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"L'autunno di un uomo e di un Paese", di Cesare Martinetti

Nemmeno il più crudele dei suoi nemici avrebbe potuto immaginare Nicolas Sarkozy rinchiuso in una caserma della Police Nationale, a Nanterre, in una di quelle banlieues dove da primo flick di Francia aveva costruito la sua fortuna politica promettendo il pugno duro contro la «racaille», la feccia dei quartie ri. «En taule, en taule», (in galera, in galera), era diventato il suo mantra. Ora che «en taule» c’è andato lui, primo ex presidente della Quinta Repubblica, la sua parabola assomiglia a un grottesco contrappasso. Ma è sull’intero Paese che scendono le ombre di un autunno inoltrato: Sarko in fermo giudiziario, il suo successore Hollande ormai consacrato come il più impopolare della storia. Marine Le Pen ringrazia e sorride.  
 
L’immagine di un ex presidente trattenuto in fermo giudiziario e sostanzialmente sospettato di aver corrotto dei giudici cade come una ghigliottina sulla sacralità della monarchia repubblicana disegnata sulla sagoma di De Gaulle negli Anni Cinquanta. Per quanto possa spiegare, chiarire, aggiustare è davvero difficile immaginare che il «piccolo Nicolas», come veniva chiamato con affettuosa perfidia in casa Chirac, possa rientrare in politica e di nuovo giocarsi la partita dell’Eliseo nel 2017. In casa Ump, il partito erede del gollismo, dilaniato da scandali e rivalità, lo aspettavano come il messia. E lui alimentava l’attesa con piccole messe in scena, come quella di lasciarsi crescere la barba per far credere che era imminente l’annuncio del ritorno in campo. Un tentativo di evocare la discesa in campo di dieci anni fa quando aveva dichiarato la sua candidatura dicendo: «Penso all’Eliseo ogni mattina facendomi la barba…». 
 
E invece, dietro le sue spalle è apparso ora, minaccioso, il fantasma di Gheddafi, come se il colonnello libico stesse consumando la sua vendetta. Tutto l’impazzimento di Sarkozy parte dalla rivelazione di un finanziamento libico per la campagna elettorale presidenziale del 2007. Un sospetto che si è diffuso durante la campagna 2012, grosso modo intorno all’uccisione del dittatore. In effetti il mandato di Sarkozy è stato segnato da una strana relazione Francia-Libia. L’endorsement del colonnello per il nuovo Presidente francese fu immediato e spettacolare. Cécilia Sarkozy (allora ancora moglie del Presidente) andò personalmente ad accogliere le infermiere bulgare liberate dopo anni di prigionia in Libia, per un caso umanitario che aveva fatto discutere il mondo intero che divenne una straordinaria passerella di immagine per la nuova «coppia» dell’Eliseo. Seguì una visita spettacolare e imbarazzante del colonnello a Paris con il solito contorno folkloristico dell’accampamento da beduino installato in un parco della capitale francese. Furono firmate commesse milionarie di tecnologie nucleari. 
 
Ma poi, con uno spettacolare cambiamento di fronte, è stato proprio Sarkozy a decidere l’attacco alla Libia senza consultare gli alleati, come conferma Hillary Clinton nel libro di memorie appena pubblicato. Il Presidente francese ha successivamente arruolato nell’operazione il premier britannico Cameron e trascinato il riluttante Obama infischiandosi delle resistenze italiane, espresse con esitazione e imbarazzo da Berlusconi. Comprensibile che il Presidente francese volesse giocarsela da protagonista nelle primavere arabe (anche se l’esito è quello che sappiamo, soprattutto in Libia); ma le ragioni di tanto accanimento su Gheddafi dopo le numerose manifestazioni di amicizia, interesse politico e business sono evidentemente una storia gravida dei peggiori sospetti e ancora tutta da raccontare. 
 
L’obbiettivo degli inquirenti che per la prima volta hanno tolto la libertà a un ex presidente della République è meno ambizioso. Per ora scoprire quello che in francese si dice «traffico di influenza» e che noi chiamiamo concussione che si sarebbe svolto tra lui, il suo avvocato, due giudici della corte di Cassazione, uno dei quali chiedeva in cambio «un posto a Montecarlo». L’intreccio che questa indagine ha disvelato è devastante per Sarko, che come un piccolo truffatore comunicava con il suo difensore con un telefonino acquistato sotto falso nome, dava dei «bastardi» ai giudici che indagavano su di lui, muoveva le pedine dell’apparato di Stato (polizia e servizi) che lui stesso aveva scelto e nominato per proteggere i suoi segreti e i suoi interessi. 
 
Nella parabola dell’uomo politico c’è quella di un paese che non sa riformarsi e sta decadendo, stretto tra intrighi e scandali della destra e l’impotente paralisi della sinistra al potere. Il grigiore socialdemocratico di Hollande è l’infelice contraltare della pirotecnica politica sarkozista. Il demone del potere ha abbattuto l’unico politico che aveva avuto il coraggio di sfidare i tabù che bloccano il Paese dimostrando così che anche solo per immaginarsi di riformare la Francia bisogna essere matti o mascalzoni. 
 
Da La Stampa