia fra la biografia, i discorsi, le parole d’ordine, le circostanze è impressionante. Nel ’93 un Blair coetaneo del Renzi di oggi si prese il vecchio Labour con un discorso assai simile a quello ascoltato all’Ergife e concluso con l’appello a concentrare la campagna elettorale sulla scuola. Gianni Cuperlo incarna i valori del socialismo classico, una storia lunga. Scrive meglio di quanto parli, come i leader di una volta, e il suo documento congressuale è uno dei migliori mai letti. E’ un autentico figlio del popolo, per quanto non ne abbia l’aria, e di conseguenza disprezza ogni forma di populismo. Il suo problema è che in Italia nessuno legge nulla, tantomeno i documenti politici, e il paese va pazzo per i miliardari populisti.
La peggiore e dunque più probabile delle ipotesi è che questi due mondi vadano alla rottura e alla scissione dopo l’8 dicembre. La migliore è che trovino un accordo, in vista di una missione storica che è più importante di Renzi, di Cuperlo, di Civati, della segreteria del Pd, del governo Letta e di tutti noi: la sconfitta politica del berlusconismo, nelle urne e non nelle aule di giustizia. Quella sconfitta che cambierebbe davvero il verso al Paese e ci restituirebbe un futuro. Ma sono in pochi a crederci e nessuno della vecchia guardia che ha disertato la giornata di ieri. Soltanto uno, Dario Franceschini, che si è accollato il compito di mediare fin tanto che sarà possibile fra la voglia di spaccare tutto del nostro novello Blair fiorentino e la volontà di conservare tutto della nomenclatura, ma anche lui, all’uscita dalla sala della convenzione, appare meno convinto. L’inverno dello scontento della sinistra rischia di non diventare mai un’estate sfolgorante, come da citazione, ma di prolungarsi all’infinito, nell’esercizio di un cinismo spicciolo che ripugnerebbe perfino al vero Riccardo III.

La Repubblica 25.11.13