attualità, politica italiana

"Il terreno fragile del governo", di Piero Ignazi

IL GOVERNO cammina su una lastra di ghiaccio sottile, come dimostra la giornata di ieri al Senato. È un incedere difficile e il terreno rischia di diventare sempre più fragile se perde la spinta iniziale, cioè la fiducia. Il governo si regge su una strana impalcatura che combina due spinte diverse: la fiducia, appunto, ma anche la disperazione. L’apertura di credito arrivata aveva, al fondo, tanto la speranza che potesse portare il Paese fuori dalla crisi quanto la disperazione per il presente 
IL nostro Paese ribolle di frustrazione e aspetta un segnale: in positivo, dal governo, per scrollarsi di dosso apatia e rassegnazione, e rimettersi in moto; ma anche in negativo, da qualcuno o qualcosa che accenda la miccia dell’esasperazione sociale. Se la speranza scolora in illusione, allora monta la rabbia. Le precondizioni per lo scatenarsi di un movimento sociale in forme anche aggressive ci sono tutte. A incominciare, ovviamente, dall’economia, ma non solo.
Sul terreno economico gli allarmi sulla mancata ripresa lanciati dalle associazioni imprenditoriali e sindacali, dagli osservatori economici italiani e internazionali, ed ora anche dal ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, e dal sempre più silente ed accigliato ministro del lavoro Giuliano Poletti, crescono di intensità.
In assenza di indicatori positivi, di fatti reali come gli 80 euro in busta paga, il governo indirizza la sua energia su altri fronti per evitare che l’insoddisfazione si impenni. Sotto i riflettori in questi giorni ci sono infatti le riforme istituzionali. Il presidente del Consiglio ritiene che l’approvazione del pacchetto Boschi dia il segnale della sua capacità di smuovere questo Paese, di sbloccarlo. Però, l’enfasi che il governo pone su questo provvedimento è inversamente proporzionale sia all’interesse dell’opinione pubblica che agli effetti “immediati” sulla vita delle istituzioni e dei privati cittadini. È probabile, allora, che l’immagine di fattività riformatrice rimanga confinata in settori informati e partecipi dell’opinione pubblica, e non arrivi oltre.
In sostanza, al di là di ogni giudizio sulla riforma in sé, l’impatto della modifica del Senato sullo stato d’animo degli italiani sarà modesto. La sua approvazione dopo anni di progetti costituisce certamente un successo politico e di immagine per il governo ma rimane effimero se resta isolato. Perché le priorità dei cittadini sono altrove.
L’ansia sociale che si respira trova alimento anche da una disgregazione sottile del vivere civile. Che ha mille sfumature, dai centri urbani che si degradano per scarsa manutenzione o incuria ai servizi sociali che si restringono, dalle infrastrutture che si deteriorano ai reati contro la proprietà che si impennano, dagli immigrati che ”ci invadono”, come alcuni irresponsabilmente strillano, ad una amministrazione pubblica che continua a vessare i cittadini onesti con comportamenti borbonici e norme cervellotiche.
Di fronte a queste difficoltà il governo cerca conforto e soluzioni in Europa. Matteo Renzi ha rinverdito il nostro approccio verso l’Ue manifestando un europeismo forte, con segni di dinamismo e incisività. Ma l’atteggiamento pro-europeo viene declinato talvolta con un vittimismo piagnone e con rivendicazioni di ruolo del tutto fuori luogo, come l’infelicissima battuta «l’Italia merita rispetto» (sic!). Un grande Paese non ha certo bisogno di invocare il suo status: lo esercita nelle sedi e con le modalità opportune, vale a dire a livello diplomaticocomunitario, facendo valere i propri dossier, ben curati ed adeguatamente illustrati da persone all’altezza. Così ci si fa rispettare, non saltando appuntamenti cruciali o inviando persone di grado inferiore a quelle degli altri partecipanti, spesso non preparate per la frettolosità con cui vengono decisi questi incarichi.
La vicenda della nomina dell’Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue si inquadra in questa naiveté. Una nomina che non “si imponeva” per forza propria, vista la juniority del ministro Mogherini, aveva bisogno di un’adeguata preparazione dietro le quinte, non di una imposizione ribalda sul tavolo del consiglio europeo. Questo passo falso nello scacchiere europeo rischia di portarsene dietro altri. Valuti il governo se il sacrificio della sua candidata non può essere considerato da altri partner come un gesto di generosità tale da aprire altre porte, non meno importanti nel governo complessivo dell’Europa, e da consentire maggiore disponibilità verso dossier sensibili.
Dell’Europa il nostro Paese ha un bisogno assoluto. Il rasserenamento nei mercati seguito ai governi Monti e Letta derivava anche da quella moneta impalpabile ma solidissima che è la reputazione internazionale. Il governo Renzi deve rafforzarla non disperderla con gesti e posture inadeguate. Piaccia o meno, l’Italia dipende, molto più di altri Paesi, dai vincoli internazionali. E la ripresa passa da quelle strade.
Questa nostra società, depressa e inquieta, cerca un appiglio per risollevarsi da un governo, nuovo sotto molti aspetti. Oggi l’esecutivo gode ancora di una ampia riserva di fiducia. Lo slancio riformatore sulle questioni istituzionali può servire a coltivare una immagine dinamica e volitiva. Ma senza risultati tangibili tanto in economia quanto nella vita civile (a proposito, procede il restauro delle scuole?) rimane in agguato un cambio radicale di umore, con un passaggio alla sfiducia e persino al ribellismo.
La storia d’Italia è ricca di questi cambiamenti di fronte passionali ed anche irrazionali. È il rischio che corriamo camminando.

da La Repubblica