economia, lavoro, politica italiana

"Creare valore e redistribuire reddito l’esempio del bonus alla Ferrero", di Dario Di Vico

Possiamo ragionare di lavoro dentro uno schema che prende in esame la specializzazione produttiva e la capacità di creare valore? Presa a sé la domanda rischia persino di apparire bizzarra ma arriva il giorno dopo la notizia del premio di 6 mila euro (su tre anni) negoziato tra direzione aziendale e sindacati del gruppo Ferrero. E quindi un significato ce l’ha. È chiaro che stiamo parlando di uno dei fiori all’occhiello del made in Italy, un gruppo multinazionale che ha saputo utilizzare al meglio tutti i fattori della specializzazione produttiva: brand conosciutissimo, alta qualità delle produzioni, filiera controllata e ambiente di lavoro orientato alla «complicità». Oltre al bonus l’azienda di Alba si impegna ad ampliare i programmi di welfare aziendale in cambio di una dichiarata disponibilità di Cgil-Cisl-Uil a favorire il lavoro al sabato laddove se ne verificasse la necessità.
Sembra quasi un manifesto del perfetto management italiano e ci indica una strada sulla quale quantomeno riflettere. Nel settore agroalimentare fortunatamente casi come questo non sono mosche bianche perché la tradizione industriale italiana ha dimostrato di saper produrre sufficiente valore per poterlo anche redistribuire ai dipendenti. Non dimentichiamo che il nostro primato internazionale nel food non si basa certo sulla disponibilità illimitata di materie prime (proprio la Ferrero ha annunciato di recente un’acquisizione in Turchia per garantirsi il flusso di nocciole) ma sulla qualità del processo di trasformazione. Insomma siamo più bravi di altri e siamo in grado di spuntare prezzi vantaggiosi.
In altri settori, penso agli elettrodomestici, la musica è diversa. Non siamo riusciti a salire nella catena del valore e c’è ben poco da redistribuire, anzi siamo costretti a inseguire con affanno chi si giova di un costo del lavoro estremamente più basso. Non c’è quindi una ricetta unica, il lavoro sta pienamente dentro la vicenda industriale e il posizionamento giusto/sbagliato che ne è conseguito. Purtroppo però quando nei numerosissimi convegni sindacali si discute è assai difficile che il tema venga impostato così. Prevalgono quasi sempre i toni da comizio.

da Il Corriere della Sera