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«Bersani sulla Manovra: insegnanti pagano, Berlusconi no», di Bianca Di Giovanni

Sulla manovra c’è troppo conformismo verso il governo, da parte della classe dirigente, dei giornali, anche delle forze sociali. Non basta dire va benino: se mancano le risorse per la crescita bisogna dire che va male». Pier Luigi Bersani torna ad attaccare il muro dell’asservimento al pensiero dominante, l’atteggiamento acritico che condanna il Paese al silenzio di fronte a una manovra «ingiusta e recessiva», dice Anna Finocchiaro al suo fianco. Il leader del Pd accusa gli osservatori, i giornali («ancora titolano: parte il federalismo? E quando arriva?»), gli industriali timidi interlocutori di un governo inerte. In Senato la commissione avanza a rilento, anche se con colpi micidiali come quelli sferzati dalle proposte del relatore. «Pezza peggiore del buco», attacca Bersani citando Roberto Formigoni.

La manovra non può essere corretta: va riscritta. Perché «manca un richiamo forte al Paese, a uno sforzo comune dove chi ha di più dia di più». Non può essere – insiste Bersani – che un professore ci mette mille euro e un grande possidente, come Berlusconi, non paga nulla. Non può essere che alla fine «il Paese è meno equo e meno ricco», aggiunge paolo Giaretta, relatore di minoranza. Non può essere che il centro (cioè lo Stato) paghi tre miliardi e rotti e le periferie (Regioni, Province e Comuni) oltre 14. Non può essere che si torni indietro su tutto: federalismo, premi al merito dei pubblici dipendenti, scuola. Non può essere che le fasce deboli paghino oggi, per ritrovarsi dopo ancora daccapo. Perché se il Pil non riprende fiato, non ci sarà risanamento. I tagli lineari non sono mai riusciti, la lotta all’evasione già cifrata è un inedito tutto da verificare, la spesa corrente continua a lievitare.

I conti restano a rischio. nonostante non siano state destinate risorse né alle banche, né agli investimenti. Sono a rischio non solo per la crisi. «Almeno una decina di miliardi di manovra sono dovuti a errori del governo», insiste Bersani. E via alla conta: Alitalia, Ici, lotta all’evasione allentata, voli di stato aumentati, spese dei grandi eventi, sgravi sugli straordinari mentre la gente era in cassa integrazione. «Quanto ci è costato tutto questo?». Ma l’opposizione «non è contro una manovra finanziaria ora – puntualizza Finocchiaro – Sappiamo che è necessaria. Siamo contro questo tipo di manovra». Come riscriverla? «Non si dica che il Pd non ha una proposta.

L’abbiamo e l’avevamo mesi fa: i fatti ci hanno dato ragione», dichiara Bersani. Tre i pilastri della proposta: fisco più leggero per le famiglie deboli, anticipo del federalismo, interventi per lo sviluppo. Dove prendere i soldi? Magari mettendo le mani nelle tasche dei grandi proprietari, con la tassazione sulle rendite (esclusi i Bot) a livello europeo. «Possibile che in Inghilterra Cameron possa portare l’aliquota dal 18 al 28% e da noi non si possa far nulla?» si chiede il leader democratico. Ancora. mettendo a gara le frequenze Tv. Reintroducendo le misure antievasione di Visco. E le banche? A loro non si chiede nulla? «Non vogliamo una tassa, che pagherebbero i clienti – conclude Bersani – ma vogliamo metter eil potere nelle mani dei consumatori, eliminando ad esempio il massimo scoperto».

da www.unita.it