Procedure complicate e timidezza delle imprese: poche migliaia di contratti
Lo scenario, direbbe un economista keynesiano, è quello di un equilibrio stabile di sottoccupazione. L’economia italiana mostra qualche segno di ripresa, ma certamente non sul versante della crescita del Pil, non su quello dell’occupazione, non su quello dei consumi e neppure su quello della domanda aggregata. Seguendo gli insegnamenti di John Maynard Keynes, per sbloccare lo stallo servirebbe spesa pubblica aggiuntiva in grado di rilanciare i consumi e gli investimenti; ma lo stato dei conti pubblici e le regole che ci siamo dati a livello europeo non lo permettono. E la qualità della spesa pubblica italiana, come sappiamo, è quello che è. La conseguenza diretta è che sul versante del lavoro i dati sono (a seconda delle interpretazioni) da brutti a pessimi. E che a meno di qualche miracolo – per ora non all’orizzonte – non si può prevedere un aumento dell’occupazione in grado di alleviare questa piaga. Soprattutto per quanto riguarda le aree sociali più a rischio, ovvero gli ultracinquantenni e (soprattutto) i giovani con meno di 29 anni.
Lo dicono i numeri. Qualche giorno fa l’indagine Istat sulle forze del lavoro ha certificato che a maggio il tasso di disoccupazione è tornato a salire a quota 12,6% (il record storico è il 12,7% di gennaio e febbraio). Il tasso di disoccupazione dei giovani tra i 15 e i 24 anni è stabile al 43% (+4,2% rispetto a dodici mesi fa). In termini assoluti, i disoccupati sono 3 milioni e 222 mila. C’è un piccolo aumento dell’occupazione in termini assoluti, e diminuisce di 40mila unità il numero dei giovani inattivi, che sono ben 4.355.000.
Un disastro confermato dal deludentissimo esito del cosiddetto «bonus giovani» varato tra tante attese e tante polemiche dal governo Letta nell’agosto del 2013. «Troppo pochi soldi stanziati», si disse; «troppo rigidi i vincoli per l’assegnazione». Il governo allora spiegò che aveva solo 800 milioni disponibili, e che vista la generosità dell’incentivo (lo Stato avrebbe pagato la bellezza un terzo della retribuzione lorda del nuovo assunto tra 18 e 29 anni fino a un tetto di 650 euro al mese per 18 mesi) non si poteva fare di più. A fine giugno, però, secondo l’Inps invece dei 100mila ragazzi tolti dalla disoccupazione previsti, se ne sono contati soltanto 22.124. Anzi, delle 28.606 domande di assunzione 5.499 sono state ritirate dalle aziende. In altre parole, la sfiducia delle imprese è talmente elevata da spingerle a rinunciare persino ad assumere (a tempo indeterminato, però, e non al posto di pensionati) giovani con retribuzioni modeste e per un terzo pagate dai contribuenti. Per adesso sono stati usati solo 160 milioni degli 800 stanziati per il 2014.
E non sembra di essere in grado di dare risposte significative neanche il programma «Garanzia Giovani», che impegna 1,5 miliardi di fondi europei per offrire ai giovani fino ai 29 anni uno stage, un apprendistato o un impiego entro 4 mesi dal colloquio. Il programma è partito solo il 1° maggio, va detto. A oggi sono 110.333 i giovani che si sono registrati per «offrirsi»: 10.241 sono stati chiamati dai servizi per il lavoro per il primo colloquio. Da parte loro le imprese hanno messo a disposizione 2.743 occasioni di lavoro, per un totale di 4.068 posti disponibili (di cui solo 408 a tempo indeterminato). Sulla carta entro 60 giorni tutti gli iscritti avrebbero dovuto essere chiamati per un colloquio, ma molte Regioni hanno appena presentato i piani attuativi. Per adesso solo in Lazio e in Toscana sono iniziati i primi colloqui, stando al monitoraggio del ministero del Lavoro; Piemonte e Puglia promettono di partire «nei prossimi giorni».
da www.lastampa.it